governi presieduti da Silvio Berlusconi, dal 1994 ad oggi, si sono trovati ad operare in un contesto internazionale completamente diverso dai governi della Prima Repubblica:· fine della Guerra fredda e del confronto militare Est-Ovest, con la conseguenza di ridisegnare il profilo – struttura e compiti – delle Forze Armate, non più chiamate a collaborare, in senso ad un’alleanza, contro un “nemico” comune ben definito e minaccioso, ma capaci di inserirsi in mutevoli contesti di crisi dove la stessa Alleanza atlantica avrebbe assunto ruoli diversi che ne avrebbero però giustificato la propria conservazione;· ripensamento dei rapporti diplomatici in tutte le direzioni mirati a costruire vaste alleanze contro chi minaccia la pace e la viola (caso della Prima guerra del Golfo), a favore della ricostruzione di Paesi devastati da conflitti (casi dell’Iraq, dell’Afghanistan, del Kossovo, del Libano) e, in misura crescente, per isolare le centrali del terrorismo e mettere sotto controllo i loro “santuari”;· priorità allo sviluppo economico, all’intensificazione degli scambi commerciali che rafforzano la pace, quindi alla riduzione delle barriere tariffarie, ma allo stesso tempo lotta contro le pratiche che alterano i principi della concorrenza, sia in campo commerciale sia – come si è visto più di recente – in capo finanziario;· sicurezza degli approvvigionamenti essenziali, anzitutto quelli di natura energetica (petrolio e gas), ma con una consapevolezza sempre più grande delle minacce globali che riguardano l’ambiente, e quindi non conoscono confini nazionali. Da un lato, quindi, accordi con i produttori di petrolio e gas; dall’altro lato, impegno a controllare le emissioni nocive per ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici: accordi di Tokyo e prossima conferenza di Copenhagen;· controllo dei flussi migratori che, da un lato, corrispondono all’applicazione del principio di libera circolazione delle persone – oltre che delle merci e dei capitali –, e, dall’altro lato, sono il sintomo più evidente dei grandi squilibri economici di cui sono vittima alcuni Paesi;· ingresso tumultuoso sulla scena di nuovi grandi Paesi sul piano industriale e commerciale: Cina, India e Brasile in primo luogo. Si tratta di un fenomeno che si è progressivamente accelerato negli ultimi dieci anni e che sta rivoluzionando le statistiche economiche mondiali, stabilendo nuove gerarchie alle quali un Paese medio, qual è l’Italia, non dotato di particolari risorse naturali, deve adattarsi se non vuole retrocedere e perdere quote nel commercio internazionale. A questi cambiamenti strutturali, la politica estera italiana ha reagito in vari modi:· incrementando la propria presenza nelle missioni militari all’estero: dai Balcani (Kosovo) al Medio Oriente vicino (Libano) e al Medio Oriente profondo (Iraq, Afghanistan);· allargando e potenziando il fronte dei fornitori di petrolio e gas (dall’Algeria alla Libia, dalla Russia ai nuovi produttori dell’area caucasica) e contribuendo alle infrastrutture (gasdotti e oleodotti), sia con iniziative direttamente governative (come nel caso della soluzione definitiva del contenzioso con la Libia) sia affiancando le imprese italiane operanti all’estero;· riorientamento delle missioni diplomatiche verso obiettivi economici a sostegno delle esportazioni e degli investimenti sia in entrata sia in uscita;· intensificazioni degli incontri politici al massimo livello con i paesi dell’area mediterranea, del Medio e dell’Estremo Oriente, che sono le aree più vitali dal punto di vista commerciale e finanziario. Tutto questo è avvenuto ed avviene in un quadro di potenziamento dei rapporti di pace e di collaborazione tra le maggiori potenze:· riaffermazione del ruolo prioritario dell’alleanza con gli Stati Uniti, con concreto appoggio, politico e/o operativo, alle loro iniziative;· centralità dell’alleanza tra la Nato e la Russia (Pratica di Mare) per dare continuità al dopo Guerra fredda e assicurare non solo la pace in Europa ma anche il coinvolgimento della Russia nelle aree di crisi affinché metta a disposizione il suo peso diplomatico, economico e militare; · riconoscimento del ruolo dei Paesi emergenti, come è avvenuto con il vertice allargato a L’Aquila;· appoggio alle istituzioni internazionali, Onu in testa, nella misura in cui queste sono realmente rappresentative della situazione internazionale (questione delle riforma del Consiglio di sicurezza);· soluzione per via bilaterale di alcuni problemi specifici, come quello dell’immigrazione clandestina, e parallela sollecitazione ad azioni comuni: in particolare da parte dell’Unione europea che non può lasciare soli i Paesi di “primo sbarco”.Come nota aggiuntiva, si può rilevare il contributo personale di Silvio Berlusconi, ormai diventato il decano dei principali vertici internazionali. I buoni rapporti personali tra i leader sono infatti, nel clima del dopo Guerra fredda, un elemento importante delle relazioni internazionali, che restano tuttavia legate al principio dell’interesse nazionale, ma necessariamente si aprono anche al riconoscimento di esigenze globali, come dimostra il recente maggiore impegno di Usa e Cina sulle questioni climatiche. Pur nell’infuriare di polemiche legate alla politica interna, alle emergenze economiche (crisi finanziaria) e naturali (terremoto in Abruzzo), il Governo ha continuato a svolgere con coerenza la politica estera con una serie di fatti che contano molto più delle parole e che hanno ottenuto riconoscimenti internazionali. Il Mattinale