FINI E LA BRUTTA STORIA PERSONALE E POLITICA

Set 27th, 2010 | Di cc | Categoria: Politica

Che brutta storia. Proprio brutta quella di Fini e della casa di Montecarlo, la cui proprietà viene attribuita al cognato Giancarlo Tulliani. Lui, il presidente della Camera, nel video-messaggio trasmesso tramite web giura  che  non c’entra. Che se si scoprisse  che il fratello della sua compagna risultasse l’effettivo proprietario dell’appartamento, allora lascerebbe senza esitazione lo scranno della terza carica istituzionale dello Stato. E, a tal proposito, racconta “dell’arrabiatura colossale” avuta con  Tulliani quando seppe che questi abitava proprio in quella dimora del principato di Monaco. La stessa che Alleanza Nazionale aveva avuto in donazione da una vecchia militante e che Tulliani aveva suggerito a Fini di alienare  ad una società offschore.

 

            Certo, per Gianfranco Fini, sul piano personale, è proprio una brutta faccenda perché non può fidarsi del cognato, con l’inferno familiare che cose del genere si portano dietro. Ed il fatto è ancora più brutto per la sua personale immagine e credibilità, perché è costretto ad ammettere di aver agito con ingenuità e superficialità. Cose che capitano, l’importante che la mala fede non ci sia. Siamo in politica però, nel bel mezzo di un braccio di ferro esiziale tra lui e il presidente del Consiglio. E siamo in Italia dove la politica più che nei luoghi deputati ormai si fa attraverso i media, che diventano corazzate schierate da una o dall’altra parte, pronte a far partire missili terra-aria senza alcuna preoccupazione per gli effetti devastanti che ci potranno essere sulla “popolazione civile”, (leggi effetto delegittimazione della politica).

 

            Ai voglia che il Capo dello Stato invochi misura, discernimento, riflessione, l’umoralità unita alla voglia di potere ed alla concezione che l’avversario politico vada annientato – perché nemico personale - è una miscela di tale pericolosità che può mettere in serio pericolo la  democrazia.  Quella sostanziale,  fatta di partecipazione, di consenso vero e non di schede bianche o nulle, oppure di nasi tappati o  voti di scambio. La radicalizzazione della politica nasconde mancanza di valori e progetti condivisi, nonché gruppi dirigenti di spessore.  Soggetti “chiamati” dal Capo non per le qualità morali e professionali riconosciute dalla collettività – se poi ci sono va anche bene -, ma per l’accondiscendenza, per la capacità di fare squadra “senza se e senza ma” alle direttive ed alle bizze  del padrone,  che non va mai contraddetto. Non gente  formatasi nell’ottica del raggiungimento del “bene comune”, in una visione laica, non confessionale. E come potrebbe essere diversamente con una legge elettorale, “il porcellum”, che dà il potere d’elezione alle segreterie di partito (leggi segretario o presidente, insomma il Capo)? Quelle che scelgono i candidati, i posti in lista, ed in effetti chi sarà o non sarà eletto? Una volta c’erano le preferenze, i comizi, i comitati civici, i galoppini elettorali, il casa per casa per conquistare un voto. Roba d’altri tempi, cose del passato. Certo, gl’imbrogli con il gioco delle preferenze c’erano pure, come non negarlo, ma il candidato comunque era designato dal basso. Aveva il potere che gli veniva dai suoi elettori ed a quelli doveva rispondere. La stampa, la televisione avevano la loro potenza d’indirizzo, ma dovevano fare i conti con l’informazione – o controinformazione? - che veniva dalla rete capillare dei soggetti politici presenti sul territorio che alle elezioni dovevano prendere voti, preferenze. E proprio per questo erano presenti e vigili nelle loro realtà territoriali. Oggi è diverso. La campagna è tutta mediatica. Chi è più bravo a vendere il prodotto che si chiama “politica”, in televisione o sui giornali, vince.

 

            Il caso Fini, al di là della vicenda Tulliani,  è la prova provata che la politica oggi si fa non con le alleanze strategiche di gruppi, di posizioni che si avvicinano, di obiettivi comuni che si vogliono raggiungere, ma con campagne mediatiche spesso delegittimanti e con l’accaparramento di deputati scontenti. 

 

            In ogni famiglia c’è un cognato che andrebbe preso a calci nel deretano. Spesso i ceffoni vengono trattenuti per amor del coniuge. Perché è il fratello o la sorella più coccolata. Quella o quello  più fragile, che ha bisogno di aiuto. Che un Governo della Repubblica debba in qualche modo essere in balia di un Tulliani qualunque è risibile, ma soprattutto insopportabile.

 

            “Chi di spada colpisce, di spada perisce”. Sembra proprio che la nostra democrazia, a forza di campagne denigratorie esasperate a carico di questo o quell’altro personaggio, stia perendo. Sarebbe ora di cambiare registro. Serve a tutti, sinistra centro destra,  ma soprattutto al Paese.

Elia Fiorillo

       

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