Uno dei capolavori del cinema “Fort Apache”

Giu 21st, 2010 | Di cc | Categoria: Scuola e Giovani

                  Dopo le dichiarazioni riportate dalla stampa in questi giorni, di giovani bulli assassini di guardie giurate, per derubarle le pistole di ordinanza e ricavarne pochi spiccioli. E’ doveroso da parte del nostro quotidiano ricavalcare uno dei capolavori del mondo del cinena “Fort Apache”. Il titolo deriva dalla pronuncia meridionale di Fort Apache e dà concretamente l’idea di una comunità assediata dalla camorra come un fortino circondato dagli Indiani.

                  Una premessa, obbligatoria: non si tratta di una copia o di un sequel della pellicola di Matteo Garrone, malgrado la  coincidenza della sua uscita con il momento di massimo interesse per il tema della criminalità organizzata sollevato da Gomorra del quale pure condivide alcuni bravi interpreti quali Cantalupo ed Imparato.

                  Il nostro aveva messo mano al soggetto del film da circa sette anni, molto prima della pubblicazione del libro di Saviano.

                   Ben altri sono gli autori ai quali si è dichiaratamente ispirato Risi,  e cioè Francesco Rosi de Le Mani sulla Città , di cui è una citazione la famosa scena di una contrastata seduta del consiglio comunale della città vesuviana ripresa in parallelo con  una truce riunione dei vertici camorristici.

                   Altri illustri precedenti si possono trovare ne I Cento Passi e nelle numerose agiografie di martiri della mafia .

                   Fortapasc non è una biografia, racconta gli ultimi quattro mesi di vita di Giancarlo Siani, intraprendente  giornalista “ abusivo “ che dalla redazione di Castellammare di Stabia (nella finzione cinematografica, di Torre  Annunziata ) scrive articoli che illustrano l’ascesa del boss locale,Valentino Gionta, il quale,  uscito indenne  dalla distruzione della NCO di Cutolo, si era costruito un suo  impero locale.

                  Siani dà conto dell’alleanza che si andava profilando tra Gionta, Carmine Alfieri e Bardellino da un lato e i Nuvoletta di Marano, a loro volta alleati del boss dei boss , Totò Riina.

                   Successivamente, descrive la strage di Torre Annunziata con otto morti ammazzati come la risposta all’omicidio eccellente del fratello di Carmine Alfieri .

                  Narra dell’arresto di Valentino Gionta nel territorio di Marano effettuato dai Carabinieri grazie ad da una soffiata dei Nuvoletta alla forze dell’ordine, per cui i Maranesi sono marchiati d’infamia.

                    Egli  indaga, inoltre,  sulle collisioni tra politici locali e camorristi, legati  dal voto di scambio ,dalle gare di appalti  truccate e dal flusso di denaro pubblico per la ricostruzione post – terremoto che consente l’erogazione di consistenti tangenti, e denuncia pubblicamente il malaffare sulle colonne del giornale ,nelle aule universitarie e scolastiche e persino nella sede del consiglio comunale .

                    Per premiarlo per il suo coraggioso  scoop circa l’arresto del boss Gionta realizzato  grazie ad una fonte confidenziale all’interno dell’Arma, il Mattino  gli offre   una collaborazione in qualità di praticante con la promessa di un successivo contratto ed  un ufficio ed una scrivania presso la redazione di Napoli.

                    Siani viene ucciso a colpi d’arma da fuoco a bordo della sua Citroen Mehari la sera del 23 settembre 1985 nei pressi della sua abitazione in via Vincenzo Romaniello all’Arenella.

                    Nella ricostruzione cinematografica l’omicidio viene deciso dai Nuvoletta con l’assenso di Gionta in carcere  e viene ricollegato sia all’articolo relativo alla soffiata dei Nuvoletta che consentì l’arresto del boss sia  ad una inchiesta che il cronista stava  portando avanti a Torre Annunziata  in merito alla costituzione di società fantasma aggiudicatarie di gare d’appalto truccate.

                    Emerge il ritratto di un cronista appassionato del suo lavoro e della verità, senza lati oscuri, che confida nel potere di persuasione dei suoi articoli e  si esalta progressivamente per il compito di cui si sente investito, non pienamente consapevole e cosciente dell’importanza degli affari che si trova a narrare , sicuramente molto più grandi di lui.

                    E’ un giornalista – giornalista diversamente dal giornalista – impiegato di cui disquisisce con lui  Sasà, il caporedattore di Torre Annunziata: la differenza sta nel rispetto della verità ed, invece, nell’acquiescenza alle situazioni date per scontate e immodificabili, tra chi combatte e resiste e persiste nella denuncia degli affari sporchi e chi si cela dietro un bieco conformismo.

                    Ben presto, Siani si avvede di essere abbandonato dalla società civile a cui si era rivolto con voce vibrante di sdegno che avrebbe dovuto proteggerlo e seguirlo e provvedere seriamente in ordine alle illegalità da lui raccontate ,e  si rende conto di essere lasciato solo ad affrontare i suoi

sicari.

                    L’eredità che il nostro reporter ci ha lasciato consiste nell’aver aperto gli occhi ai giovani e nell’avere appassionato le nuove generazioni a temi scottanti quali la  presenza invasiva   della criminalità organizzata come un cancro della società , affinché finalmente venga impressa una svolta definitiva alle comunità meridionali e dell’Italia intera.

                    Il giudizio sul film non può essere che positivo; esso è lineare, asciutto e senza sbavature.

                    Ottima l’interpretazione di Libero Di Rienzo, che, tra l’altro, conferisce al personaggio di Giancarlo Siani un’aria svagata e leggera ed al tempo stesso caparbia e pertanto se ne ricava una verosimiglianza molto convincente, come hanno avuto modo di affermare il fratello del reporter e la sua fidanzata dell’epoca.

                     Un plauso anche a Massimiliano Gallo che rende efficacemente la tracotanza volgare eppure “ popolare “ di Valentino Gionta, che si muove nella città vesuviana sicuro e baldanzoso, rispettato, temuto ed osannato dai suoi scagnozzi e dai suoi concittadini timorosi.

                     Lodevole anche la prova fornita da Ernesto Mahieux nel personaggio di Sasà, irrequieto e pavido, giornalista – impiegato che si accontenta e gode dei piccoli privilegi che si è conquistato con il suo lavoro da oscuro burocrate dell’informazione.

                     Scialba ed incolore Valentina Lodovini nel ruolo di Daniela, fidanzata del cronista,   del tutto assente nel momento delle scelte  irreversibili di Siani..

 

                      Oreste Perrino

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