GIADA ZANOLA: UN VOLO DI 15 METRI LE TARPA LE ALI

Giu 7th, 2024 | Di cciotola | Categoria: Scuola e Giovani

Aveva pubblicato uno scatto con un rossetto rosso il 25 novembre scorso, in occasione della giornata

mondiale contro la violenza sulle donne, ma all’alba del 29 maggio Giada Zanola è la diciassettesima vittima

di femminicidio dall’inizio del 2024.

E così il 3 giugno, a Vigonza, luogo di residenza della trentaquattrenne bresciana, un’altra fiaccolata

illumina le strade, con la speranza di risvegliare le coscienze e fermare questa strage sistematica.

Appare agli inquirenti come un suicidio, il volo di quindici metri di Giada dal cavalcavia sopra l’autostrada

A4 di Vigonza: dopo l’impatto, le macchine cercano disperatamente di evitare il corpo, ma un tir non riesce

a fermarsi e la travolge. Gli amici la descrivono come una persona solare, con voglia di vivere, che non

aveva mai manifestato propositi suicidi, e soprattutto “una vera mamma” che non avrebbe mai lasciato suo

figlio di tre anni. Qualcosa non torna. Una telecamera pubblica riprende le auto sulla A4 che evitano il

corpo, mentre quella privata di un’abitazione ai piedi del cavalcavia immortala, un minuto e quaranta

secondi dopo l’impatto, i fari di una macchina che fa inversione.

È l’auto di Andrea Favero, camionista trentanovenne con cui Giada era ormai separata in casa.

Quando gli inquirenti, che stavano indagando su un possibile suicidio, riferiscono che la sua auto fosse stata

vista all’ora della caduta sul cavalcavia, Favero ammette: “Sono stato io, l’ho presa per le ginocchia e l’ho

buttata giù”. Giada Zanola e Andrea Favero si sarebbero dovuti sposare il 21 settembre, ma le nozze erano

state annullate: Giada voleva separarsi e aveva intrapreso una nuova relazione, con la piena

consapevolezza di Favero. Lui è descritto dagli amici come “possessivo e geloso”: suona come l’inizio di un

film già visto. Dopo le ammissioni in sede di sommarie informazioni, l’indagato ritratta: “non ricordo se e

come ho reagito”. Un black out o solo un tentativo di temporeggiare prima di preparare una strategia

difensiva? L’ammissione resa precedentemente, non in sede di interrogatorio di garanzia, non sarà

utilizzabile in fase processuale. Nella nuova versione fornita al sostituto procuratore di Padova, Giorgio

Falcone, Favero riferisce di non avere “memoria precisa di come si siano svolti i fatti” e di avere “come un

vuoto”. Dichiara agli inquirenti che la sera del 28 maggio avrebbero cominciato a litigare dentro casa, e che

a un certo punto della lite, Giada si sarebbe allontanata a piedi verso il cavalcavia. Allora, l’avrebbe seguita

in auto e fatta salire per riportarla a casa. La prima parte della versione fa già sorgere dei dubbi: Giada,

descritta da tutti come una madre che non avrebbe mai abbandonato il figlio, si sarebbe incamminata di

notte verso un’autostrada lasciando il figlio di tre anni a casa? “Mi sbraitava addosso come spesso

ultimamente faceva” – prosegue - “dicendo che mi avrebbe tolto il bambino e che non me lo avrebbe fatto

più vedere…il bimbo è la mia ragione di vita”. L’indagato racconta poi, che una volta arrivati sul cavalcavia,

lui e Giada sarebbero “scesi dall’autovettura” e che lei avrebbe continuato a ripetergli che gli “avrebbe

tolto il bambino”, ma aggiunge: “non ricordo se e come ho reagito”. L’indagato afferma di essere tornato a

casa da solo e di aver pensato soltanto al figlio, senza chiedersi cosa potesse essere successo a Giada.

Riferisce di essersi accorto che lei non fosse in casa direttamente il mattino seguente, “tanto è vero” – dice

–“ che le ho mandato un messaggio”. Il messaggio a cui fa riferimento Favero è quello inviato dal suo

telefono a quello di Giada alle 7.38 del mattino del 29 maggio: “Sei a lavoro??Non ci hai nemmeno

salutato!!”. Gli inquirenti non credono alla nuova versione dell’indagato e ritengono il contatto telefonico

con la vittima solo una messa in scena. Il tentativo di depistaggio di Favero riprende una trama ripetitiva:

anche Impagnatiello, assassino di Giulia Tramontano, successivamente all’omicidio, aveva inviato dei

messaggi alla ragazza chiedendole di tornare a casa. Oltre a presentarsi come un racconto inverosimile, e a

contraddire la precedente ammissione, la versione del trentanovenne viene anche messa in crisi da

elementi che farebbero pensare ad uno scenario totalmente diverso: quando la polizia era giunta a casa di

Favero, l’uomo presentava lividi ed escoriazioni sui polsi che testimonierebbero un tentativo di difesa da

parte di Giada in vicende precedenti a quella dell’omicidio. L’ipotesi di violenza domestica sarebbe

confermata da alcune foto di ematomi che la donna aveva mandato ad un’amica e al nuovo fidanzato. A tal

proposito, gli inquirenti non sono ancora riusciti a trovare il cellulare della vittima, iniziando a nutrire il

sospetto che Favero lo abbia fatto sparire con il fine di occultare le prove degli episodi di violenza

domestica, senza sapere che Giada le avesse già inviate all’amica e al fidanzato. L’eventuale ritrovamento

del cellulare rappresenterebbe in tal senso uno snodo cruciale, aiutando a chiarire la natura tossica del

rapporto ma anche l’ombra del revenge porn: dalle indagini sembrerebbe in effetti che Favero minacciasse

