A Parigi un giusto processo da noi l’ennesima persecuzione
Mar 8th, 2011 | Di cc | Categoria: Cronaca Nazionale
Si conosce la versione poetica del principio della “leale collaborazione” tra poteri dello Stato. Quella enunciata a suo tempo dalla Consulta per dirimere una controversia sulla difficoltà, per un premier imputato, di conciliare lavori parlamentari e udienze giudiziarie. Le vicissitudini di Jacques Chirac – già capo dell’esecutivo e dello Stato, per dodici anni, e imputato di appropriazione indebita e abuso di potere per fatti risalenti all’epoca in cui era sindaco di Parigi – ne fanno conoscere la versione nella prosa di uso corrente in una democrazia ben funzionante. La ripresa del processo a carico dell’ex presidente francese, una volta scaduto il tempo della “inviolabilità” riconosciuta alle funzioni svolte, ha messo in evidenza una generale reazione di rigetto per un accanimento giudiziario fine a se stesso. Un tipico esempio di applicazione indiscriminata del diritto, che si capovolge in ingiustizia. “Summum ius summa iniuria”, recita il noto aforisma giuridico. Infatti, a Parigi, è alle viste il rinvio alla Corte di Cassazione, per la sospensione sine die delle udienze e il ricorso alla Corte costituzionale. Ma in Francia il principio della “leale collaborazione” tra poteri dello Stato è scattato fin dall’inizio del procedimento giudiziario nei confronti del presidente Chirac, con l’intervento della Cassazione che lo ha congelato, in attesa che l’immunità fosse sancita per legge. A ben vedere, una linea di condotta non dissimile da quella che nel 1993 portò la Procura di Roma a blindare il presidente Scalfaro nei confronti delle rivelazioni degli agenti del Sisde imputati di peculato. Quella volta, la Procura si mosse in obbedienza al dovere pre-giuridico di “impedire che si giocasse allo sfascio delle istituzioni”. In pratica, un intervento intonato al criterio per cui le leggi si interpretano per gli amici e si applicano per i nemici. Per lo stesso criterio, si può ben supporre che se oggi al posto di Berlusconi vi fosse uno Scalfaro, la Procura di Milano non avrebbe difficoltà a rinviare a nuovo ruolo il procedimento in cui è infervorata. E ancor prima il ragionevole consiglio di dare luce verde al “lodo Alfano”, in attesa che fosse tradotto in legge costituzionale, avrebbe trovato ben altro ascolto. Cose che succedono quando si leggono le leggi con le lenti dell’affinità politica, o del patriottismo di corporazione. Salvo ad atteggiarsi a vestali del diritto quando serva a preservare il proprio potere tribale e i propri pregiudizi ideologici.