La parrucchiera: racconto di una Napoli colorata tra passato e futuro

Apr 7th, 2017 | Di cc | Categoria: Spettacoli e Cultura

Sin dalle prime inquadrature intuiamo che avremo a che fare con  una Napoli coloratissima, multiculturale, favolistica, problematica ma pur sempre materna. Questo e molto altro è il nuovo film di Stefano Incerti; “la parrucchiera”, un film che ti lascia spiazzato che come riesce a fondere in un mix tra musical e sociale, le bellezze e le paure della città di Napoli.

Una città/mondo che sembra non avere confini proprio perché assorbe naturalmente ogni situazione e linea narrativa rilanciandola come fosse un vero e proprio personaggio del film. Rosa è una solare ragazza madre che fa la parrucchiera, è costretta a licenziarsi per le troppe avance del viscido marito della proprietaria del negozio e decide così di aprire un’attività in proprio con l’aiuto di un’inquietante e bizzarra strozzina/cartomante. Testa e tempesta vuole essere un piccolo salone di bellezza dove i tagli contro crisi sono spesso gratuiti e dove si sperimentano nuove fantasiose colorazioni autocnone (il “vesuviush”). Lo “scheletro” principale della trama è però solo è solo il pretesto  dal quale diramano però  una miriade di situazioni collaterali (amori, gelosie, vendette, violenza improvvisa) e personaggi di contorno che circondano Rosa (come la coraggiosa vicina di casa transessuale o l’ex fidanzato innamorato che vuole fare da padre a suo figlio), che superano ogni barriera culturale (dal gender all’etnia). Umori e colori che richiamano alla memoria Pappi Corsicato e Pedro Almodovar in una Napoli declinata decisamente al femminile.

Un’umanità ribollente, viva ed animosa che però non riesce a evadere dalle gabbie narrative del film, la crisi, i soldi, la televisione spazzatura, i 15 minuti di celebrità, la violenza endemica delle periferie, le piccole truffe e i pentimenti, diventano le tematiche facili da trattare ma difficile da far rimanere impresse nella memoria, un film che cavalca l’onda della emotività sociale e che ad un certo punto appare fatalmente addomesticato non riuscendo a sfruttare appieno le sue carte vincenti. Un film che sa comunque parlare con il linguaggio del cinema, un linguaggio di rara bellezza formale con guizzi che si ricorderanno ma con qualche inevitabile imperfezione. Ma se vogliamo che cosa c’è di più bello di una imperfezione messa al posto giusto?

Salvatore Aulicino Mazzei

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