Con leggi sempre più dure negli ultimi mesi sono stati arrestati in media otto criminali al giorno. Cosa nostra siciliana, ‘ndrangheta e camorra hanno subito colpi devastanti, sia dal punto di vista organizzativo, sia dal punto di vista, questo il più duro per i boss, dell’interruzione dei flussi di guadagni derivanti dai traffici illeciti. Ricavi che di fatto possono “drogare” l’intera economia del Paese. Per questo è stata fondamentale la decisione del governo Berlusconi di istituire un’Agenzia per la gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata; un nuovo codice delle leggi antimafia; nuovi strumenti di aggressione ai patrimoni mafiosi. Sono queste le principali novità introdotte dal governo con il Piano straordinario contro le mafie approvato da un Consiglio dei ministri non a caso tenutosi proprio a Reggio Calabria. Il piano è composto da nove punti che prevedono anche, tra l’altro, una mappa informatica delle organizzazioni criminali, il potenziamento dell’azione antimafia nel settore degli appalti, nuove iniziative sul piano internazionale per contrastare la criminalità transnazionale. Il piano contempla anche altre norme di contrasto alla criminalità organizzata come segnale, ha spiegato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, “del fatto che la lotta a ‘ndrangheta, camorra e mafia è la priorità del governo”. Il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha espresso da subito piena adesione da parte degli imprenditori. “E’ una risposta forte alla criminalità e al lavoro nero”. E ha indicato nei mesi scorsi un’iniziativa degli industriali che va nella stessa direzione. “Oggi abbiamo fatto una delibera molto importante in cui tutte le associazioni territoriali del Mezzogiorno hanno preso una decisione molto importante: l’obbligo di denuncia da parte degli imprenditori che vengono vessati dalla mafia, obblighi di sospensione di aziende o di espulsioni dalla Confindustria”. Si tratta dunque, aggiunge, di “una decisione che rafforza il nostro impegno in prima linea contro la criminalità”. E riferendosi all’azione del governo conclude: “Non possiamo che apprezzare la volontà di fare una battaglia forte dal nostro punto di vista”. Ma i programmi non bastano. Ci vogliono i successi sul campo. Vogliamo qui ricordare due importanti operazioni, la prima ha investito il gruppo mafioso Piacenti di Catania, conosciuto anche come il clan Ceusa, “i gelsi”. Il suo nucleo storico è stato azzerato con 25 arresti in Sicilia, a Roma, Pisa e Biella e con 12 avvisi di garanzia notificati a professionisti, medici e poliziotti. I Piacenti sono – erano – da tempo un’istituzione consolidata della mafia siciliana: all’interno del proprio territorio sulla costa orientale erano capaci di comandare e di imporre le regole; all’esterno di quel territorio sapevano come contrapporsi al “governo centrale” dei corleonesi. A Catania, con centro nel quartiere violento di Picanello, i Piacenti non soltanto controllavano la consueta gamma di reati mafiosi, dal traffico di droga al taglieggiamento e usura alle corse clandestine di cavalli, ma erano anche diventati i mediatori sociali della città, fino a occuparsi della risoluzione di piccole beghe: un poliziotto si rivolge a loro perché convincano sua moglie a non chiedere la separazione; un ginecologo chiede il loro aiuto perché ha bisogno di visionare la cartella clinica di una propria paziente finita d’urgenza in ospedale (al boss basta alzare la cornetta e telefonare a un infermiere). La seconda operazione ha azzerato i vertici delle famiglie di Agrigento con otto arresti, quasi tutti contro mafiosi con copertura da imprenditori edili che erano – spiega la Direzione investigativa antimafia – “il riferimento territoriale per l’inviato di Cosa nostra nell’agrigentino”, l’ancora latitante Giovanni Falsone. Il sistema smantellato funzionava così: l’imprenditore vincitore di un appalto che arrivava dall’esterno poteva lavorare soltanto dopo il pagamento di un pizzo del 4 per cento, con macchinari e uomini messi a disposizione