Una manovra chiesta dall’Europa

Ago 9th, 2010 | Di cc | Categoria: Esteri

Con il voto di fiducia della Camera (29 luglio) è stata approvata in via definitiva la manovra economica che mette l’Italia al riparo dalla speculazione e getta le basi per una ripresa sana dell’economia.La manovra è stata chiesta all’Italia dall’Europa per affrontare una crisi che solo temporalmente è il proseguimento di quella del 2007-2009 originata dalla speculazione finanziaria a Wall Street. Del tutto diversa, questa crisi è invece nata in Europa a seguito dello sviluppo economico sbagliato –cioè troppo esposto alla finanziarizzazione – di alcuni paesi come Spagna e Irlanda, o addirittura di conti truccati come la Grecia, o troppo esposti nel biennio precedente nel salvataggio di banche e imprese, come Germania, Francia e Gran Bretagna.In questa situazione gli speculatori si sono stavolta accaniti contro l’euro, cominciando dal fronte più esposto: la Grecia. Ma il vero obiettivo era di far saltare la moneta comune, e con essa i nostri risparmi e gli investimenti delle imprese.L’Italia è stata fin da subito consapevole della posta il gioco. Anche quando la Germania tentennava. Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, con l’accordo di Nicolas Sarkozy e la sponda di Barack Obama, sono stati determinanti nell’intervenire sul cancelliere Angela Merkel per l’approvazione il 9 maggio scorso del piano salva euro, un pacchetto di aiuti coordinato tra Unione europea, Bce, Fondo monetario e singoli governi per aiutare non solo la Grecia ma di chiunque fosse in difficoltà. Il governo italiano deve essere particolarmente orgoglioso del suo ruolo, perché per la prima volta l’Europa ha dimostrato un’unità non solo formale e cartacea, ma politica e operativa. Non era un risultato scontato: basta pensare alle resistenze dell’opinione pubblica tedesca e della Bundesbank.  Le caratteristiche della manovra L’importo di 25 miliardi di euro è il più basso tra quelli richiesti ai paesi non a rischio per riportare il deficit di bilancio – che L’Italia come tutti gli altri aveva dovuto aumentare per affrontare la crisi precedente – entro i parametri previsti: il disavanzo dal 5,3% del 2009 scenderà al 5% nel 2010, al 3,9% nel 2011 e al 2,7% nel 2012. Questa operazione costerà ai nostri partner europei molto di più, sia in termini di miliardi di euro sia in termini di posti di lavoro. In Gran Bretagna ci si prepara ad un taglio al bilancio dei ministeri del 40%. Angela Merkel, in Germania, ha varato un piano di risparmi da 80 miliardi da qui al 2014, tagliando 15 mila dipendenti dello Stato. In Francia la manovra sarà da 100 miliardi e Sarkozy prevede un ridimensionamento di ben 100 mila posti nella Pubblica amministrazione entro il 2013. In Italia lo Stato non licenzierà nessuno. Il solo sacrificio è la richiesta al pubblico impiego, in particolare alle fasce di retribuzioni più elevate, di stare fermi un giro: cioè di bloccare il rinnovo dei contratti del prossimo triennio. Il pubblico impiego aveva fruito negli anni precedenti, in particolare dal 2000, di aumenti retributivi medi più che doppi rispetto ai dipendenti privati, senza il rischio di perdere il lavoro o di andare in cassa integrazione. Ciò nonostante abbiamo attuato dei meccanismi per consentire ai più giovani di recuperare gli scatti retributivi congelati, mentre nessun ripercussione ci sarà per le forze armate, le forze dell’ordine, i vigili del fuoco. Meccanismi di salvaguardia ci saranno per i giovani ricercatori ed i giovani magistrati. L’altro pilastro su cui poggia la manovra sono i conti di regioni, comuni e province. Si è chiesto loro di tagliare gli sprechi e di porre sotto controllo con piani di rientro credibili i debiti – specie nella sanità – creati dalle giunte precedenti, quasi tutte di sinistra, a causa del meccanismo perverso della riforma del titolo V della Costituzione approvato dalla sinistra stessa nel 2001, a colpi di maggioranza: potere e autonomia nella sanità e in altri capitoli di spesa, ma nessuna responsabilità. Per questi due aspetti la manovra è strutturale, ma anche, come abbiamo detto più volte “equa e rigorosa”. Non impone un euro di tasse, non mette le mani nelle tasche dei cittadini, non colpisce bisogni primari, riporta ordine e efficienza là dove c’era finanza allegra e disordine amministrativo. In definitiva, l’Italia, con il nostro governo, entra a pieno titolo tra i paesi forti d’Europa, nel gruppo di testa dell’Unione europea, e adotta standard che altrove, ma in qualsiasi impresa o famiglia retta come si deve, sono la norma.

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