Partito democratico “chi ci capisce è bravo”
Feb 22nd, 2017 | Di cc | Categoria: Politica
di Elia Fiorillo
“Chi ci capisce è… bravo”. Nella vicenda divisoria del Pd pare che ci capiscano solo il segretario del partito Renzi e i suoi contestatori: Emiliani, Rossi, Speranza. A parole tutti vogliono l’unità ma poi le zeppe per scassare non si contano. Renzi parla di ricatti: “Scissione è una delle parole peggiori, peggio c’è solo la parola ricatto”. I suoi avversari, invece, del segretario che si è dimesso per celebrare al più presto il Congresso ricordano la voglia assolutistica e il super ego che pur di (stra)vincere non pensa alle sorti del partito. O, meglio, ci pensa, ma ad un partito personale dove lui, e solo lui, è il conducator.
La verità è che la scissione politica nel Pd si consumò quel 4 di dicembre dell’anno scorso – giorno in cui si festeggia S. Barbara, protettrice dai fulmini e dai tuoni - quando il terzo referendum costituzionale nella storia della Repubblica venne bocciato dall’elettorato. La riforma Renzi-Boschi, per cui il presidente del Consiglio dell’epoca tanto si era speso, vide il voto contrario dell’opposizione interna con un ringalluzzito Massimo D’Alema in testa. “La riforma costituzionale è sbagliata, confusa e riduce la sovranità popolare”, andava ripetendo “baffino di ferro” nella campagna referendaria. E, ancora, D’alema contro Renzi: “E’ Matteo Renzi che ha consegnato l’Italia al movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo. Ha cacciato come un ladro di polli Ignazio Marino davanti ad un notaio, per consegnare Roma a Virginia Raggi…”. Per converso il segretario del Pd così vede l’ex primo presidente del Consiglio proveniente dall’area comunista: “Di solito il suo obiettivo è distruggere il leader della sua parte quando non è lui il capo. Ci è riuscito con Prodi, Veltroni, Fassino. Vediamo se ce la farà anche stavolta”.
Insomma, i risentimenti personali e lo spirito di vendetta sono all’ordine del giorno, alla faccia di quell’aforisma che sostiene che “la politica non conosce né risentimenti personali, né lo spirito di vendetta. La politica conosce solo l’efficacia”. “La sinistra quando si è divisa ha fatto male a sé ed al Paese” ha ripetuto Valter Veltroni, ma l’appello non pare abbia sortito effetti. I giuochi, meglio i calcoli, sono stati fatti. Renzi è convinto che senza la sinistra potrà meglio governare il Partito, dimenticando che i cacicchi imbavagliati proprio dagli uscenti diventeranno i pericolosi avversari del Segretario. E la sinistra che ha fatto parlar di sé, e tanto, proprio perché inserita nel Pd, si trasformerà in una di quelle tante voci di sinistra che non hanno capacità d’incidere.
Si può immaginare con quale spirito i partiti avversari stanno seguendo le prove di scissione dei democratici. Salvini e Meloni esultano e fanno gli scongiuri perché il prossimo prevedibile “botto” avvenga . Loro due sanno che l’ex Cav. dovrà ripensare a certe sue posizioni non in linea con Fratelli d’Italia e con la Lega Nord. Con il Pd che perde un pezzo importante sarà più facile pensare di ri-conquistare Palazzo Chigi, se però c’è vera unità nel centro-destra.
A Silvio Berlusconi la scissione dei dem piace fino ad un certo punto. E’ vero che il centro-destra potrà avere più possibilità di vincere, ma è anche vero che l’ex sindaco di Firenze diventa il diretto concorrente di Forza Italia. Il Pd “centrista” proverà a pescar voti proprio nelle file di Sua Emittenza. C’è un buco da colmare del 5 o 6 per cento di voti che i compagni scissionisti si porterebbero via.
Beppe Grillo, con la spaccatura del Pd, già vede il suo “MoVimento” a Palazzo Chigi e immagina il giorno della presa del potere con lui - a fianco al neo grillino presidente del Consiglio - che ringrazia la folla esultante in piazza Colonna e si sente tanto “imperatore” come lo fu Marco Aurelio. E i guai della sindaca Raggi e company? Nessun problema. Di menzogne né ha dette di più, e di più gravi, Donald Trump eppure è presidente degli Stati Uniti. La gente non ne può più dei partiti tradizionali, c’è bisogno che il “nuovo” avanzi.
Nel maggio 2014, a tre mesi dalla sua nomina a capo del Governo, Matteo Renzi vinse le elezioni europee con un record di consensi: 11 milioni di voti, pari al 40,8 per cento. Se quelle percentuali di votanti fossero state più ridotte ci sarebbe stata la scissione? Renzi sarebbe stato più prudente? E il referendum costituzionale sarebbe stato gestito in prima persona dal presidente del Consiglio? Chissà. Comunque, la scissione dei democratici, come ha sostenuto Veltroni, non serve al Paese.