La legge sulle intercettazioni telefoniche slitta, quanto meno, a settembre. Silvio Berlusconi ha sottolineato come il provvedimento, nella sua ultima stesura, sia stato modificato svuotato al punto da non poter più corrispondere al suo obiettivo: garantire la privacy dei cittadini.Ma non slittano i termini del problema, che fanno dell’Italia un caso unico al mondo, così come caso unico è il modo totalmente privo di regole con il quale la stampa può divulgare notizie coperte dal segreto d’ufficio, o lesive della dignità di chi viene coinvolto. Eppure questa stampa, che si lamenta di inesistenti “leggi bavaglio”, pubblica senza controllare, cioè senza svolgere serie ed autonome inchieste per verificare (questo sì liberamente) come stanno i fatti.Come funzionano invece le intercettazioni telefoniche in Europa e nel resto del mondo? Come vengono pubblicate – se vengono pubblicate – sui giornali o divulgate attraverso la tv? In Italia ha fatto molto scalpore (a sinistra, ovviamente) l’intervento sul governo e Parlamento italiani di Frank La Rue, “relatore speciale dell’Onu per i diritti”, preoccupato che la norma sulle intercettazioni violasse “il diritto alla libertà di espressione”. Bene, certamente La Rue tra le decine di dittature e regimi – quelli veri – che fanno parte della Nazioni Unite avrà altri diritti e altre libertà a cui pensare. Ma anche nel campo delle democrazie occidentali la situazione è ben diversa da come tra popolo viola e post-it gialli di Repubblica ci viene presentata. Cominciamo dagli Usa, che il palazzo di vetro dell’Onu lo ospitano a New York. Nel 2007 sono state ufficialmente intercettate in Italia 125 mila persone, di cui 113 mila attraverso il telefono. In quello stesso anno negli Stati Uniti si sono avute 1.705 intercettazioni. Più o meno quanto nei distretti giudiziari di Firenze e Catanzaro. E veniamo ai costi. In Italia la spesa per intercettazioni è stata nel 2007 di 225 milioni di euro, un terzo del bilancio ordinario della giustizia. Negli Usa, il paese della Cia, della Nsa e di Echelon, il budget messo dal dipartimento di Giustizia a disposizione per indagini via telefono è stato di 5 milioni di dollari: quanto nel distretto giudiziario di Lecce. E la pubblicazione? Il giornalista può riportare atti giudiziari, ma a proprio rischio: deve innanzitutto proteggere le proprie fonti, e soprattutto incorre nel reato di diffamazione e di violazione della presunzione d’innocenza da parte di chi è menzionato nelle conversazioni. Più in generale, i giornalisti americani riscontrano il materiale in loro possesso o con gli organi di polizia o con chi è coinvolto nelle indagini. E veniamo alla Francia. Uno studio appena pubblicato da Claudine Guerriere, insegnante e ricercatrice sui diritti civili, denuncia (sì, denuncia; in Italia si denuncia il contrario) come “siano in forte aumento le intercettazioni telefoniche”. Eppure in Francia, scrive la stessa Guerriere, le intercettazioni giudiziarie sono 15 volte meno che in Italia, e quelle telefoniche, 20 mila l’anno, rappresentano il 30 per cento del totale; il resto è legato alla criminalità attraverso internet. Evidentemente la Guerriere ritiene a ragion veduta che le intercettazioni in Italia siano di gran lunga superiori alle cifre ufficiali fornite dalla magistratura: solo prendendo in considerazione lo spionaggio telefonico e moltiplicandolo per 15, avremmo da noi 300 mila intercettazioni l’anno. E che cosa accade riguardo alla pubblicazione? Ha spiegato al Foglio Eric Joseph, corrispondente da Roma di Liberation, storica testata della sinistra: “Mai nel mio giornale né su altri sono state pubblicate intercettazioni con particolari privati che non abbiano un interesse pubblico”. Il Nouvel Observateur riportò un sms di Nicolas Sarkozy alla ex moglie Cecilia, ed è finita con le scuse del giornale. Più di recente un sito internet, Mediapart, ha pubblicato le conversazioni del maggiordono di Madame Bettancourt, proprietaria dell’Oreal e sospettata di aver finanziato l’Eliseo: ebbene, c’è stata una violenta reazione da destra e da sinistra (tra gli esponenti della gauche, Michel Rochard e Simone Veil) che hanno accusato Mediapart di violazione della privacy. Passiamo alla Germania. Il numero delle intercettazioni, secondo lo studio di Claudine Guerrier, è un quinto rispetto all’Italia. E, come spiega Jorg Bremer, notista del Frankfurter Allgemeine Zeitung, “il mio giornale non ha mai pubblicato il testo di un’intercettazione prima di un processo. E’ vietato dalla legge, e non è mai successo. Una volta iniziato il processo, le prove possono essere portate a conoscenza dei lettori”. In Gran Bretagna le intercettazioni non sono più ammesse come prova nei processi. E questo perché il sistema giuridico inglese tutela la parità tra accusa e difesa. Nel dicembre 2009 il ministero dell’Interno del governo laburista ha stabilito che la difesa ha diritto di sapere come avviene lo spionaggio telefonico: ma poiché l’unico autorizzato ad intercettare è il Servizio segreto, non si possono divulgare le tecniche riservate ad una branca così delicata dell’intelligence. Dunque, niente prove. E comunque le intercettazioni non sono pubblicabili, come spiega John Simpson, inviato di guerra della Bbc: “Innanzi tutto debbono essere autorizzate dal primo ministro, e solo in rarissimi casi come terrorismo e criminalità organizzata. Ma il nostro sistema è completamente diverso dal vostro, non c’è alcuna possibilità né alcuna necessità di rendere pubbliche le telefonate prima che cada il segreto giudiziario. Né da noi è mai successo che venissero pubblicati testi di intercettazioni necessari alle indagini: non lo facciamo e basta”.
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