Parigi brucia, Londra varerà due portaerei senza aerei e Berlino, che pure sta abbastanza bene, si ribella alla cancelliera colpevole di eccessiva bontà nei confronti di Parigi. Noi abbiamo i ribelli di Terzigno per via di una discarica, e non è certo un bel vedere. Ma l’Italia tiene, il suo governo è saldo (e se si rivotasse ora, vincerebbe di nuovo Silvio Berlusconi), ed i sacrifici imposti al Paese dalla crisi finanziaria non sono lontanamente paragonabili a quelli della Francia, dell’Inghilterra, della Germania. Per non parlare di Spagna e Grecia, o Irlanda. Se guardiamo fuori Europa, il 2 novembre Barack Obama rischia seriamente di perdere la maggioranza al Congresso nelle elezioni di metà mandato. Due anni fa era considerato la speranza del mondo ed il risanatore anche morale di un’America che aveva generato la crisi finanziaria e ogni sorta di porcherie di Wall Street. Oggi viene accusato di non avere una strategia né sulla crisi né sulla politica estera, a cominciare dall’Afghanistan. I suoi ministri e consiglieri economici, infatti, cambiano a ritmi appena superiori dei suoi generali. Adesso per salvare Barack deve scendere in campo Michelle. Ma i democratici rimpiangono Hillary Clinton, ed i repubblicani sono sempre più attratti dal movimento antitasse del Tea Party. Torniamo all’Europa. In Inghilterra la manovra messa in campo dal governo conservatore-liberale di James Cameron ammonta a 94 miliardi di euro in quattro anni. I tagli toccheranno tutta la vita pubblica, dalle pensioni alla difesa, e produrranno – per dichiarazioni dello stesso governo – oltre 500 mila disoccupati tra i soli dipendenti dello Stato. Gli inglesi dovranno tirare la cinghia come ai tempi di Churchill (solo che allora c’era la guerra), o come negli anni Cinquanta. Si arriva al paradosso di confermare il varo di due portaerei, ma senza aerei, ed una si cercherà di venderla appena possibile. Se fosse accaduto da noi avremmo avuto chissà quale scandalo. In Francia le città sono invase da manifestanti che incendiano le auto, bloccano i depositi di carburante, picchettano aeroporti e stazioni. Qui, oltre che contro i tagli di bilancio (non ancora del tutto quantificati, ma circa doppi rispetto ai 24 miliardi dell’Italia) si protesta contro la riforma delle pensioni, che innalza da 60 a 62 anni l’età per andare a casa. Questa riforma l’Italia l’ha già fatta, agganciando l’età di pensionamento alla durata della vita e parificando uomini e donne nel pubblico impiego, e non c’è stata alcuna rivolta. Oggi, sotto questo governo, abbiamo il sistema previdenziale più stabile d’Europa. In Francia, da un recente sondaggio risulta che il 71 per cento della popolazione, in ogni fascia sociale, è a favore di scioperi e manifestazioni. Perfino i tedeschi contestano la Merkel, rea di concedere troppo ai suoi partner europei. La Germania ha i conti più in ordine e soprattutto l’economia più forte d’Europa, un surplus commerciale invidiabile, ma il malessere sociale e politico dilaga. Il suo banchiere centrale, Axel Weber, che è anche candidato alla presidenza della Bce, attacca senza peli sulla lingua la cancelleria. Alla base di tutto ci sono le misure di austerità ma anche gli aiuti ai Paesi europei a rischio, Grecia in testa. I tedeschi insomma sembrano chiudersi nella loro torre, nel loro isolamento e nella loro forza, e rimpiangono i tempi del marco. Non accettano più gli immigrati e la Merkel ha dovuto sconfessare il modello multietnico che pure ha fatto comodo alle aziende di Stoccarda e Wolfsburg: anche in questo caso, se fatti del genere avessero riguardato il nostro governo avremmo in campo la sinistra, la Chiesa, l’Ue e l’Onu (che però a Berlino non dicono nulla). In Spagna, Zapatero continua a cambiare ministri e ministre. Il rimpasto dell’altro ieri segue quello di alcuni mesi fa. Nel solo 2011 dovrà inoltre tagliare le spese dei ministeri del 15 per cento – a proposito di “tagli lineari” alla Tremonti – e ridurre il disavanzo di oltre tre punti di Pil. Cioè di oltre 30 miliardi di euro in un anno. Con tutto ciò, a fine 2011 Madrid sarà ancora alle prese con un deficit del 6 per cento, e dunque i sacrifici si protrarranno per tutto il 2012 e 2013. Questo panorama ci dà la misura sia della complessità della crisi europea e mondiale, sia della gravità della situazione in cui si trovano, a paragone con l’Italia, Paesi che fino a ieri – e talvolta dai più distratti perfino oggi – vengono citati a modello. Ma perché tutto ciò è accaduto? Il dato più evidente è che negli anni pre-crisi i modelli economici di molti di questi Paesi hanno puntato tutto sulla finanza. In particolare negli Usa, in Spagna, in Inghilterra. E dopo, quando la crisi è esplosa, i soldi dei contribuenti sono stati gettati a piene mani nei bilanci bancari: e questo si è verificato anche in Francia e Germania. Da qui, in sostanza, la ribellione sociale. Tutto ciò ha sfiorato, ma non ha toccato l’Italia. I tagli del governo, che pure ci sono stati, non hanno compensato salvataggi bancari. Le pensioni e le retribuzioni sono rimaste intatte. Si sono tagliate spese non più sostenibili, ma si sono anche impostate riforme nel segno dello sviluppo, dalla scuola al fisco. Il risultato è che traballano le leadership di Obama, Zapatero, Sarkozy, perfino della Merkel. Gordon Brown, in Inghilterra, ci ha da poco rimesso il governo, e Cameron ha addosso i fucili spianati dell’opinione pubblica. Qui in Italia non traballa affatto la leadership di Berlusconi, né del governo. Il Paese regge, e mai come ora questo concetto appare importante guardando oltre confine.