La questione Battista e la nebbia degli anni di piombo

Nov 6th, 2018 | Di cc | Categoria: Politica

di Edoardo Barra

 

 La questione Battista, ritornata in auge in questi giorni con l’elezione del presidente Bolsonaro in Brasile e la conseguente possibilità di estradizione, riapre di fatto una ferita i cui contorni ancora oggi rimangono vaghi. L’arresto di Battista nulla cambierebbe rispetto a quello che è stato e nemmeno aggiungerebbe elementi per la comprensione di quegli anni. L’arresto però darebbe valore alla parola “giustizia” per i familiari e concederebbe, così come ha affermato il Segretario Generale dell’UGL, Paolo Capone, “al nostro Paese di fare i conti con almeno una delle innumerevoli storie di giustizia negata che hanno minato alla radice la fiducia fra il popolo e le istituzioni”. E qui ritorniamo al punto principale. Senza un’analisi e una specifica conoscenza dell’accaduto risulta difficile relegare a residui di storia lontana fatti e circostanze troppo spesso caratterizzati da una ricostruzione poco limpida. Vicende che, in ogni caso, hanno visto il formarsi di una o più generazioni. Sotto l’influenza dei cosiddetti anni di piombo sono, infatti, cresciuti ragazzi che sentirono forte l’attrattiva di modelli i quali, pur se violenti, rappresentavano l’ideale rivoluzionario a cui ogni gioventù di ogni tempo aspira.

La realtà politica di allora nel nostro Paese era complessa e dopo il periodo dell’ottimismo dei primi decenni del dopoguerra, ci si trovava ad affrontare situazioni articolate sia in termini interni che internazionali. In uno scenario del genere, le contraddizioni di un tessuto sociale non omogeneo esplosero tutte sino a generare una serie di contrapposizioni che incisero in maniera profonda nella società degli anni settanta e ottanta. La destabilizzazione dello Stato era obiettivo comune dei vari fronti sia che passassero dall’ipotesi di una rivoluzione innescata da un “braccio armato”, sia che puntassero sulla strategia stragista. In ogni caso, come spesso accade, la gente si rivelò molto più concreta e pratica rimanendo ferma nel credo democratico anche grazie all’ausilio dei Sindacati che svolsero un ruolo importante nella gestione del periodo.

Ma i fumi di quell’epoca non sono svaniti con la sconfitta delle logiche che ne avevano armato le mani. Molte cose sono giunte sino a oggi, certamente diluite, ma ancora pericolosamente vitali sotto la cenere. Una certa forma di post comunismo d’azione, l’idea di una giustizia “popolare” da racchiudere però in un’elite che gestisce, il concetto di una causa comunque più giusta dell’altra e di un racconto diverso a secondo delle ideologie rappresentate, sono scorie ancora presenti. Resti che risultano pericolosi perché tendenti a motivare più che comprendere, cosa questa necessaria visto come si sta sviluppando lo scenario politico. Infatti, dopo il momento del giustizialismo mirato e della mini rivoluzione elettorale, adesso la gente, senza troppi preamboli,  pretende risposte alle proprie esigenze. Ma se da un lato abbiamo la Lega, ben radicata nei territori e conscia del proprio ruolo anche quando eleva troppo i toni, e quindi politicamente più adatta a gestire momenti complessi, dall’altro ci troviamo al cospetto di un M5S che in difficoltà per i limiti mostrati nello gestire la res pubblica, tende a riproporre termini e slogan di recente memoria basati sul disprezzo dell’avversario e la semplificazione delle questioni. Tutto ciò senza rendersi conto di come i tempi siano mutati e che agendo in questo modo si rischia di dar benzina al fuoco del contrasto sociale lasciando mano libera ai nostalgici delle rivoluzioni d’elite. Un azzardo questo che il Paese non può permettersi anche perché impegnato ad affermare la propria personalità nei confronti di euroburocrati che non vedono di buon occhio il tentativo di una nazione che, nell’ambito e nel rispetto del consesso continentale, pretende di pensare e decidere in autonomia.

 

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