Silvio Berlusconi ha confermato le tre grandi riforme da fare da qui al 2013, nella parte restante della legislatura: Stato, giustizia e fisco. Il premier ne ha parlato al presidente della Repubblica e, attraverso internet e Facebook, al suo popolo. Ma sarebbe più giusto dire, trattandosi di social network, a tutti quello che vogliono leggere, informarsi, capire.La scelta - Giorgio Napolitano da una parte, la rete dall’alta – non appare casuale. Questa decisione non è frutto di mediazioni politiche né di compromessi di Palazzo: si tratta infatti di cambiare l’Italia nei suoi tre gangli cruciali. Rinnovare lo Stato attraverso il presidenzialismo è la via maestra per modificare i meccanismi decisionali dando ad essi, al tempo stesso, il massimo di rappresentatività democratica. I poteri di cui dispone l’esecutivo, di qualunque colore sia, sono figli di una Repubblica nata oltre 60 anni fa, dopo un regime, una sconfitta militare e una guerra civile. Più che per semplificare sono stati ideati per rallentare, più che per decidere furono modellati per concertare. Oggi il mondo è cambiato, è necessario decidere. Ma nessuno può decidere al posto del popolo, né contro il popolo. Chi decide lo fa in nome del popolo e se ne assume le responsabilità. Al tempo stesso il presidenzialismo diventa essenziale per bilanciare il federalismo. All’autonomia conquistata dalle regioni in moltissimi campi della vita pubblica e sociale, deve corrispondere una forte sintesi politica al centro. Roberto Maroni, che come ministro dell’Interno rappresenta il leghismo istituzionale al massimo livello, è stato tra i primi a riconoscerlo confermando che il Carroccio appoggerà Berlusconi. Stesso impegno, dopo le elezioni, da Umberto Bossi. La giustizia è arrivata all’anno zero, con le minuscole e scritto staccato. Ma lo si potrebbe anche scrivere con le maiuscole e tutto attaccato: AnnoZero. L’inchiesta di Trapani è solo l’ultimo esempio. Ma prima ancora c’erano stati i casi Bari, Spatuzza, Ciancimino, Bertolaso, per limitarci agli ultimissimi. Tuttavia la riforma non va fatta solo contro la magistratura iper-politicizzata, né tanto meno per difendere il premier. Va fatta per sanare due piaghe che rischiano la cancrena: la commistione tra accusa e giudizio, che non esiste in nessun’altra parte del mondo; e l’abuso di intercettazioni telefoniche e violazione della privacy. Anche queste senza corrispettivi in nessun altro Paese. In Italia siamo arrivati allo spionaggio di massa: questo è il vero regime, altro che blocco dei talk show. Quanto al fisco, così come è congegnato ora è il risultato di un incrocio bizzarro e malefico: tra un sistema fiscale ideato per redistribuire continuamente le risorse, non per contribuire alle spese che dovrebbero essere tenute sotto controllo; e, ogni anno, il soddisfacimento delle varie lobby attraverso un castello pazzesco di detrazioni, dagli scontrini farmaceutici alle palestre. In questo modo si è sempre attuato il tassa e spendi, prima con la Dc poi con la sinistra. I cittadini vengono obbligati a ripianare gli sprechi, ma gli di dà l’illusione che possano risparmiare qualcosa grattando di qua e di là. Il fisco non mette al centro i contribuenti, ma lo Stato. Eppure già la rivoluzione americana, al grido di “no taxation without representation” insegnò al mondo moderno che prima dello Stato vengono i diritti dei cittadini. Al tempo stesso il fisco non mette al centro la famiglia, che è il perno della nostra società, il suo paracadute sociale. · Modernizzare lo Stato, avere una giustizia giusta, giungere finalmente a pagare le tasse per ottenere in cambio dei servizi e non per pagare gli sprechi e le lobby. Se riusciremo in queste tre riforme, potremo dire di aver cambiato l’Italia. E questo è il momento per farlo. Una congiunzione, un allineamento di pianeti