La politica, il potere e il bene comune

Nov 28th, 2017 | Di cc | Categoria: Politica

di Elia Fiorillo

C’è modo e modo d’esercitare il potere. C’è chi sceglie di chiudersi nelle

quattro mura di casa e fidarsi solo dei famigli. E chi, invece, utilizza tutti quei

soggetti che ritiene leali verso di lui e le proprie idee. Bella differenza che s’avverte -

quando c’è - particolarmente in politica.

La casa chiusa restringe le competenze. I fidati saranno pure tali ma in fatto

di conoscenze potranno averle in materie determinate. Chi invece punta sulla lealtà

dei propri collaboratori può avere una prateria sterminata di persone su cui

contare. Tra i due comportamenti gestionali c’è spesso una differenza di base,

ovvero quale obiettivo si vuole raggiungere.

Nel primo caso il potere e basta. Tutto è finalizzato ad occupare “posti al sole”

in un crescendo ossessivo. Non contano i programmi, gli obiettivi che dovrebbero

essere alla base di tutto. Certo, sono importanti per “la carriera” ma vengono dopo i

compromessi, gli accordi sottobanco con i capi bastone del momento, che non hanno

niente a che vedere con il ruolo pubblico o privato che si andrà a ricoprire. Parliamo

d’interessi di parte dove il cosiddetto “bene comune” non è altro che un’utopia dei

soliti creduloni. Comunque, ci sarà sempre tempo per presentare percorsi operativi

attesi da anni. E la “catena di Sant’Antonio” continuerà senza fine nell’attesa,

appunto, di un miracolo.

I virtuosi - pochi in verità quelli che riescono a raggiungere significativi livelli

di “potere” - ci sono e fanno una fatica inaudita per portare avanti le loro idee, senza

accettare compromessi o cose simili. L’età non c’entra. Puoi essere un giovane

pimpante o un vecchio matusalemme per stare sullo stesso piano o delle idealità, o

dello sfrenato arrivismo.

Certi fenomeni sono ben presenti e visibili in politica. Non è un caso se circa il

quaranta per cento degli elettori non va a votare. O se il trenta per cento dei votanti

sceglie per protesta un partito definito impropriamente “anti sistema”. Il problema

è come cambiare registro, come premiare le idealità contro gli interessi esasperati

di bottega.

Le responsabilità dell’attuale stato di cose vanno cercate a trecentosessanta

gradi. Più colpevoli di altri sono quei “benpensanti”, anche dal medio-alto profilo

culturale, che non si abbassano a combattere battaglie contro la politica politicante.

Perché dovrebbero sporcarsi le mani - e l’immagine - confrontandosi con “certi

loschi figuri”, a loro avviso, dei partiti? Insomma, uno scaricabarile senza fine che

premia i soliti noti.

C’è da riflettere su come vengono visti nel nostro Paese i politici e la politica.

L’opinione pubblica, nella stragrande maggioranza, vede la classe politica con livore

e conseguentemente la politica in modo negativo. Non come la necessaria ed

insopprimibile “gestione della polis”, ma come un mezzo d’arrichimento improprio.

Uno strumento per compiere il “grande salto di qualità” di ruolo nella vita. Non è

sempre così. Tante le donne e gli uomini di buona volontà che s’impegnano nel

sociale per spirito di servizio, per passione, per dare un senso alla propria

esistenza. Sono questi i soggetti che possono ridare ai cittadini fiducia nella politica.

Persone scomode per i profondi convincimenti che si portano dietro e che non sono

disposti a barattare.

In periodo di campagna elettorale la parola d’ordine per i partiti è vincere. Ed

è una cosa comprensibile. Le trovate pirotecniche sono all’ordine del giorno. Non si

porta agli elettori, nella maggior parte dei casi, il conto di quello che si è fatto, sia

stando all’opposizione che al governo. Si parla di “futuro”, come se il “passato” non

fosse determinante.

Tante nei territori le donne e gli uomini di buona volontà che credono e

s’impegnano per il “bene comune”. Ci sono tra loro giovani e meno giovani,

professionisti, imprenditori, artigiani, docenti universitari, gente comune. È su

questi soggetti che bisogna puntare per far fare alla politica un cambio di passo che

la società civile invoca da tempo.

No, non basta essere un ottimo imprenditore, o industriale, o insegnante, o

altro per essere un buon politico. Se non hai alle spalle un’esperienza consolidata

anche nel “sociale”, se non ti sei mai confrontato con gli altri per il raggiungimento

di un obiettivo non personale, è difficile che saprai gestire la cosa pubblica. Difficile,

non impossibile. Ogni regola ha le sue eccezioni.

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