Un attenta e concreta analisi dettata nell’Omelia dell’ Arcivescovo di Napoli Battaglia, oggi al Santuario della Madonna di Pompei.

Ott 3rd, 2021 | Di cciotola | Categoria: Religione

Un attenta analisi e una riflessione sull’Omelia dell’Arcivescovo di Napoli Battaglia, oggi al Santuario

della Madonna di Pompei.

Carissime sorelle e fratelli,

è una gioia per me essere qui con voi, in questo giorno così solenne ma allo stesso tempo, familiare,

intimo, perché abitato da un incrocio di sguardi che sanno di cielo, come ogni sguardo che lega una

madre e i suoi figli. Oggi Maria di Nazareth, Madre della Chiesa, gioisce nel vedere uniti i suoi figli

intorno a lei e i figli si rallegrano nel respirare il calore del suo abbraccio, calore che porteranno con

sé una volta lasciate le mura sicure di casa, e a cui attingeranno ogni qual volta la strada si farà

impervia e il cammino tortuoso. Grazie Fratello Vescovo Tommaso, per avermi invitato in questa

città di Maria e avermi permesso di spezzare con voi e per voi il pane della Parola del suo Figlio!

Maria ripete e propone unicamente la Parola del Figlio. Se la guardiamo nei Vangeli la ritroviamo

disponibile ad accogliere la Parola, pronta a metterla in pratica, beata per avervi creduto, rapida

nell’indicarla come univa via possibile di salvezza, di gioia e di fraternità.

Ogni qualvolta ci rivolgiamo a lei, ci sentiamo ripetere le parole che disse a Cana: fate quello che vi

dirà! Rispondendo a quest’invito, ci addentriamo così nella buona notizia del Vangelo: ecco,

dovremmo sempre ricordarcelo, la Parola di Dio, il Vangelo è buona notizia! E il frutto di una

buona notizia è lo spuntare di un sorriso sul volto, di una lacrima di gioia dagli occhi, di un vigore

nuovo e prezioso capace di dare slancio alle fatiche quotidiane. Qual è la buona notizia che il

Vangelo oggi ci consegna? È che Dio non è il Dio dei grandi e dei potenti ma dei piccoli, degli

umili, di coloro che non contano niente agli occhi del mondo ma che lui non dimentica e per i quali

interviene, a tutela della loro dignità di figli, della loro uguaglianza di fratelli e sorelle amati dal

Padre!

Domandano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie e ovviamente, in linea con la

tradizione religiosa, la risposta appare scontata: si, è lecito! Mosè infatti ha permesso al marito di

scrivere un atto di ripudio per mandar via la propria moglie. Ma Gesù interviene spiegando e

prendendo le distanze: Mosè scrisse questa norma per la durezza del vostro cuore. È la sclerocardia

il terreno su cui andrà a seminare Mosè e questo ci fa comprendere come spesso le regole, le norme,

più che riflettere l’intenzione originaria e liberante del Padre diventano un compromesso che

rispecchia la piccolezza e la durezza del cuore degli uomini. Non può passare sott’occhio il fatto che

ad essere oggetto di ripudio, nella questione posta a Gesù, è unicamente la donna, la quale era ben

lontana dal godere degli stessi diritti dell’uomo, ridotta così ad un mero oggetto di possesso di cui

potersi disfare attraverso il ripudio. Intervenendo con chiarezza, Gesù non ristabilisce solo una

sacralità della relazione, ma riporta tutti alla sorgente dell’Amore. Quell’amore che al principio creò

l’uomo e la donna uguali nella dignità, nella bellezza, nel rispecchiare, insieme, l’immagine e la

somiglianza di Dio! E così la parola di Gesù diventa baluardo di difesa dell’amore vero, autentico,

lontano dal possesso e dal dominio e nello stesso tempo si fa strumento di liberazione per la donna,

che entra nella logica dell’amore matrimoniale con gli stessi diritti e doveri dell’uomo. Così, mentre

noi corriamo il rischio di cercare tra questi versi evangelici esclusivamente un pronunciamento

chiaro sulla fine di un amore, Gesù ci riporta all’inizio dell’amore, al suo principio, riconsegnandoci

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al sogno di un Dio che non separa ma unisce, che non crea logiche di dominio ma di condivisione,

che affida la scintilla del proprio amore alle mani fragili dell’uomo e della donna, invitandoli alla

cura vicendevole e al rispetto autentico. Provate a pensare la grande emozione del “per sempre”… ti

sposo per sempre, l’emozione di questa sfida: sei come sigillo sulla mia carne, sul mio cuore…

pensate cosa diventa questa emozione del “per sempre” quando la si impoverisce, la si appiattisce

ad un precetto. E quello che sto dicendo per l’indissolubilità vale anche per la fedeltà: che spesso è

impoverita a “non tradire l’altro” e non invece interpretata a investimento di fiducia nell’altro, come

evoca la parola, a passione per la sua immagine, a rispetto tenero del suo volto, a scommessa

sull’altro, sulla sua creatività e libertà.

