Intercettazioni: nessun bavaglio

Giu 11th, 2010 | Di cc | Categoria: Cronaca Nazionale

La stampa italiana protesta contro quella che definisce “legge bavaglio”, cioè contro le nuove norme sulle intercettazioni telefoniche e sulla loro pubblicazione. Sembra dunque, almeno per il momento, passare lo slogan di Repubblica, che del “bavaglio” con tanto di post-it giallo ha fatto la consueta battaglia politica tutta concentrata sul centrodestra e su Silvio Berlusconi. “La legge bavaglio nega ai cittadini il diritto di essere informati” è da settimane il leitmotiv del quotidiano di Ezio Mauro e Carlo De Benedetti. Con le stesse modalità avevano protestato i pm. A lungo ogni inchiesta era stata accompagnata dall’informazione che “senza intercettazioni” non si sarebbe potuto scoprire questo o quello. Ora che abbiamo il testo definitivo della legge, approvato dal Senato, si può facilmente verificare che non esiste alcun bavaglio. Non certo per il diritto-dovere della magistratura di indagare servendosi anche delle intercettazioni. Il termine di 75 giorni per la durata di un’inchiesta viene prorogato di tre giorni in tre giorni se il pm dovesse “avvertire il rischio che si sta per compiere un nuovo reato”. O anche se quella che si sta cercando è considerata “una prova fondamentale”. La sola differenza è che le intercettazioni dovranno essere autorizzate non più da un gip, ma da un giudice collegiale. Il pm che rilascia pubblicamente dichiarazioni che riguardano i suoi processi – una delle più diffuse forme di malcostume giudiziario – o anche che viene indagato per violazione del segreto istruttorio potrà essere sostituito dal capo del suo ufficio, “ma non in modo automatico”. Resta il divieto di diffusione di nomi e immagini da parte dei pm che riguardino processi a loro affidati. Sarebbe questo un bavaglio? Dunque la magistratura non ha più ragione di protestare; e vedremo se lo sciopero del primo luglio indetto dalle toghe in difesa di stipendi e privilegi cercherà di rispolverare ed infilarci anche la legge. E veniamo ai giornali. Non è affatto vero che non potranno più informare di indagini in corso o atti giudiziari. Non potranno invece più pubblicare stralci integrali di intercettazioni telefoniche, e-mail, tabulati e conversazioni private: questo fino alla conclusione delle indagini o al termine dell’udienza preliminare. Il “bavaglio” consiste dunque nell’evitare il famigerato copia-incolla che negli ultimi anni ha contrassegnato molte sedicenti inchieste giornalistiche, spesso coinvolgendo fatti senza alcun rilievo penale e persone che hanno avuto il solo torto di essere stati chiamati al telefono – o citati in qualche conversazione – da gente coinvolta in inchieste. Inchieste e intercettazioni poi finite nel nulla, senza alcun risarcimento per chi è stato tirato in ballo. E’ bavaglio questo? No: è semplicemente ciò che avviene in tutti i paesi del mondo, in ogni democrazia, e tanto più dove i giornali non hanno bisogno di ricorrere al morboso sistema del copia-incolla. La stampa italiana protesta forse perché anche da noi si impedisce l’uso di intercettazioni su persone estranee ad indagini ed a colpe? Non crediamo: sarebbe la negazione di ogni più elementare principio deontologico. Protesta perché le viene impedito di riferire di indagini in corso? Ma la legge non prevede affatto questo; impedisce solo entro certi termini la pubblicazione delle intercettazioni e di fatti che riguardino la vita privata ma siano irrilevanti per le indagini, e quindi per il diritto di cronaca. Dunque quali diritti sono stati calpestati? La Federazione della Stampa, che ha indetto una “giornata del silenzio” per il 9 luglio, ha il dovere di spiegarlo. Non alla politica, ma ai suoi lettori. Che negli ultimi tempi ha abituato a cibarsi non di inchieste giornalistiche, ma di scopiazzatura di verbali e brogliacci.  Anche la Federazione editori protesta, e lì il motivo è evidente: teme le multe previste dalla legge. Protesta, dunque, non in difesa di un principio, ma di un interesse economico. Sono in fondo gli stessi editori che ogni anno chiedono al governo di turno i sussidi per l’editoria. Tutto ciò accade mentre i giornali sono in grave crisi di vendite e di pubblicità, e mentre i talk show televisivi si affidano al sensazionalismo di finte “docu-fiction” e di annunci pilotati affidati a questo o quel pentito. In sostanza, una stampa in crisi si affida alla droga delle intercettazioni nel tentativo di risollevare un po’ le vendite. Ma, come per ogni droga, questo gioco al rialzo ottiene alla fine l’effetto contrario, creando solo dipendenza e non riuscendo ad interessare neppure i lettori. La dimostrazione di tutto ciò è che quando le intercettazioni non esistevano – o se esistevano non finivano direttamente sui quotidiani – i giornali conducevano fior di inchieste, servendosi sì delle fonti giudiziarie ma anche della loro capacità ed autonomia di ricerca. Il modello al quale tutti dicono di ispirarsi, il Watergate, ha visto il lavoro di scavo e di riscontro dei cronisti. In Italia abbiamo avuto esempi simili, e nobili, in inchieste giornalistiche sulla mafia, sul terrorismo ed anche su una sfilza di scandali di Stato. Inchieste forse politicamente orientate – come quelle che resero celebre Eugenio Scalfari quando ancora faceva il giornalista – ma comunque inchieste che hanno lasciato il segno. Lo stesso Gomorra di Roberto Saviano non contiene una sola intercettazione: si serve appunto di fonti giudiziarie, ma poi svolge un lavoro sul campo. Questo dovrebbe in effetti essere il giornalismo. E così è ovunque. Solo in Italia da qualche tempo si affida all’utilizzo indiscriminato delle intercettazioni, e tanto più di quelle “a strascisco” che coinvolgono anche chi non c’entra nulla. Lo fa cercando di alimentare il voyeurismo dei propri lettori, trasformando il diritto di cronaca in un gigantesco buco della serratura, rinunciando all’inchiesta e riducendo quotidiani seri al livello di ritocalchi o di tabloid. Ed a proposito di tabloid, è nota la distinzione che esiste nel mondo anglosassone tra questi la stampa di qualità: i tabloid sono considerati “scandalistici”, e dunque non presi in considerazione. L’opinione pubblica si forma sull’informazione seria. Vogliamo trasformare ciò che resta dei nostri grandi quotidiani in tabloid di pettegolezzi, in nome della battaglia contro il “bavaglio”? Bene, poi non lamentiamoci se le vendite vanno a picco.   Intercettazioni/Senatori PdL: l’Usigrai mente “E’ biasimevole che l’Usigrai abusi della possibilita’ di far diffondere propri comunicati da testate del servizio pubblico diffondendo palesi bugie. Non e’ vero quanto abbiamo letto e ascoltato sulla nuova legge sulle intercettazioni. L’Usigrai mente in modo palese dicendo che non si potranno diffondere notizie su reati. Non e’ vero e lo sanno. Dicono consapevolmente cose non rispondenti al vero”. E’ quanto si legge in una nota del gruppo Pdl al Senato. com

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