Strane straniere: storie di diversità ed integrazione

Mar 9th, 2017 | Di cc | Categoria: Spettacoli e Cultura

Cinque storie di cinque donne diverse raccontate da una regista donna che con sensibilità e attenzione dettagliatamente mostra alla macchina da presa come si possa essere uguali nella diversità.

Strane Straniere, prodotto dall’Istituto Luce Cinecittà, ha già vinto il Premio Afrodite come miglior documentario dell’anno per aver mostrato “come le donne sono capaci di ricostruire la propria identità oltre l’emigrazione, il dolore, le delusioni, la fatica di un vivere che non meritava il loro piccolo grande coraggio”. La regista le segue nel loro quotidiano, entrando nelle loro vite con la stessa rispettosa grazia già mostrata in Fuoristrada, e ne raccoglie confessioni e ricordi intimi. Il risultato è la fotografia di un’immigrazione diversa e radiosa che rifugge lo stereotipo per sottolineare la tenacia di cinque donne diverse eppure accomunate dal medesimo desiderio di rivendicare la propria identità e realizzare i propri obiettivi.

Una regia virtuosa che segue le protagoniste senza invadenza: -Le lasci perché smetti di filmarle ma poi ci vivi insieme tutti i giorni perché le rivedi al montaggio, queste le parole della regista- che continuando aggiunge: Non c’è un vero e proprio strappo, solo un modo diverso di viverle. Devi trasformare l’atteggiamento più istintivo e sentimentale delle riprese in una posizione più lucida e cinica che ti permetta di decidere cosa può entrare nel film e cosa, invece, deve rimanerne fuori. Ho girato più di cento ore e trovare i fili che unissero queste donne è stato difficilissimo.

Una fotografia che resta ai margini del racconto, il documentarista ha da raccontare e la bellezza di un documentario è proprio di lasciarti sorprendere quando meno te l’aspetti.

Dietro alle nuove traiettorie del documentario italiano, Elisa Amoruso si prende nuovamente l’onere di raccontare l’Italia dei margini e dei confini, dissotterrando le storie di cinque strane straniere. Ana è croata ed è arrivata a Roma per studiare architettura. Nella fila per chiedere il permesso di soggiorno conosce Ljuba, una sua coetanea serba con cui condivide l’amore per l’arte. Tra le due nasce immediatamente una grandissima amicizia. Radoslava, dalla Bulgaria ha seguito un uomo che l’ha portata sulle coste toscane. Abbandonata dal proprio compagno, il mare e la passione per la pesca l’hanno convinta a restare. Sihem, tunisina con un divorzio difficile alle spalle, ha invece deciso di aiutare le persone in difficoltà, straniere e italiane, attraverso la sua associazione. Sonia, infine, è arrivata a Roma per seguire un marito non troppo convinto e ha aperto uno dei ristoranti cinesi più famosi della capitale.

Tratto da un importante lavoro dell’antropologa Maria Antonietta Mariani, co-autrice della sceneggiatura, Strane Straniere ha il coraggio di affrontare l’immigrazione, uno dei temi chiavi del dibattito socio-politico italiano, da un punto di vista diverso da quelli proposti dagli stanchi schieramenti ideologici. Al di là del buonismo di facciata o dell’ottuso manicheismo xenofobo, Elisa Amoruso, dopo l’esperienza di Fuoristrada, mette al centro del discorso la vita, la storia e i corpi di 5 donne, testimoni concrete di una realtà che va oltre la narrativa manieristica. Gli esempi delle protagoniste che, partite da situazioni svantaggiate di emarginazione e d’isolamento, hanno dimostrato con tenacia e abnegazione di volercela fare, sono immagini concrete di un femminismo che mostra la propria forza senza doverla gridare. Anche se l’impostazione della Amoruso richiama chiaramente la lezione di Gianfranco Rosi, la regista cerca di restare solo sulle parole delle donne, pronte con naturalezza e sincerità a raccontarsi e raccontare. I fallimenti, i dolori e i sogni di queste cinque straniere-italiane, diverse per estrazione e cultura ma identiche per coraggio, grazie al filtro del racconto della Amoruso, diventano, così,  capitoli di un discorso coerente e lucido, il piccolo messaggio da un Paese, nascosto, ma profondamente reale.

Ciro Sarnataro

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