che si verifica di rado. I primi due anni di governo sono serviti per fronteggiare la crisi, tamponare e risolvere le emergenze, riformare la scuola, migliorare la sicurezza, combattere la criminalità organizzata e la clandestinità. Non è che non si sia fatto nulla: ed infatti gli italiani se ne sono talmente accorti da premiare il governo ed il Popolo della Libertà ad ogni appuntamento elettorale. Un caso unico al mondo. Il governo e Berlusconi hanno ricevuto quindi una nuova investitura popolare, un nuovo mandato ad innovare. Un segnale che non deve essere ignorato e neppure minimizzato in inutili bizantinismi numerici, perché il dato politico è lì in tutta la sua evidenza. Il popolo ha nuovamente parlato premiando Berlusconi, e la maggioranza (e tanto più un movimento che al Popolo si ispira) ha il dovere di ascoltarlo. Al tempo stesso sono state punite le forze catastrofiste, negative e immobiliste che per tutto questo biennio (e per il precedente di Prodi) hanno paralizzato e dilaniato l’opposizione. Ricordiamolo: da ben quattro anni la sinistra non fa che andare all’indietro, non fa che disfare invece di fare. E questa nuova batosta elettorale è un altro segnale preciso. Anche l’opposizione ha dunque la possibilità di cambiare, collaborando alle riforme. Ma è la sua ultima spiaggia. Se non si libera ora dalla morsa dell’estremismo, del giustizialismo, dell’andare a rimorchio dell’ultimo Di Pietro o Beppe Grillo di turno, questa sinistra è spacciata. Il Pd lo sa benissimo. Tuttavia è evidente che così come per dialogare occorre essere in due, prima ancora di sedersi al tavolo l’opposizione che voglia davvero essere costruttiva deve decidere che cosa intende essere, che cosa vuol fare da grande. Le riforme possono essere lo snodo cruciale, le colonne d’Ercole del Pd (e dell’Udc). Vedremo su questo punto; senza però dover attendere in eterno. Abbiamo di fronte tre anni da impiegare al meglio; un’occasione storica. Se non ora, quando? Giustizia/Schifani: una riforma che dia parità tra difesa e accusa “Occorre una riforma che consenta al cittadino di sentirsi in posizione paritaria tra chi lo difende e chi lo accusa, con una reale e organica autonomia del giudice rispetto al pm”. Il presidente del Senato, Renato Schifani, in un’intervista al Corriere della Sera parla della riforma della giustizia che si augura possa essere avviata insieme alle riforme costituzionali. La seconda carica dello Stato spiega perchè è necessaria anche una separazione delle carriere: “già la normativa attuale che separa le funzioni stra producendo dei frutti, ma il problema è anche culturale, la separazione delle carriere opera un netto distinguo psicologico e istituzionale tra chi accusa e chi giudica”. E poi la riforma del Csm: “non vi è dubbio che per riconoscimento unanime si muove su basi correntizie, che di per sè non costituiscono garanzia di piena e totale neutralità di giudizio”. Schifani parla anche del ddl sulle intercettazioni ricordando di aver lanciato un appello per una pausa di riflessione: “ora mi aspetto che dia i suoi frutti, da parte di tutte le forze politiche”. “Occorre un giusto bilanciamento - spiega - tra l’esigenza di impedire la pubblicazione di intercettazioni che a volte danneggiano anche l’andamento delle indagini e quella tesa a disciplinare l’utilizzo delle stesse come strumento di indagine, per regolarne meglio la durata oltre la tipologia dei reati per i quali possono essere utilizzate. Ritengo che il disegno di legge affronti abbastanza compiutamente il primo problema, mentre sul secondo aspetto è nato un confronto acceso sul pericolo che la formula ‘evidenti indizi di colpevolezza’ vanifichi l’uso di un importante mezzo istruttorio”, ecco perchè Schifani dice di aver “apprezzato la disponibilità del ministro Alfano a rivedere la formulazione”.