Il Pd: Prigioniero del giustizialismo

Gen 29th, 2010 | Di cc | Categoria: Cronaca Nazionale

Si era detto e scritto (e anche sperato) che l’avvento di Bersani alla segreteria del Pd sarebbe stato di fatto una rifondazione del vecchio Pci, o, per non andare troppi indietro, del Pds. Magari… In realtà l’attuale leader sta traghettando il partito dal comunismo allo sfascismo, legandosi mani e piedi al giustizialismo qualunquista di Antonio Di Pietro.

Ancora visibilmente scosso dal ceffone delle primarie pugliesi e dallo scandalo rosso-rosa di Bologna, Bersani non ha trovato di meglio che consolidare l’alleanza strategica con l’Italia dei valori, annunciando l’accordo in 11 regioni sulle 13 chiamate al voto (mancano all’appello solo Campania e Calabria) e definendo il lavoro congiunto coi dipietristi “una base molto solida per costruire un’alternativa nazionale”.Un’“alleanza per oggi e per domani”.

Dunque, nessun passo indietro rispetto a un’alleanza nazionale ma “due passi avanti: se non trovassimo un punto d’incontro, il Paese come si libera da questa cappa di regime, dove si dice che tutto va bene e invece va bene solo per qualche evasore?”. Parole abituali sulla bocca dell’ex pm, dalle quali perfino Franceschini si era sempre, prudentemente, smarcato, mentre ieri Bersani ha ripetutamente annuito, dando così la visibile sensazione di un definitivo abbandono del progetto riformista.

Sta riprendendo forma, insomma, quel grottesco comitato di liberazione nazionale da Berlusconi lanciato da Casini subito prima dell’aggressione al premier. Non a caso ieri l’agenda politica l’ha dettata Di Pietro, insistendo sulla necessità di redigere “un programma di coalizione, un’alleanza aperta a tutte le formazioni politiche, laiche, cattoliche”, che si uniscono “sulla base del programma” e ponendo come requisiti “la credibilità della classe dirigente e la lealtà nella collaborazione”.

Quello che Bersani ha lanciato ieri appare dunque come un segnale di grande confusione e debolezza, un passo indietro verso il populismo e il giustizialismo che segna il fallimento del progetto politico su cui era nato il Pd.

Eppure, quando fu eletto, delineò il profilo di una forza di opposizione che cerca di presentarsi come alternativa di governo (e per questo vuole sfuggire al giustizialismo e alla demonizzazione di Berlusconi), che vuole imporre nell’agenda politica i temi del “sociale”, che costruisce un solido sistema di alleanze, che si propone come l’unica forza riformatrice sfidando la maggioranza sul piano del “fare”. Sembrò un programma serio, mutuato dalla tradizione del comunismo emiliano che si è sempre distinti per il suo pragmatismo che rifuggiva dall’ideologismo assurto a sistema.

Invece, dopo appena novanta giorni di gestione del partito, Bersani si trova già costretto nell’angolo, senza una bussola politica certa, con il partito sempre più diviso e con lo spettro - evocato da Castagnetti - dello sfarinamento del Pd dopo le regionali. Per questo si è aggrappato a Di Pietro, autocondannandosi così a un sicuro fallimento politico.

* il mattinale

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