USA: STOP ALL’IRAQ NEL 2010
Mar 2nd, 2009 | Di cc | Categoria: EsteriSi al ritiro entro l’anno prossimo. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha annuito alle parole sul piano per il ritorno delle truppe Usa dall’Iraq. Il suo discorso davanti ai marine di Camp Lejeune nel North Carolina affermando che soldati resteranno nel Paese del Golfo tra i 35 e i 50mila dopo il 31 agosto 2010, data entro cui sarà completato il ritiro delle truppe da combattimento. “L’Iraq non è ancora sicuro”, ha poi detto il numero uno della Casa Bianca sottolineando, però, che d’ora in poi “l’America andrà in guerra solo con obiettivi fissati con chiarezza”. La decisione del presidente di lasciare comunque una forte presenza militare per consolidare la stabilità del Paese è stata elogiata al Congresso dai repubblicani, tra i quali il senatore John Mccain che è stato rivale di Obama nella corsa alla presidenza Usa. Camp Lejeunne è una base dei Marine da dove 8.000 soldati partiranno per l’Afghanistan, Paese in cui le condizioni di sicurezza stanno peggiorando. Dai 35mila ai 50mila uomini resteranno in Iraq contro i 142mila attuali, per addestrare ed equipaggiare i soldati iracheni, proteggere i progetti di ricostruzione e condurre limitate operazioni antiterrorismo, aveva spiegato in precedenza un ufficiale.
Il presidente Barack Obama ha annunciato che entro l’agosto del 2010 finiranno tutte le azioni di combattimento in Iraq anche se tra i 35mila e i 50mila soldati potranno restare nel Paese sino al 2011 a sostegno del governo iracheno e delle forze di sicurezza. “L’Iraq non è ancora sicuro”, ha detto Obama in un discorso nella base dei marine di Camp Lejeune nel North Carolina, aggiungendo che restano all’orizzonte dei giorni difficili ma che la sua amministrazione intende ritirare tutte le truppe Usa dall’Iraq per la fine del 2011. A sei anni dall’ingresso nel Paese delle forze a guida americana per estromettere dal potere Saddam Hussein, l’annuncio rappresenta una mossa storica nella guerra impopolare che è costata enormemente sia in termini economici che di vite umane all’America (4.250 soldati morti) e che ha segnato la presidenza di George W. Bush, oltre che la percezione degli Stati Uniti nel mondo.