Due sposi, nel giorno del matrimonio, non dovrebbero promettere di stare insieme per sempre, ma

di tenere per sempre vivo l’amore. È questo che consente loro di crescere. La fedeltà quotidiana

“all’inizio” per non ricadere nella solitudine. Perché il male è la solitudine. Dio non è per la

solitudine. La solitudine, come la distanza, non è colmata dai discorsi, è colmata da uno sguardo, da

una carezza, da un abbraccio.

La questione che il Signore pone, come vedete, è ben più grande del semplice quesito del ripudio: è

un invito alla condivisione, alla protezione, alla difesa e alla custodia del suo sogno che è amore

infinito ed eterno!

Un amore che sovverte ogni ragionamento mondano, ogni cerimoniale umano, dando rilievo a ciò

che agli occhi dei grandi non conta, rimettendo al centro coloro che dall’ambizione egoistica

vengono posti ai margini, annientando le distanze che separano i piccoli e gli ultimi dal posto che il

sogno di Dio assegna loro: il suo cuore.

Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso. Gesù è chiaro: prendete

esempio dai più piccoli, dalla loro fiducia, dalla loro istintiva bontà, dalla semplicità con cui

accolgono le parole che vengono rivolte. È un inversione di prospettiva: anche chi è più piccolo va

ascoltato e lasciato avvicinare, perché ha cose da dire, da chiedere, da ricevere, perché è senz’altro

potere che non sia il suo esistere.

Il Vangelo ci mostra così l’atteggiamento dei discepoli, ancora distanti dall’essere in sintonia con il

pensiero del Maestro e per questo pronti ad allontanare con fastidio i bambini provocando

l’indignazione di Gesù. I bambini a quel tempo - ma quante volte anche al nostro - contavano poco,

erano senza diritti, la loro parola non veniva ascoltata e il loro volere era considerato privo di

valore. I bambini erano e sono ancora un segno dei fragili, dei piccoli, degli ultimi. Molti bambini

non sono invisibili, ma non veduti. E ogni qualvolta che la comunità cristiana non si mette al loro

servizio ma piuttosto con il suo comportamento li respinge, li calpesta, li ignora privandoli così di

camminare verso la bellezza, la pienezza, la dignità che Dio desidera per loro, l’atteggiamento di

Gesù nei suoi riguardi è di indignazione! Il Maestro, sempre paziente e disponibile, non sopporta

che venga lesa la dignità dei piccoli, calpestato il diritto dei bambini, annientato il desiderio di

felicità degli ultimi! L’indignazione di Gesù si tramuta però in sorriso e benedizione ogni qualvolta

la Chiesa e la comunità tutta rimettono al centro i bambini, accogliendoli con tenerezza, curandoli

con competenza, prodigandosi per la fioritura della loro vita!

Il futuro è dei piccoli, e ogni futuro va costruito nel presente, nella capacità di accogliere, di agire

per il giusto oggi, affinché il domani veda innalzato chi è umiliato adesso.

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Quante volte invece le nostre parole incoerenti, l’egoismo delle nostre azioni tradisce l’amore e la

giustizia? Quante volte allontaniamo da noi i bambini, gli indifesi, e non ci accorgiamo della

durezza dei nostri cuori?

Molti ragazzi vengono definiti a rischio di devianza. Ma forse, a essere a rischio è la nostra capacita

di amare e di accogliere. Disponibilità ad abbracciare i più piccoli e a non ripudiare nessuno è non

tanto fare domande come i farisei, ma saper offrire risposte.

Qui a Pompei tocchiamo con mano quanto al Signore stiano a cuore i bambini e gli ultimi! Qui

l’indignazione di Gesù nei riguardi di coloro che violano i piccoli, usurpandone i diritti e la dignità,

diviene sorriso, gioia, benedizione, sigillo inossidabile di autenticità posto su tutti coloro che

accogliendo i bambini, tutelandone la vita, ponendosi al servizio della loro crescita mostrano la

duplice vocazione di questa terra, fecondata dall’apostolato di Bartolo Longo: essere una casa di

preghiera, essere un santuario di carità!

