La misura, ovvero la capacita’ d’equilibrio, di non esagerazione ed esasperazione, e’ l’elemento che manca nel dibattito politico del nostro Paese. La contrapposizione viscerale e personale diventa l’arma da utilizzare, sempre e comunque, nel confronto-scontro tra i partiti, i movimenti, le persone. La riflessione, il ragionamento critico sembra che non abbiano più cittadinanza da noi. O stai da una parte o dall’altra. Il bipolarismo c’entra fino ad un certo punto in questa divisione manichea e falsa. C’entra di più un impoverimento culturale della classe dirigente che prova a difendersi con schematismi che avviliscono l’intelligenza collettiva e creano tante cittadelle incomunicabili tra loro. E’ un alzare di steccati continuo che produce piccoli mondi che non comunicano tra di loro, in eterno contrasto. E la politica, che dovrebbe gestire “la città’” fluidificando i rapporti ed intessendoli, vive un momento di distacco con la cosiddetta società civile. A parole vuole “stare con la gente”, ed è convinta d’esserci. Nei fatti la rappresentanza popolare avviene più’ per “sentito dire”, che per “conoscenza diretta” dei problemi che i rappresentati hanno. La legge elettorale attualmente in vigore, “il porcellum”, e’ la prova provata della noncuranza di cui dicevamo prima. Non candidati radicati sul territorio che hanno “potere” di rappresentanza, ma soggetti che devono rispondere alle ferree logiche di partito, meglio dire del Capo che li ha designati. La deriva però non è solo della politica, ma anche della stampa che dovrebbe controllarla e, in alcuni casi, indirizzarla. Smuoverla dallo status quo in cui le contingenze della discussione tra parti, in esasperata ed eterna antitesi, la può portare. L’informazione come mentore delle necessità della società civile e non come supporter o tifoso acritico di questa o di quell’altra parte. Mettere in prima pagina l’ipotesi di modifica dell’articolo primo della Costituzione ad opera di un deputato del Pdl, non certo tra i più noti e determinanti, è opera non di equilibrio, di misura. Fosse stato il Cavaliere o i suoi fidi furieri ad ipotizzare una cosa del genere, allora sarebbe stato più che giusto aprire un dibattito sul tema. D’ipotesi modificative alla nostra suprema Carta ce ne sono tante, come tante sono le proposte di legge, alcune proprio strampalate, che giacciono negli archivi di Montecitorio o palazzo Madama. Sparare così notizie che in fondo non sono tali è opera o di partigianeria, o di trascinamento conformistico. Entrambe le cose vanno condannate. Come diventano difficili da digerire trasmissioni televisive del servizio pubblico tutte centrate sulle notti insonni (sic) del Presidente del Consiglio, in particolare quando c’è un processo giudiziario in corso. Ed anche le frecciate o i colpi di cannone che si lanciano, sempre dalle reti della Rai, Ferrara e Santoro che certo non aiutano a raffreddare gli spiriti, ma a buttar benzina sul fuoco. Servono al Paese questi duelli partigiani e ruffiani o non sarebbero più interessanti analisi, inchieste spietate sulle pecche del Governo o sulle incapacità delle opposizioni? “Il mondo soffre per la mancanza di pensiero”, ripetono spesso le alte gerarchie ecclesiastiche. Noi italiani un po’ di più ne soffriamo. Come cambiare? Partendo dal basso, educando con l’esempio che è un ottimo veicolo culturale e di cambiamento. Bisogna riformare la politica dando ad essa l’antico ed eterno valore del servizio verso gli altri e non del raggiungimento di uno status symbol che per afferrarlo e per mantenerlo tutto diventa lecito e niente è immorale o sconcio.
Sarebbe bello, ma soprattutto utile al Paese, se la “ribellione” al conformismo ed alle regole ferree dell’appartenenza partisse proprio dai tanti deputati e senatori che credono ancora nel loro lavoro come servizio. Certo, il rischio di non essere eletti sarebbe grande, ma non è detto che la battaglia sia persa in partenza. Il tema dominante della “rivoluzione” sarebbe dire sempre quello che si pensa nell’ottica però della lealtà verso i propri ideali e in chi li porta avanti. Lealtà, non fedeltà che è un’altra cosa.
Elia Fiorillo