La Fiom e il peccato mortale di dire sempre e solo”no”

Gen 14th, 2011 | Di cc | Categoria: Politica

 Quella dichiarazione così perentoria sul cinquantuno per cento, Marchionne se la poteva evitare. Non gli serviva sottolineare che se i “sì” al referendum non avessero vinto lui, l’amministratore delegato della Fiat, non avrebbe investito a Mirafiori.          Quando hai a favore la maggior parte delle sigle sindacali dei metalmeccanici, tranne la Fiom, non hai bisogno di passaggi dialettici forti, che possono essere - e sono – strumentalizzati.          Quando, insieme alla grande maggioranza del sindacalismo italiano, stai costruendo un percorso nuovo che mette l’Italia, per quando concerne l’industria automobilistica, in una situazione di rilancio globale, non hai bisogno di evocare certe percentuali. Così facendo puoi dare solo spago a chi, a prescindere, non potrà mai accettare accordi con “il padrone”.          Ci troviamo però di fronte ad un peccatuccio veniale dettato dalla volontà di far ripartire, su binari nuovi, un’impresa che per troppo tempo è stata lo specchio di un’ Italia facilona e tutta centrata su se stessa. I mercati di riferimento erano spesso limitati “alla piscina di casa propria”. Non ci si provava proprio a lanciarsi in mare aperto. Allora si poteva pure fare. Il pubblico finanziava a gogò e la globalizzazione era un termine sconosciuto ai più. Altri tempi.          Chi continua però a fare peccati mortali, con scienza, coscienza e volontà, è la Fiom. Non voler accettare i cambiamenti imposti dalla globalizzazione e dire sempre “no” a qualsiasi trattativa o contratto significa affrontare le problematiche in termini puramente ideologici. Ovvero, non voler vedere, né sentire, ma illudersi non si sa di che, o di cosa.          I confronti poi tra Cgil e Fiom hanno qualcosa di metafisico perché sembrano non tener conto dello posta in ballo e dello scenario di contesto fatto da tassi di disoccupazione che ballano sul negativo spinto e sono il segno non di una situazione congiunturale, ma strutturale.          Che senso ha, in una situazione così complessa, lanciare uno sciopero generale dei metalmeccanici contro la Fiat, con l’applauso scrosciante di tutta la segreteria confederale CGIL? Una realtà produttiva che ha deciso di rimanere in Italia ad investire, stabilendo nuove regole condivise con i sindacati - senza stravolgere però i diritti fondamentali acquisiti dai lavoratori - per affrontare la competitività. L’apparizione sui muri di Torino della stella a cinque punte delle Brigate rosse ci deve far riflettere. Non bastano più i comunicati unitari per difendere la democrazia o per condannare le azioni violente. Ci vuole coerenza e soprattutto discernimento. Non si può dare addosso al “padrone” ed ai suoi “servi schiocchi o venduti” senza aspettarsi che nostalgici della lotta armata non tornino in campo per perseguire disegni ormai bocciati senza appello dalla storia. Non si può, nel villaggio globale in cui siamo, imbrattare le sedi sindacali con la vernice, rispolverando slogan diffamatori, eppoi pensare che non ci possano essere conseguenze ben più gravi.             L’affare Fiat avrà un seguito nel nostro Paese. Perché a partire da esso, in cambio d’investimenti, d’occupazione, ci potrà essere una svolta anche in altri settori produttivi. Anche, per esempio, nel settore dell’ agricoltura. Altro che “chilometro zero” per la nostra economia. C’è bisogno che i chilometri dei mercati di riferimento siano diecimila o centomila o di più, se vogliamo che la nostra occupazione non arretri e che i nostri giovani abbiano futuro.              Ha ragione Raffaele Bonanni a gridare “Dieci, cento, mille Pomigliano” se, per converso, ci sono ritorni occupazionali, investimenti, rivitalizzazione dell’economia. Se, insomma, c’è la costruzione del futuro. Elia Fiorillo

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