“Facciamo una bella ammucchiata”, è sempre questo il concetto. Ancora una volta, l’on. Bersani lancia un appello a tutti i partiti dell’opposizione e a tutte le forze sociali. Cambia la forma, ma la sostanza è sempre quella: una bella ammucchiata di tutti contro uno, tutti insieme per battere finalmente l’odiato presidente Berlusconi. L’ennesimo invito, lanciato da sinistra per tentare di mettere in difficoltà il Governo, appare la conferma di quel che già da tempo si sapeva: questa sinistra non ha né iniziative né proposte concrete, sa soltanto tagliare grandi macedonie di frutta, nel tentativo di migliorare il sapore di una ricetta ormai vecchia. Stavolta Bersani cerca di indorare la pillola, proponendo addirittura di una sfida per la riscossa dell’Italia. Ma in quella sua sterminata lettera a il Messaggero, è vano cercare una qualche novità. La sfida reale non riguarda soltanto l’economia, ma anche la politica, è la sfida a cui è sottoposta la sinistra italiana: un necessario rinnovamento, un cambio di pelle imposto da un mondo nuovo, da rapporti produttivi e sindacali nuovi, da una nuova visione concreta della realtà al di là delle ideologie. Il guaio è che invece di rinnovarsi, perché i cambiamenti sono sempre difficili, la sinistra di casa nostra affastella parole per nascondere la mancanza di contenuti. Ma agli elettori appare chiaro che le riforme sono ormai un patrimonio concreto del centrodestra, non hanno nulla a che vedere con l’opposizione. L’ultimo tentativo che si ricordi da quella parte fu la lenzuolata di Bersani, dalla breve vita, in quel nel Governo di Prodi che vita ancora più breve. Da allora, neanche in Parlamento, si sono sentite più ipotesi, suggerimenti, consigli, proposte ben delineate da parte di una sinistra che appare destinata priva di contenuti concreti. Il nocciolo della questione è che l’atteggiamento sfoggiato dalla sinistra italiana dinanzi alla grande crisi globale è stato negativo su tutto quel che il Governo andava facendo e che intanto veniva approvato dall’Unione europea, dalla Commissione di Bruxelles e dal Fondo Monetario Internazionale. E, ancora oggi, le cifre sulla disoccupazione confermano come il nostro Paese se la stia cavando meglio con una percentuale dell’8,7 nei confronti della media europea che appare invece superiore al 10 per cento. Finché la sinistra non si renderà conto che sarebbe stato meglio collaborare tutti insieme alla soluzione di una crisi che ha presentato e presenta tuttora aspetti pericolosi per il Paese, sarà difficile stabilire nuovi rapporti, intrecciare nuovi legami per le riforme. Eppure, sarebbe questa l’unica soluzione in grado di far progredire ancora l’Italia e di rilanciare un’opposizione che al momento non c’è. Sinistra/Bersani gioca con carte e numeri truccati Pierluigi Bersani conclude la sua “articolessa” su Il Messaggero con un appello al senso di responsabilità che tutti gli attori politici dovrebbero assumere.Sarebbe stato onesto, da parte sua, rispettare per primo questo impegno. A partire dalla scelta di fornire un quadro economico veritiero della situazione congiunturale che fa da sfondo alla sua analisi.E’ aulico il segretario del Pd quando parla di globalizzazione. Sarebbe stato anche onesto se si fosse soffermato ad analizzare i motivi per il quali la “globalizzazione non fa sconti”. Vale a dire, i motivi che hanno trovato l’Occidente industrializzato quantomeno impreparato all’apertura dei mercati. Il famoso “Ulivo mondiale” - la scampagnata nuiorchese, di Prodi, Clinton, Blair e Jospin - non dedicò nemmeno un minuto delle loro profonde analisi al fenomeno della globalizzazione. E quando a Seattle venne ammessa la Cina come “osservatore” del World Trade Organization (l’organizzazione mondiale del Commercio), nessuno levò una voce a favore di una regolamentazione del commercio; proprio per impedire che la globalizzazione si traducesse in perdita di posti di lavoro in Occidente.Ad essere generosi, quindi, Bersani dovrebbe – un minimo – ripassare la storia recente; o quantomeno curare le amnesie economiche. Sindrome, quest’ultima, ricorrente nelle parole del segretario del Pd. Infatti, non ricorda (o finge di non ricordare) le cause che sono dietro le statistiche che cita. A partire da quella che nel Duemila la soglia di povertà era più bassa di quella attuale. In questo caso, l’amnesia è doppia. La differenza di fondo tra il 2002 ed oggi si chiama “euro”. L’introduzione della moneta unica – avvenuta con il governo Berlusconi, ma il percorso era stato deciso dai governi Prodi, D’Alema, Amato; con Ciampi ministro del Tesoro e poi Capo dello Stato – non è stata accompagnata da una politica di sostegno. Una circostanza che ha introdotto un trasferimento netto di ricchezza dalle fasce di popolazione a reddito fisso a quelle a reddito autonomo. E queste forme di accompagnamento non le poteva decidere un governo entrato in carica appena sei mesi prima.Ma quel che finge di dimenticare Bersani è che negli ultimi tre anni l’Occidente industrializzato (quindi anche l’Italia, paese G-8) sta attraversando una crisi che non ha uguali nella storia degli ultimi Ottant’anni.Questa crisi ha portato l’Italia a lasciare sul tappeto lo scorso anno 5 punti di ricchezza. E se scende il pil, sale ogni tipo di parametro: sia esso relativo alla pressione fiscale, al debito pubblico, al deficit; visto che il pil è il denominatore di tutti i rapporti.Insomma, se Bersani davvero volesse mantenere fede all’impegno di responsabilità a cui fa appello, sarebbe bene a truccare le carte. E i numeri. Sinistra/E’ il solito consociativismo antiberlusconiano L’appello alle forze sociali e a tutta l’opposizione lanciato stamani da Bersani sulle pagine del Messaggero, in cui invita addirittura a discutere “di una riforma repubblicana” per superare l’era Berlusconi appare come il vano tentativo di distogliere l’attenzione dai gravi problemi interni del Pd. Bersani cerca di volare alto, analizza la crisi economica mondiale e i rischi della globalizzazione, riconosce perfino che l’ultimo decennio poggia su problemi antichi e precedenti a Berlusconi. “Eccoci al punto” - osserva poi: “Chi riconosce l’emergenza, chi ne è davvero consapevole deve prendersi le sue responsabilità e suscitare una riscossa che mobiliti le energie e le risorse economiche, morali e civili di cui il Paese dispone. Per parte nostra, adempiamo a questo compito rivolgendoci innanzitutto alle forze dell’opposizione di centrosinistra e di centro”. Insomma, la ricetta di Bersani è la stessa di sempre, quella che pretende di rifondare la Repubblica con un’ammucchiata indistinta, da Casini a Di Pietro a Vendola, che escluda soltanto Berlusconi e il Pdl. E’ difficile comprendere come, ad esempio, una simile coalizione potrebbe riformare la giustizia o mettere in campo soluzioni economiche all’altezza della grave congiuntura mondiale. Il Pd di Bersani rilancia semplicemente un impossibile consociativismo antiberlusconiano, che ha appena ricevuto una solenne bocciatura dal voto parlamentare del 14 dicembre. Siamo di fronte, insomma, all’ennesimo ballon d’essai, a un libro dei sogni che resterà tale perché il Pd non ha né la coesione interna né la capacità politica aggregante per poter mettersi alla guida di un progetto così ambizioso di riforma dello Stato.
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