Patto stabilità, una vittoria del PDL

Ott 20th, 2010 | Di cc | Categoria: Politica

Salto di qualità per il Patto di Stabilità europeo. Grazie all’intervento dell’Italia, d’ora in avanti le finanze europee verranno monitorate in tutte le loro componenti: pubbliche e private. Inoltre, verrà reso più stringente l’impegno per la riduzione del debito pubblico. Non sarà più sufficiente indicare la “tendenza” a ridurlo sotto il 60% del Pil (come previsto dal Trattato di Maastricht). Entro breve verrà anche fornita la velocità di questa “tendenza” a cui ogni Stato dovrà attenersi. E questa velocità sarà data dall’avanzo primario. Vale a dire, la differenza fra entrate e spese, al netto della spesa per interessi. Un indicatore che il governo italiano fa tornare positivo il prossimo anno e che salirà, progressivamente, nel 2013 al 3% del Pil. Giulio Tremonti ha ragione d’essere soddisfatto dell’evoluzione del negoziato a Lussemburgo. Il documento finale recepisce un principio base per il quale si era battuta l’Italia. Vale a dire l’inclusione fra gli elementi di stabilità finanziaria di un Paese anche l’ammontare del debito privato. E’ vero che il nostro Paese ha un debito pubblico al 118% del Pil, ma ha anche un basso debito privato. E la crisi finanziaria è stata una crisi innescata proprio dalla finanza privata, poi estesa all’economia reale e quindi ai debiti pubblici.La soluzione individuata a Lussemburgo è nelle condizioni di far scattare i campanelli d’allarme preventivi, prima cioè dell’esplosione di focolai di tensione. In più, l’inclusione dei valori privati fra gli elementi di sorveglianza finanziaria mette l’Italia in una condizione migliore di molti altri Paesi: non guida più la graduatoria del debito pubblico, ma è – per così dire – a metà classifica. Altro elemento positivo dell’accordo sul nuovo Patto di stabilità è l’accantonamento dell’ipotesi (fortemente voluta dalla Germania) di sanzioni dirette per gli Stati che violano i Trattati. Eventuali sanzioni potranno arrivare, ma solo dopo una dichiarazione in tal senso del Consiglio.  Patto di stabilità/Cosa prevede, cosa cambia L’accordo sul patto di stabilità prevede:1)      Il meccanismo delle sanzioni: secondo l’accordo raggiunto, non scattano nel momento in cui si avvia una procedura di infrazione per deficit eccessivo, ma solo dopo sei mesi.2)      La modifica dei trattati: prima del 2013 permetterà di creare un meccanismo anticrisi permanente che sostituisca quello triennale salva-Grecia. Si potrà arrivare alla sospensione del diritto di voto in Consiglio UE ai Paesi recidivi nel violare le regole del patto.3)      La valutazione del debito: quello nazionale superiore al 60% del Pil obbligherà i governi nazionali a predisporre percorsi di rientro.
“Habemus novum pactum”: così il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, annuncia l’accordo raggiunto dai 27 ministri finanziari della Ue sulla riforma del Patto europeo di stabilità e di crescita, le regole cioè poste a tutela dell’economia europea. “Dopo molti mesi di discussione, e 12 ore ininterrotte di lavoro, abbiamo un patto buono che ci permette di gestire la crisi” afferma Tremonti. Un’intesa resa possibile, ancora una volta, grazie al compromesso raggiunto tra Berlino e Parigi e al ruolo decisivo dell’Italia. Ora saranno i capi di Stato e di governo nel corso del vertice del 28 e 29 ottobre a Bruxelles a suggellare l’accordo politico, che nei prossimi mesi dovrà essere riempito con i numeri e i dettagli più tecnici. Il titolare di via XX Settembre afferma di essere molto soddisfatto: “sono state trovate formule flessibili, ragionevoli e assolutamente gestibili da parte del nostro Paese. Raccoglie il consenso di tutti e non vi è stata alcuna richiesta italiana di estensione del parametro del debito ai fattori rilevanti. Tutti ci siamo riconosciuti nel testo. Un buon testo, che potrà essere migliorato, e che sintetizza le ragioni politiche con le ragioni tecniche. ” Sul debito pubblico, specifica che “non c’è alcuna formula numerica”. Ovvero non si accenna alla proposta della Commissione che prevedeva per i Paesi con debito eccessivo, ossia al di sopra del 60% del Pil, l’imposizione di un taglio di un ventesimo l’anno della differenza della parte compresa tra il 60% del Pil e il livello effettivo del debito.Il ministro sottolinea poi come “il Patto così ridisegnato ci consente di recepire gli insegnamenti della crisi: che non è nata - ribadisce - dai debiti pubblici ma dalla finanza privata.”. E proprio su questo capitolo è stato segnato quello che definisce “un buon punto italiano: abbiamo chiesto di considerare il debito pubblico ma anche la finanza privata. È la finanza privata che ha causato la crisi in altri Paesi. È giusto che si controlli il debito pubblico ma anche la finanza privata”. Poi assicura: “per l’Italia resta fondamentale la correzione dei deficit, secondo quanto abbiamo già previsto. Il parametro del debito sarà oggetto di future considerazioni in sede Ue”.

