Ma che razza di azienda è la Rai?

Dic 21st, 2009 | Di cc | Categoria: Spettacoli e Cultura

Quale amministratore delegato o quale consiglio di amministrazione di una qualsivoglia impresa, meccanica o editoriale, terrebbe a contratto un dipendente o un collaboratore che di quell’azienda, dei suoi prodotti  e dei suoi dirigenti dice pubblicamente peste e corna? Non diciamo in Italia ma nel mondo, quale giornale e quale direttore (da Repubblica al New York Times), quale televisione (dalla Cnn alla Bbc) accetterebbe di tenere sotto contratto e di pagare un giornalista che su quella testata, sul web, in convegni pubblici e interviste insulta i colleghi e ne addita al disprezzo il lavoro? Accetterebbe Ezio Mauro, per un solo minuto, di tenere in redazione un giornalista che racconta per come e per quanto Repubblica sia un pessimo giornale con un pessimo direttore e con pessimi editoriali? E infine: quale dipendente (o giornalista), che così si comporta, non avvertirebbe il dovere e non avrebbe la decenza di rassegnare le dimissioni e togliere il disturbo, rinunciando al suo più o meno lauto compenso? La risposta a quest’ultimo interrogativo è facile ed ha un nome e cognome: Marco Travaglio.

Possiamo partire dal recente giudizio sullo Speciale Tg1 (“quella merda di trasmissione”), passando per gli insulti a Vespa, poi al direttore del Tg1 Minzolini (“il punto più basso toccato dalla televisione”), al suo predecessore Riotta (“pensavo che peggio di lui non fosse possibile”), all’inviato Pino Scaccia (“nasconde le notizie”), al conduttore Attilio Romita (“ride sempre, ma cos’ha da ridere?”). Siamo stati parchi di esempi ma tanto basta. O meglio, pensiamo che dovrebbe bastare: non tanto all’ineffabile Federazione della Stampa che lo elegge a paladino della libertà di stampa (mai che difenda i colleghi insultati sul piano personale e professionale), quanto piuttosto ai vertici della Rai, dai quali ci si attenderebbe una presa di posizione, una parola, un atto, un gesto “a garanzia” dei suoi direttori e dei suoi giornalisti. Anticipiamo le proteste dei grillini e dei travaglini: qui non stiamo invocando la censura. Qui si dice semplicemente che da nessuna parte al mondo e a nessun dipendente è permesso di “sputtanare” in pubblico l’azienda che lo paga e i prodotti che confeziona. La libertà di stampa non ha nulla a che fare con tutto questo. Si può parlar male della Rai, di chi la fa e delle sue trasmissioni, ma in questo caso ci si presenta come “ospite” e si esce senza un euro in più. Santoro sarà lieto di invitarlo, come è già accaduto. Se ti siedi alla tavola del padrone di casa, non sputi nel piatto e non scappi con l’argenteria. Soprattutto se viene pagata dai contribuenti. Un contratto ha le sue regole e per chi non le rispetta è prevista anche la rescissione. Ma lo sanno alla Rai? 

fonte il mattinale

Lascia un commento

Devi essere Autenticato per scrivere un commento