Diplomazia: l’Italia sempre più presente nel mondo
Set 15th, 2010 | Di cc | Categoria: Esteri
“Nello scacchiere internazionale l’Italia non è più un peso piuma”. Lo ha scritto sul Corriere della Sera l’ex ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, Ronald Spogli, e il suo editoriale viene ripreso oggi da altri quotidiani con dovizia di spiegazioni. È vero, Spogli elogia la coraggiosa decisione di Massimo D’Alema nel 1999 di partecipare all’intervento della Nato in Kossovo. Ma aggiunge che è stato il frutto di un impegno comune anche del centrodestra quando stava all’opposizione. E indica nella stabilità conquistata dai governi italiani (Berlusconi è stato, a partire dal 1994, il Presidente del Consiglio più longevo della Repubblica) la ragione di fondo del nuovo prestigio dell’Italia sulla scena mondiale. Scrive Spogli che a dispetto dei meriti dell’Italia post-bellica come alleato fedele degli Stati Uniti su questioni scottanti, Roma “non godeva di buona reputazione”. Il disappunto di Washington derivava principalmente dalla “cronica instabilità politica” degli esecutivi romani, accompagnata alla “diffusa percezione che l’Italia non sapesse proiettare la giusta influenza, commisurata alle sue reali capacità e al suo prestigio in seno al G8”. La verità è che con l’avvento di Berlusconi l’Italia è diventata un Paese con una leadership politicamente affidabile, forte di un consenso stabile, duraturo, e capace perciò di rappresentare davvero il Paese con le sue potenzialità e i numeri che può vantare come terza economia europea, terzo contributore dell’Onu nelle missioni di pace, e membro del G8. Berlusconi, poi, è stato l’unico capo di governo a presiedere ben tre vertici del G8. Un record assoluto inimmaginabile negli anni della Prima Repubblica, quando i primi ministri si succedevano l’uno all’altro in qualche caso anche dalla sera alla mattina. La decisione di partecipare alla guerra del Kossovo (con tutte le timidezze e ipocrisie mediatiche di un governo di centrosinistra che si “vergognava” di fronte ai suoi elettori di quella decisione e mascherava la partecipazione diretta dei nostri caccia ai bombardamenti) è stata davvero importante agli occhi degli Stati Uniti. Ma Spogli ricorda che “la partecipazione dell’Italia negli affari esteri in questi ultimi anni non si è limitata all’ex Jugoslavia. Nel 2002 l’Italia ha inviato i suoi militari per prendere parte alla lotta contro Al Qaeda in Afghanistan: la sua presenza – aggiunge – ha un peso notevole, soprattutto nella provincia di Herat. Per rafforzare l’impegno nella regione, nel 2003 Roma ha partecipato agli sforzi di Stati Uniti e Inghilterra in Iraq, nei mesi successivi all’invasione”. Appare evidente che l’Italia ha fatto molto “per scrollarsi di dosso lo stereotipo di attore di secondo piano negli affari esteri”, sicché non dev’essere più considerata un “peso piuma” nell’arena politica internazionale. Non solo. “Tutto lascia presagire la volontà di proseguire su questa strada: ogni qualvolta si presenterà l’occasione di far sentire la sua presenza nell’area geografica cruciale per il futuro del Paese (l’Europa sud-orientale, il Nord Africa, il Mediterraneo Orientale e tutta la regione mediorientale), sono certo che l’impegno italiano sarà la regola, anziché l’eccezione”. Ma questo vale anche in seno all’Unione Europea, dove una volta l’Italia non contava praticamente nulla pur essendo in teoria uno dei “grandi” di Bruxelles. Nessuno temeva il veto di Roma. Nessuno si affidava ai premier italiani per risolvere nodi cruciali o immaginare triangolazioni importanti. Adesso, l’Italia è pienamente coinvolta con un ruolo da protagonista in tutti i negoziati politici ed economici di fondo, come dimostra anche la fitta rete di contatti dei leader con Berlusconi prima di Consigli Europei come quello di domani a Bruxelles. La sua leadership è riconosciuta e rispettata e dalla sua parola (la parola dell’Italia) nessun Paese europeo può più prescindere nel definire le scelte strategiche dell’Unione europea. E non solo.