E anche stavolta non riusciranno a sovvertire il responso delle urne

Gen 22nd, 2011 | Di cc | Categoria: Politica

Applicato alla lettera, nella sua paradossale esagerazione, il detto: “Sia fatta giustizia e caschi il mondo”, non è un omaggio reso alla sovranità della Legge. E’ piuttosto un alibi per gli abusi della malagiustizia. Tant’è che si conoscono casi di uffici giudiziari che si sono fatti carico dell’interesse generale, anche apportando opportuni correttivi all’applicazione della legge.  In Francia, per esempio, la suprema Corte non esitò a fornire a un presidente della Repubblica lo scudo che lo mise al riparo da un’iniziativa giudiziaria, per tutto il tempo necessario ad adeguare la norma costituzionale alla primaria necessità di garantire la funzionalità dello Stato.  In Italia, la Procura di Roma chiuse la bocca ad agenti dei servizi segreti che accusavano il presidente Scalfaro di aver abusato di fondi pubblici per fini privati, con la minaccia delle sanzioni previste dall’art.277 del codice penale (da 5 a 10 anni di reclusione per chi attenta alla “libertà” del capo dello Stato). La ventennale offensiva giudiziaria che fa del presidente del Consiglio l’ostaggio di questa o quella Procura, richiama l’attenzione sull’anomalia italiana di un capo del governo esposto inerme alle offese della malagiustizia. Questo accade perché l’art.281 c.p., che colpiva le offese alla “libertà” del presidente del Consiglio fu abrogato da un decreto luogotenenziale del 1944, nella frenesia di smantellamento del potere esecutivo per reazione all’abuso fattone dal regime autoritario. Tutti conoscono il sostanziale stritolamento dei recenti tentativi di anticipare il ripristino parziale dell’immunità, in attesa di un’apposita legge costituzionale, sotto la manovra a tenaglia dell’aggressione politica e di quella giudiziaria. Poiché il troppo stroppia, l’evidente carattere pretestuoso della ennesima gogna mediatica allestita con il caso-Ruby apre gli occhi agli italiani sulla portata eversiva dell’ostinato sforzo di ribaltare per via giudiziaria il risultato elettorale che ha portato al governo di centrodestra. Lo spunto penale della vicenda – offerto da una ex minorenne che esclude di aver subito molestie, e da un funzionario di polizia che nega di essere stato concusso – è servito per mettere in moto uno tsunami di fango alimentato da feroce ipocrisia moralistica di marca talebana.  La gente comincia a chiedersi come mai un così esile spunto investigativo abbia potuto tracimare in una costosa caccia all’uomo condotta con la mobilitazione, per settimane e mesi, di svariate dozzine di agenti di polizia giudiziaria, molte migliaia di intercettazioni telefoniche, perquisizioni a tappeto. Il tutto travasato nelle quattrocento pagine del dossier depositato in bella vista presso la Camera, allo scopo evidente di stordire l’opinione pubblica con una scarica di pettegolezzi senza attinenza con notizie di reato, nell’ambito di una strategia di sputtanamento bastante a se stessa.  Salta agli occhi lo scopo politico (illegittimo) di questo colossale scialacquamento di risorse pubbliche. Dinanzi al quale appaiono singolarmente ingenui gli amichevoli consigli impartiti a Berlusconi perché offra il petto al plotone di esecuzione giudiziario sull’esempio di Andreotti (bell’esempio: un caso di linciaggio mediatico-giudiziario finito con l’assoluzione solo dopo undici anni e la liquidazione dalla scena politica). O, rinunciando ad eccepire l’evidente incompetenza funzionale e territoriale di quella Procura, perché sfidi a viso aperto gli inquirenti della Procura milanese, come se non dovesse aspettarsi di trovarsi crocifisso a un castello di accuse fatte per suggestionare l’opinione pubblica, a prescindere dall’accertamento della verità dei fatti.  Il richiamo a comportamenti ragionevoli è sacrosanto in una situazione ragionevole. Comportarsi in modo ragionevole in un contesto deformato dal pregiudizio ostile è solo suicida. Gli elettori hanno votato per un leader politico, non per l’agnello sacrificale della tracimazione dell’ordine giudiziario, associata alle frustrazioni di un’opposizione perdente sul terreno del consenso democratico.        

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