Per capire che le “rivelazioni” di Ciancimino jr. sono una pagliacciata non occorre molto, basta un po’ di ricostruzione giornalistica. Il Messaggero di oggi propone tre esempi.· Massimo Ciancimino disse che il padre, Vito, faceva parte di Gladio: ma il suo nome non figura in alcuna lista, né in quelle depositate al Senato né in altre di presunti simpatizzanti.· Sempre Vito avrebbe detto al figlio che lo Stato si rivolse a Bernardo Provenzano per trovare il covo dove era nascosto Aldo Moro; ma altri e più attendibili pentiti dichiararono che i servizi segreti chiesero ad un altro boss, Tommaso Buscetta, il padrino che tra l’altro raccontò molte cose a Giovanni Falcone.· Uno dei cardini delle “rivelazioni” è l’abbattimento del Dc9 di Ustica, ma Massimo Ciancimino sbaglia data, ed indica come ministro Attilio Ruffini, che non era più in carica da mesi. Potremmo aggiungere qualche altra perla.· Secondo il rampollo di don Vito, la nascita di Forza Italia fu il frutto di un patto tra Stato e mafia dopo le stragi del ’92 (Falcone e Borsellino) e ’93 (Firenze, Roma e Milano). Gli ultimi di questi attentati, a San Giorgio al Velabro a Roma ed a via Palestro a Milano, avvennero nel luglio 1993. Ma Silvio Berlusconi inizia a parlare dell’ipotesi di entrare in politica già nel ’92, e dopo lunghe riflessioni – alcune pubbliche – lo statuto di “Forza Italia-Associazione per il Buon Governo” viene depositato a Milano presso lo studio del notaio Roveda il 29 giugno 1993. Lo firma tra gli altri l’ideologo del movimento, Giuliano Urbani.· Ancora. Forza Italia sarebbe nata con l’appoggio della mafia, ma proprio in quel 1993 sindaco di Palermo, con il 75 per cento dei voti, viene eletto Leoluca Orlando, il quale sarà confermato nel ’97. A quelle prime elezioni supera facilmente Elda Pucci, della Dc (incidentalmente soprannominata “lady di ferro proprio per l’impegno antimafia). Da che parte stesse Leoluca Orlando non c’è bisogno di aggiungerlo: prima nelle Rete, poi nell’Unione, nel Pd, sempre appoggiato dall’Italia dei Valori.· Quanto alla giunta regionale siciliana, nel ’92-’93 la presiede Giuseppe Campione, della sinistra Dc, che forma un governo con il Pds. Nel ’95 gli succede una giunta centrista che resta in carica fino al 1996: nessuno di Forza Italia è nel governo della Sicilia.· Alle Politiche 1994 Forza Italia diviene di poco (21 per cento contro il 20,4 del Pds) il primo partito italiano nel proporzionale alla Camera. Il grosso dei voti viene dalle quattro grandi regioni del Nord. In Sicilia, come nel Lazio, il distacco è tra i più ridotti.· Nonostante il successo alle Regionali, che si svolgono poco dopo, il primo governo Berlusconi si dimette il 17 gennaio 1995 dopo l’abbandono della Lega. Nel ’96 vince, di poco, l’Ulivo. Sarebbero questi gli effetti del patto tra Forza Italia e mafia?Fermiamoci qui e diamo una rapida occhiata a Massimo Ciancimino e alle operazioni politiche che gli ruotano intorno. Già giudicato teste inattendibile dalla Corte d’Appello di Palermo, su di lui grava questo giudizio di Giuseppe Di Lello, magistrato a fianco prima di Falcone e Borsellino, poi nel pool antimafia di Antonino Caponnetto: “Massimo Ciancimino sta facendo parlare un morto, suo padre, ed i morti non sono attendibili. Tanto più se racconta che quel padre era dispiaciuto per il sacco di Palermo, lui che come sindaco ne fu l’autore per conto della mafia”. E ricordiamo che neppure Giancarlo Caselli dette mai credito ai “pentimenti” dei Ciancimino.E’ noto che il “pentito” ha accumulato ingenti patrimoni di famiglia all’estero, e che intorno a questi ruota l’immunità che potrebbe essergli concessa. Ma le sue “rivelazioni” ricordano e seguono a pochi mesi quelle di un altro “pentito”, Gaspare Spatuzza, che accusò Berlusconi delle stesse cose, sempre per sentito dire, salvo essere smentito dagli stessi boss che gliele avrebbero confidate.E la politica? Antonio Di Pietro, appena reduce dalla svolta “per l’alternativa ”, parla già di “governo mafioso”. Il cambio di casacca è durato poco. Eppure non mancano, neppure nell’Idv, voci che giudicano Ciancimino jr. inattendibile: come Pino Arlacchi, un lungo passato di indagini contro la criminalità organizzata anche internazionale. Ma in questo momento Di Pietro deve ricucire con la frangia degli irriducibili giustizialisti che gli garantiscono la base elettorale, e soprattutto deve tener buono Luigi De Magistris, il suo più pericoloso avversario interno.Quanto al Pd, assistiamo ad un silenzio che parla da solo. Tranne qualche distinguo qua e là, la linea della segreteria è tartufesca: mettere la testa sotto la sabbia in uno dei tentativi più gravi di destabilizzare la democrazia e rovesciare la volontà popolare con una montatura mediatico-giudiziaria evidente a tutti. Parola d’ordine, “lasciar lavorare i magistrati”. Come se questi magistrati, ed il loro “lavoro”, garantissero il sigillo della verità. Il Pd, insomma, di nuovo sulla linea Repubblica. E dire che nel Partito democratico non mancano certo gli esperti di procure e di mafia.Ma le elezioni incombono, il Pd è alla frutta e Bersani ha evidentemente deciso di riporre nel cassetto i suoi buoni propositi. Anche lui, come tutta la sua nomenklatura, tiene evidentemente famiglia e mira alla sopravvivenza.
Ancora una volta segnaliamo il distinguo netto dell’Udc: Pier Ferdinando Casini si è dissociato con parole chiare nel metodo e nel merito dall’intera operazione. Ed ancora un volta non possiamo che concludere: per Casini ed i moderati cattolici e centristi i fatti sono lì, con tutta l’evidenza del caso. Non resta, se vuole, che agire con coerenza. Con quali compagni di strada, e con quali metodi, rischia di ritrovarsi, e quale fine può fare il suo partito, lo sa; oggi ancora più di prima.
*ilmattinale