Giada di diffondere video intimi che la ritraevano. Alla luce di tali elementi, è da ritenersi fondato il

sospetto che a far sparire il cellulare sia stato proprio l’indagato. Il telefono dell’uomo invece, verrà

sottoposto ad una perizia informatica. Restano ancora degli interrogativi, primo fra tutti: come avrebbe

fatto Favero a spingere Giada mentre era cosciente? La questione si pone a causa della particolare struttura

della protezione del cavalcavia: in effetti la ringhiera è alta circa due metri e poggia su una sorta di gradino.

Sembra difficile che il corpo di una persona cosciente, in grado di difendersi e di divincolarsi, possa essere

prima sollevato sul gradino e poi gettato oltre la protezione di due metri. L’ipotesi che Giada fosse già

morta prima di essere gettata, però, è stata smentita dall’autopsia: il Professore Claudio Terranova infatti

non ha riscontrato ferite da arma da taglio o strangolamento, e dunque si ritiene che Giada sia stata gettata

quando era ancora in vita. Il Professore non esclude però che possa essere stata tramortita o drogata: resta

da attendere dunque il risultato degli esami tossicologici. L’esito sarà rilevante per capire se Giada, già

drogata a casa, sia stata portata sul cavalcavia al fine di simulare un suicidio: questa ipotesi infatti potrebbe

integrare la premeditazione. Il PM sostiene che Andrea Favero “ha subito una serie di colpi che lo hanno

caricato al punto di perdere completamente la testa e uccidere la Zanola”. I “colpi” a cui fa riferimento

l’accusa sono i problemi economici, la vita da separati in casa, la nuova relazione di Giada, l’imminente

nuovo lavoro che l’avrebbe portata a stare a stretto contatto con il nuovo fidanzato, la possibile fine della

convivenza, e la reiterata di minaccia di togliergli il figlio. Questa narrativa però rischia di colpevolizzare,

come spesso accade, la vittima, e di non riconoscere la schematicità in cui si inserisce il comportamento di

Favero. Sulla base delle attuali ipotesi infatti, emergono elementi tipici o frequenti di uno schema ben

preciso: possessività, violenza domestica, revenge porn, ed infine, l’omicidio. Si tratta del modus operandi

tipico del femminicida. Il femminicidio non comincia con l’atto brutale dell’assassinio, ma molto prima: ha

origine nella violenza psicologica, spesso si evolve in violenza fisica, ed infine culmina nell’atto

dell’omicidio. È un fenomeno che deriva dalla cultura dello stupro, una diretta conseguenza del patriarcato,

che ha profondamente radicalizzato nella società l’idea della donna – oggetto, priva della possibilità di

autodeterminarsi, nata per soddisfare i bisogni altrui, per cui chi la “possiede”, può disporne liberamente:

controllarla, manovrarla, violarla, annientarla. Il culmine, il femminicidio, si raggiunge quando l’uomo perde

il controllo della vittima, non riesce più a soggiogarla, sottometterla, possederla: quando scopre che non

può più disporne a proprio piacimento. La criminologa Bruzzone infatti, si è espressa sul caso durante la

trasmissione “Ore14” di Milo Infante, e dopo aver precisato che non crede “minimamente al black out”, ha

ritenuto necessario specificare, relativamente alle minacce di Giada di privare Favero del figlio, cui spesso

l’indagato ha fatto riferimento, che “nessun padre che fa il padre, perde i figli”, e che in realtà “questo tipo

di uomini non tollera l’umiliazione che deriva dal fatto di essere stati lasciati e non concepisce che una

donna possa avere il diritto di riprendersi in mano la vita”. La dottoressa Bruzzone ha poi concluso: “non

aggiungiamo orrore alla nefandezza di quanto commesso”.

Giada, con la eventuale conclusione del rapporto di convivenza e l’arrivo del nuovo lavoro, stava per voltare

pagina, ma chi diceva di amarla, glielo ha impedito, tarpandole definitivamente le ali.

Giulia Tramontano, uccisa dal fidanzato, aveva deciso di voltare pagina e crescere da sola il bambino che

aveva in grembo.

Giulia Cecchettin, uccisa dal suo ex fidanzato, stava per voltare pagina, laurearsi dopo pochi giorni, per poi

trasferirsi ed inseguire il suo sogno.

Ma a loro, come a tante altre donne, chi diceva di amarle, glielo ha impedito.

Favero ha infine dichiarato agli inquirenti: “la amo ancora”. In attesa di una rivoluzione culturale, che riesca

a sradicare la pericolosa equazione patriarcale e retorica tra amore e possessività, e che educhi gli uomini a

riconoscere le donne come soggetti, titolari di diritti e meritevoli di rispetto degli stessi, purtroppo non

resta che ricordare a tutte loro, come ribadito sui manifesti durante la fiaccolata tenutasi in onore di Giada,

che “l’amore non uccide”.

Candida Cuzzolino

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