Il presidente che divide l’America

Nov 6th, 2010 | Di cc | Categoria: Esteri

Doveva unire l’America, doveva essere il presidente della riconciliazione, il presidente “uniter”, il presidente del cambiamento, il presidente dello “yes we can”, del tutto si può fare. Barack Obama dopo due anni alla Casa Bianca è costretto a meditare su una sconfitta che prima di essere politica è soprattutto culturale. Mai l’America è stata così divisa, piena di rancore e di odio. Mai l’America delle minoranze etniche coalizzate tra loro è stata così lontana dalla maggioranza bianca. Obama è riuscito anche a farsi sconfiggere nel suo collegio-trofeo di Chicago, lì dove aveva iniziato la sua avventura di senatore e di politico outsider che in pochi ani era arrivato alla Casa Bianca. Il sistema mediatico, di cui Obama è creazione, cerca di indorargli la pillola. La parola d’ordine è: i democratici sconfitti alla Camera tengono al Senato. Non è proprio così. La sconfitta della Camera, 240 a 183, è la più grande che un presidente americano abbia registrato nelle elezioni di mid-term. Truman è passato alla storia perché perse 55 seggi nel ’46, Roosvelt nel ’38 ne perse 71, e, se non ci fosse stato il secondo conflitto mondiale, sarebbe stato travolto dalla recessione e dalla crisi economica che non era riuscito a sconfiggere. Obama in queste elezioni è riuscito a battere tutti i record negativi: il suo partito ha perso alla Camera 79 seggi rispetto ai sopracitati 71 di Rossvelt, ai 55 di Truman e ai 54 di Clinton nel ’94. Una catastrofe. Perché alla Camera dei rappresentanti si è votato in tutti gli Usa, e i Repubblicani, con il loro 55 per cento contro il 45 per cento dei Democratici, hanno segnato un vantaggio di ben 10 punti.La sconfitta di Chicago poi è di quelle emblematiche, perché rientra nel rinnovo parziale del Senato di queste elezioni e perché Chicago è la città controllata dal 1955 da Richard Daley I e suo figlio Richard Daley II. Una dinastia che assicurò la vittoria a John Kennedy nelle presidenziali del 1960 facendo votare anche i morti. Proprio così. Il più amato – non dagli americani – presidente della storia Usa sconfisse Nixon grazie a defunti che votavano e ai mafiosi Sam Giancana, che nel 1968 massacrarono di botte i pacifisti che volevano irrompere nell’auditorium della convention che incoronò Johnson. Obama ha quindi smentito una tradizione, ha provocato una destabilizzazione degli schieramenti politici ed etnici dell’America profonda. C’è da sperare che dopo questa sconfitta il presidente ideologico per eccellenza acquisti un po’ di sano pragmatismo clintoniano e vada a un accordo non con i Repubblicani ma con la maggioranza degli americani. E comprenda come una riforma americana che peggiora i livelli di assistenza per 200 milioni di cittadini Usa e forse li migliora per 30 milioni di assistiti, probabilmente, non realizza alcun miglioramento della sanità pubblica e privata statunitense. Allo stesso modo, portare il deficit degli Usa a livelli stratosferici provocando la paralisi del mercato del lavoro e un aumento del debito pubblico è davvero una politica che non mette al sicuro gli Stati Uniti dalla bancarotta e non crea certo nuovi posti di lavoro.

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