Tremonti conclude affermando che “con oggi finisce la fase tecnico-politica e nei prossimi giorni ci sarà la fase politica che toccherà ai capi di governo.”.

E poi dicono che l’Italia non conta, non è rispettata e perde peso sulla scena internazionale. Il compromesso sulla riforma del Patto di stabilità e di crescita raggiunto ieri a Lussemburgo dai ministri economici dell’Unione Europea è la dimostrazione di tre cose:  1)           l’Italia conta eccome, se è vero che la modifica più importante consiste nell’inclusione del debito privato tra i parametri che in futuro definiranno lo stato di salute (o di malattia) di un Paese, in pratica non sarà più il solo debito pubblico a fotografare benessere o malessere dei singoli Paesi innescando meccanismi automatici di sanzione e/o rientro;  2)           questa correzione segnala l’assoluta coincidenza del nostro interesse nazionale (l’Italia ha un altissimo debito pubblico ereditato dai precedenti governi e al tempo stesso un basso debito privato) con l’interesse dell’Europa, infatti una regola troppo miope come il limite esclusivo del 60 per cento del debito pubblico rispetto al Pil (quando l’Italia ha il 118.5 per cento) avrebbe innescato misure ingiuste di compressione per la nostra economia con grave danno per l’aggancio della ripresa;  3)           si tratta di una vittoria personale del Presidente Berlusconi, che ha condotto la battaglia negli ultimi Consigli europei e ostinatamente, faticosamente, ma con successo, ha sostenuto l’opportunità ed equità del calcolo del debito complessivo, senza fermarsi a quello pubblico. Il compromesso è stato raggiunto ieri dai ministri economici, per l’Italia da Giulio Tremonti, che ha offerto una plastica sintesi del nuovo principio approvato dall’Unione. Il paragone è quello delle due tasche: in una c’è il debito pubblico, nell’altra ci sono diversi indicatori quali appunto il basso livello del debito privato, l’alto grado di risparmio, la solidità del sistema bancario e la casa di proprietà. Tutto considerato, il bilanciamento delle due falde della giacca è frutto di questo contrappeso, coincide con la “sostenibilità globale del sistema Paese”.  Il Patto così ridisegnato avrà conseguenze concrete e immediate per l’Italia, ovviamente in positivo: ci sarà più ossigeno per misure volte allo sviluppo, in linea con quella politica della seconda fase (la prima è stata il rigore dei conti) sulla quale il governo potrà concentrarsi nei prossimi tre anni di legislatura mirati proprio alla crescita. L’Italia, inoltre, incassa il riconoscimento indiretto di un virtuosismo globale alla luce dell’andamento della crisi: ovvero, i problemi non sono nati dai debiti pubblici come quello italiano, ma dalla finanza privata di altri Paesi.  L’Italia non ha colpe, come dimostra la robustezza delle nostre banche. Infine, va ricordato che il principio dell’equilibrio tra stabilità e crescita è stato uno dei cavalli di battaglia europei del Presidente Berlusconi, quando questa era una posizione controcorrente e minoritaria, rivelatasi poi all’avanguardia, rispetto all’esaltazione della stabilità sulla crescita.  Basti pensare agli interventi di Berlusconi presidente di turno della UE nel 2003 contro la rigidità delle regole, i lacci e laccioli imposti ai governi e alle imprese, e contro le incrostazioni della burocrazia centrale. Quello che qualcuno definiva ormai “Patto stupido” finalmente è tornato, col contributo determinante dell’Italia, a essere un patto “intelligente”.  

 

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