Un nutrito gruppo di docenti universitari ha sottoscritto un appello in difesa del disegno di legge Gelmini, ed è un gran bel segnale in questi giorni in cui l’irresponsabilità politica sta mettendo addirittura in dubbio l’approvazione di una riforma sacrosanta. E’ infatti troppo tempo che l’Università italiana ha bisogno di una cura incisiva ed efficace. È troppo tempo che il mondo accademico aspetta una riforma capace di restituirgli il prestigio perduto. È troppo tempo che gli studenti italiani bravi e meritevoli non hanno più la possibilità di frequentare istituzioni universitarie competitive rispetto al resto dell’Europa e del mondo. Le ragioni addotte nell’appello sono pienamente condivisibili, e smascherano chi, solo per il mutato clima politico, ha cambiato idea sulla riforma e non esita a cavalcare la protesta degli studenti, i quali fanno il gioco dei baroni e lottano paradossalmente contro chi legifera per garantire loro un futuro migliore. La riforma infatti va nella giusta direzione:- perché riorganizza e moralizza gli organi di governo degli atenei; - perché limita la frantumazione delle sedi universitarie, dei corsi di laurea e dei dipartimenti; - perché introduce norme più efficaci e razionali per il reclutamento dei docenti; - perché stabilisce regole certe e trasparenti per disciplinare i casi di disavanzo finanziario e di mala gestione;- perché fissa dei criteri di valutazione per le singole sedi universitarie e per i singoli professori. La riforma infatti introduce sei novità essenziali. 1. I rettori non resteranno più in carica a vita ma solo per un massimo di sei anni. 2. I professori universitari andranno in pensione prima e per ottenere l’incarico dovranno avere un’abilitazione scientifica nazionale, la cui durata sarà di 4 anni. 3. Il principio della valutazione verrà applicato anche ai ricercatori, i quali dovranno superare un esame di idoneità per essere confermati. 4. La riforma introduce criteri per rendere più trasparente la gestione contabile degli atenei, dopo i disastrosi buchi di bilancio prodotti dalla tanto sbandierata autonomia voluta dalla riforma Berlinguer. 5. Saranno sfoltite facoltà e corsi universitari, evitando che vi siano doppioni o che vengano aperte sedi periferiche dove ci sono più dipendenti che studenti. 6. La riforma prevede la creazione di un fondo finalizzato a promuovere l’eccellenza e il merito tra gli studenti attraverso prove nazionali standard. Ultima considerazione: il governo italiano non ha messo le mani nelle tasche delle famiglie che devono mantenere i figli all’Università, a differenza della Gran Bretagna, dove Cameron ha triplicato i costi del corso di studi universitari. In alcuni casi le rette passeranno da 3889 a più di diecimila euro all’anno. In Italia, dove si pagano in media 1200-1500 euro, non è invece previsto nessun aumento. C’è da chiedersi cosa sarebbe avvenuto nelle nostre piazze e ai nostri monumenti se a Palazzo Chigi, invece di Berlusconi, ci fosse stato Cameron.
Trovate grottesche. Mercoledì, tutti hanno visto l’immagine di Pierluigi Bersani, segretario del Partito democratico, che, sigaro in bocca, s’inerpica sul tetto della facoltà di Architettura (mitica facoltà rossa degli anni ’70). Lo stesso ha fatto Antonio di Pietro. Che hanno battuto Nichi Vendola, il quale solo il giorno dopo, in compagnia del cantautore Antonello Venditti, è salito sul mitico tetto. È evidente il tentativo dell’opposizione di sinistra di aggrapparsi a qualsiasi argomento pur di screditare il Governo, e ovviamente senza uno straccio di proposta alternativa. Lo scontro è tra innovazione, meglio tardi che mai, e conservazione, sempre in agguato. Perché la riforma del ministro Gelmini dice basta con i rettori a vita, con i professori stabilizzati che, conquistata la cattedra, fanno assai poco per progredire sul piano dello studio e della ricerca, e dice basta ai ricercatori a vita che non dimostrano di sapere fare passi avanti in campo scientifico. È vero che la riforma è contro i baroni ed è comprensibile che tutti i mediocri, più qualche elemento alla ricerca di pubblicità, si alleino per boicottarla, arrivando a strumentalizzare le prime vittime di questo sistema anchilosato: gli studenti. Gioco facile perché questi sono più pronti a scioperare e manifestare che a studiare. Ma l’Università è la punta emersa della piramide del sistema formativo e d’istruzione italiana, che parte dalle scuole elementari e risale per le medie inferiori e superiori fino ad arrivare agli atenei. La Gelmini ha investito tutto il sistema, e ha fatto bene. Era tempo che si mettesse mano a un comparto che era diventato uno stipendificio (per il corpo docente e non docente) e un diplomificio (per il corpo discente); sullo sfondo sette-otto milioni di famiglie che hanno i figli nelle scuole di ogni ordine e grado e vedono solo il dopo-scuola, cioè il lavoro che assicura un reddito. A queste vanno bene i professori che ci sono e come sono, purché promuovano. Anche se, nei confronti internazionali, i nostri studenti – fatte le debite eccezioni individuali – non conquistano i primi posti. È certamente necessario spiegare a fondo questa riforma che va a vantaggio degli studenti, della ricerca scientifica, delle famiglie e delle imprese. Altrimenti tutti i “nemici”, interessati a difendere i propri limitati spazi di parcheggio privilegiati, riescono a mobilitare gli ingenui – gli studenti e parte dei loro familiari – con l’irresponsabile complicità dell’opposizione che è capace anche di votare contro quello che aveva proposto ed era stato accettato nel testo della riforma pur di creare difficoltà al Governo. Ieri La Repubblica titolava a tutta pagina “La rivolta delle Università”. E oggi, facendo il resoconto delle imprese di quel mix di studenti e centri operai, è certa: “Gli studenti fermano la riforma”. In realtà, se la Gelmini fosse costretta a ritirare la riforma perché stravolta nei suoi punti essenziali, gli “studenti” sarebbero riusciti a fermare il Paese. Ma come stanno invece le cose (quasi tutte) è detto in una breve e sacrificata intervista su la Repubblica di ieri. Parla Enrico Decleva, presidente del Crui – Conferenza dei rettori delle università italiane: “Mi auguro che la riforma Gelmini arrivi presto in porto” dice subito, in apertura. E aggiunge: “Non è vero che (le Università) sono in rivolta”. Quanto ai tanto sbandierati “tagli”, Decleva dice chiaro e tondo che “con la manovra di stabilità e gli 800 milioni di euro aggiuntivi, i bilanci si chiudono anche perché coi pensionamenti risparmieremo 350 milioni nel 2011 e il taglio che sarebbe stato di 276 milioni è recuperato”. Sulla questione se la protesta difende i baroni, Decleva slitta un po’, ma non nega: “Non so se difende i baroni, ma davanti ai cambiamenti ci sono resistenze: in questo caso c’è un freno conservatore anche se viene da sinistra”. In conclusione, alla domanda se l’Università abbia bisogno di questa riforma, la risposta è netta: “Sì. Risolve il nodo del reclutamento con meccanismi di abilitazione scientifica a livello nazionale e la chiamata locale, dà un peso alla valutazione e rimette in moto l’autonomia spingendo gli atenei a rivedere struttura di governo e organizzazione scientifica”. Buoni argomenti per la Gelmini che deve andare avanti. Come pure il Governo. E il Parlamento che deve (o dovrebbe) apprezzare le leggi che aiutano il Paese.