E non è un caso che questo avvenga sotto lo sguardo e la custodia di Maria, donna della speranza,

madre dell’amore, che ci indica continuamente la strada della felicità, invitandoci a seguire Gesù, ad

ascoltare la sua Parola e credervi con generosità. Come ha creduto lei, prima discepola del Figlio,

attraversando le domande della vita, dando a Dio la possibilità di parlare nella parte più profonda

della sua anima! Ed è per questo che dagli abissi del suo cuore sale il canto di speranza, un canto

che non è solo di Maria ma di tutto il popolo: “Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i

superbi nei pensieri del loro cuore, ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha

ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi”.

Maria ci invita così a riconoscere le tracce di Dio nella storia e dentro di noi, sapendo che Lui si è

già fatto vicino, presente, lo abbiamo già incontrato, lo incontriamo ogni giorno sulle strade della

nostra quotidianità. I poveri e gli ultimi conoscono la potenza dell’amore del Signore, perché la sua

signoria li risolleva dalla loro condizione. Il Signore accoglie la sofferenza, le lacrime, il dolore, delle

periferie di questa storia, del grido inascoltato. La vita di chi sembra non avere più dignità davanti

agli uomini, è già amata e salvata, perché è nelle mani di Dio. Maria ci conferma in questa verità…

C’è un canto che proviene dall’America Latina e che cantiamo spesso, nella versione italiana, nei

nostri santuari e nelle nostre chiese: Santa Maria del Cammino. A volte, come spesso accade con le

canzoni, lo cantiamo senza conoscere da dove viene e il contesto da cui ha preso vita. Quel canto

nasce dalla voce di tanti campesinos che verso la fine della seconda metà del secolo scorso,

trovarono nella Parola di liberazione e di salvezza di Gesù, la forza e il motivo per organizzarsi e

lottare pacificamente e senza violenza contro il sistema di oppressione che rendeva i poveri sempre

più poveri, schiacciandoli nella loro dignità di figli di Dio! A chi guardavano quegli umili contadini?

A chi decisero di chiedere aiuto, compagnia, audacia se non all’umile ragazza di Nazareth, alla

Madre dei piccoli e dei poveri, alla Donna del Magnificat? E così nelle loro marcie di protesta, nelle

processioni dopo il lavoro, nel segreto della loro preghiera, portando ai suoi piedi i desideri di bene

di tutta l’umanità si rivolgevano alla loro Madre, cantando: Vieni o madre in mezzo noi, vieni

Maria quaggiù! Cammineremo insieme a te, verso la libertà!

Oggi, guardando a Maria in quest’ora così cara a tanti suoi figli e figlie sparse per il mondo, dinanzi

alla complessità di un tempo storico in cui le avversità sembrano tarpare le ali all’entusiasmo del

futuro e l’egoismo dei cuori appare il pericolo più grande per l’intera umanità e perfino per il

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pianeta, chiediamo anche noi alla nostra Madre di diventare nostra compagna di viaggio,

promettendole di tenerla accanto a noi, senza relegarla nella nicchia di un altare ma consentendole

di abitare nei nostri cuori, tra le nostre case, mentre una mano sgrana il suo rosario benedetto, dolce

catena che ci rannoda a Dio e l’altra mano dona un pasto ad un povero, una carezza ad un

bambino, un aiuto ad un anziano.

Facendo mie le parole del canto, con voi e per voi vorrei ripetere a Maria:

Madre nostra, Donna del Magnificat, donaci il coraggio di credere che mentre trascorre la vita,

nessuno di noi è mai solo, poiché tu, santa Maria del Cammino, sempre sei con noi. E quando

qualcuno ci dice rassegnato: “Nulla mai cambierà”, ridesta in noi il desiderio di lottare per un

mondo nuovo, di lottare per la verità! E se nel nostro quotidiano, lungo la strada di tutti i giorni,

incontriamo persone chiuse in sé stesse, senza una meta apparente, aiutaci a fare il primo passo,

offrendo per primi la mano a chi ci è vicino. E quando la stanchezza ci afferra e ci sembra inutile

continuare a lottare, ricordaci che nessuna fatica d’amore andrà perduta e che sul solco del nostro

cammino, altri uomini e altre donne si metteranno alla sequela del bene, alla sequela del tuo Figlio.

Vieni o Madre in mezzo a noi, vieni, Maria quaggiù.

Cammineremo insieme a te verso la libertà.

Amen!

Giovanni Mammana

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