The Young Pope: la rivoluzione della religiosità oltranzista
Ott 14th, 2016 | Di cc | Categoria: Spettacoli e Cultura
The Young Pope, il giovane papa, di Paolo Sorrentino, ha il volto di Jude Law. Dieci puntate di una serie televisiva con produzione internazionale, 40 milioni di euro spesi. All’anteprima romana di qualche giorno fa, si è subito vista la mano del regista. Sorrentino, come sempre, esprime la sua arte in modo sfacciato e, dunque, provoca. Stavolta ci propone una storia che crediamo susciterà un dibattito ben più acceso di quello alimentatosi intorno a La grande bellezza (2013).
Un Papa ultra-conservatore, un anti-Bergoglio che viene dall’America! Questa potrebbe essere una delle numerose letture della serie. Già, poiché ce ne sono diverse, come spesso accade quando a dirigere è questo talentuoso cineasta, il quale fa del virtuosismo una “arma” per affrontare indirettamente tematiche politiche e sociali.
Lenny Belardo è un giovane cardinale che ascende a sorpresa, col nome di Pio XIII, al soglio pontificio,Belardo vuole portare avanti una rivoluzione nel mondo della Chiesa. una specie di Rivoluzione Conservatrice in chiave cattolica, aristocratica e anti-liberale in completa antitesi con la “rivoluzione” di papa Bergoglio che ha portato alla Chiesa una ventata di umanità. Il giovane papa è un Leader religioso a tutto tondo, che ricerca la potenza del Cattolicesimo. Senza pietà per nessuno, Pio XIII intende annientare qualsiasi forma di nichilismo buonista all’interno del Vaticano. Dalle prime battute potrebbe sembrare un personaggio amorale ma al contrario, egli è forse privo di fede, ma pieno di valori, dotato inoltre di un umorismo devastante.
Questo immaginario Papa che viene da Oltreoceano appare ad un attento osservatore e conoscitore delle tendenze della società americana, appartenente a quella corrente politica e intellettuale che si abbevera con gli scritti di Julius Evola.
Alla stregua del filosofo estremista, Belardo mira a ristabilire la tradizione, ovviamente non esoterico-pagana, come nel caso di Evola, bensì cattolica.
Una lunga sequenza iniziale senza nemmeno un dialogo, così inizia il primo episodio. Le immagini e le atmosfere sono sovente sufficienti in un autore della levatura artistica di Sorrentino. Eppure, in questa sua opera si parla moltissimo. I dialoghi si alternano alla ricerca quasi ossessiva di una “immagine pittorica”, che è la caratteristica principale del regista. Jude Law si conferma puntualmente un sapiente interprete del ruolo che gli viene affidato; gli bastano pochi minuti per affascinare lo spettatore.
Il regista napoletano non manca mai di mostrare la bellezza di Roma, persino nei momenti in cui ne stigmatizza la decadenza morale, una lezione che da “La grande bellezza” in poi ha reso Sorrentino amato o odiato.
Considerato un autore arrogante e pretenzioso, Sorrentino è prima di tutto un regista dal talento puro che riesce come un buon coach a tirare fuori il meglio dagli attori che dirige. A tal proposito, possiamo citare Silvio Orlando, che il regista ha spinto a livelli di recitazione mai visti prima (lo stesso dicasi per Diane Keaton), al momento del confronto con i critici in sala. L’attore napoletano in una recente intervista, ha ricordato quella certa mentalità – da decenni causa di enormi mali nella cultura italiana, nata e sviluppatasi nell’ambito della sinistra dal ‘68 in poi – per la quale la ricerca della bellezza fine a se stessa viene giudicata “volgare”. Sorrentino utilizza l’immagine per veicolare un messaggio, non essendo mai questa, come erroneamente pensa Orlando, autoreferenziale.
Probabilmente se Sorrentino fosse stato francese vista la sua incessante ricerca dell’estetica, gli sarebbe già stato dedicato un centro di studi sul cinema, in Italia amiamo mettere tutto in discussione ed anche davanti ad una prova importante come una produzione internazionale di tal fatta, siamo soliti storcere il naso.
Il grande Dino Risi, mettendo in scena i “mostri” dell’italianità, aveva ed ha colpito nel segno consegnando ai posteri una immagine cristallizzata dei vizi italiani, quell’italiano medio per dirla con termine moderno, schiavo del pregiudizio e poco amante della novità.
Salvatore Aulicino Mazzei