dalle “imprese” locali. “La criminalità organizzata è molto allarmata, e giustamente, dalle misure che il governo ha messo in atto per combatterla – ha detto spesso in questi mesi il ministro dell’Interno, Roberto Maroni – Non passa giorno senza un’operazione contro la mafia”. Al governo tocca invece convivere sui giornali – sezione: editoriali – con storie fangose di criminalità organizzata. Ma a leggere gli stessi giornali – sezione: cronache – questo governo è un distruttore di mafie spaventoso, numeri alla mano il più efficiente all’opera fino a oggi. Poliziotti e carabinieri hanno catturato 270 latitanti – un incremento del 91 per cento rispetto al governo precedente – e tra questi 14 facevano parte della lista nera dei 30 ricercati più pericolosi e 36 facevano parte dell’elenco dei 100 più pericolosi. L’ultimo colpo di altissimo livello quando i poliziotti hanno arrestato sul cornicione di una finestra a Calatafimi, in provincia di Trapani, il Veterinario, il numero due della mafia, Domenico Raccuglia, mentre scappava con centomila euro e una mitraglietta cinese. “Con l’arresto di Domenico Raccuglia è stata decapitata l’ala corleonese di Cosa nostra”, disse Francesco Gratteri, direttore anticrimine della polizia. Assieme agli arresti, negli anni del governo Berlusconi sono aumentati anche i sequestri di beni, il provvedimento più odiato dai clan e dalle famiglie della criminalità organizzata. Nel 2007 è stato sequestrato un patrimonio di 3,5 miliardi di euro, l’equivalente di una manovra finanziaria. Nel 2008 si è saliti a 4,5 miliardi e i numeri per il 2009 raccontano un ulteriore balzo verso l’alto: cinque miliardi e 372 milioni di euro, il 50 per cento in più rispetto ai 17 mesi precedenti all’aprile 2008. Il denaro contante sequestrato alla mafia va a finire nel Fondo unico di giustizia, che finanzia la lotta dello stato contro il crimine: le somme recuperate ammontano a oltre 665,7 milioni di euro, dato del 31 ottobre scorso. Il Fondo unico inventato dall’Italia è un’idea così interessante che l’Attorney General dell’Amministrazione Obama, Eric Holder, si è detto interessato a replicarlo negli Stati Uniti. Dall’inizio di questa legislatura sono anche stati sciolti dodici Consigli comunali per infiltrazioni mafiose. Il merito della nuova pressione su mafia e camorra va alle forze dell’ordine e alla magistratura, e anche al governo. Dalla strage di Castel Volturno in avanti – sei immigrati africani uccisi dalla camorra – il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, presiede un vertice regolare con investigatori e giudici a Caserta per coordinare lo smantellamento del clan dei Casalesi, il clan più feroce e di vertice che controlla il territorio. A due anni di distanza Maroni parla ormai di un “modello Caserta”, che ha portato all’arresto del superlatitante Giuseppe Setola e di altri 660 affiliati ai clan e al sequestro di 300 milioni di euro soltanto nel casertano. Anche la ’ndrangheta calabrese è stata colpita. Il governo ha approvato una serie di norme antimafia che il capo della polizia, Antonio Manganelli, ha commentato così: “Questi provvedimenti un tempo erano gli auspici del giudice Giovanni Falcone, poi portati avanti da altre persone, da ultimo dal procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso”. Norme antiriciclaggio, norme contro le infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici, i benefici per le vittime della criminalità organizzata, norme che escludono dagli appalti chi non denuncia il pizzo, sequestri preventivi, norme per lo scioglimento dei comuni infiltrati, nuovi poteri per il procuratore nazionale antimafia e le norme molto più restrittive sul 41 bis, il carcere duro. Gli auspici di Giovanni Falcone, dunque. E complimento migliore all’azione del governo Berlusconi il capo della Polizia non poteva fare. Quel Falcone trasformato dalla sinistra, che al tempo lo osteggiava, in icona dell’antiberlusconismo dell’antimafia, è invece il faro oggettivo dell’azione e non delle chiacchiere del governo Berlusconi.