Colpevoli senza riscatto.
Feb 11th, 2017 | Di cc | Categoria: Politica
di Edoardo Barra
Ci sono notizie che riempiono i giornali per giorni, storie per le quali l’opinione pubblica si divide e si confronta. Personaggi e situazioni che stazionano a lungo sulle pagine di quotidiani e periodici perché “tirano” e magari solleticano l’immaginario collettivo. Ci sono i temi politici, le tesi contrapposte, i partiti di cui si raccontano retroscena e sviluppi. Analisi su analisi, parole su parole, lucide riflessioni e chiacchiere spesso vane. In ogni caso notizie che si aggrappano alla quotidianità e restano a lungo sotto i riflettori per svariati motivi.
Ci sono poi quelle notizie limite, quei casi che pur nella loro drammaticità vengono abbandonati in maniera veloce perché infastidiscono più che attrarre, che impongono una diretta e personale chiamata in correità piuttosto che lasciare ad altri l’onere della colpa. Casi di gente comune, gente di strada che potremmo essere tutti noi e che per questo motivo esorcizziamo cancellandoli in fretta dagli occhi con la speranza di esiliarli in un posto remoto dei nostri ricordi. Un ragazzo che si suicida fa certamente colpo, ma se quello stesso gesto è accompagnato da una durissima lettera in cui, di fatto, chiama assassino ognuno di noi che facciamo parte della grande famiglia degli altri, allora diventa un calcio in bocca che fa male, che ci costringe a pensare, a valutare, a riflettere sulle nostre miserie e meschinità. Si squarcia quel velo pesante fatto dai tanti “non è certo colpa mia” o dall’alibi del “potevano”. Gli altri non ci sono in questo caso, gli altri siamo noi e vediamo la nostra immagine riflessa in quell’acquitrino di ipocrisia e impotenza nel quale ci autocommiseriamo e dal quale, paradossalmente, riusciamo a trarre la forza per andare avanti. Allora tacciamo sgomenti, avvertendo il peso di un fallimento tanto grave e pesante come quello che deve aver provato quel giovane nelle ore che hanno anticipato il suo gesto. Un peso di cui non percepiamo il senso e da cui cerchiamo di scappare.
Va bene un terremoto, un attentato, persino un omicidio purché vi sia il caso o il colpevole di turno. Invece le parole usate da quel ragazzo inchiodano le nostre anime su un muro fatto di rovi. La società, il malessere collettivo, il “mica tutti reagiscono così” non sono sufficienti a sentirsi assolti dal peccato di essere parte di quella realtà che ha stritolato chi ci ha chiamato responsabili senza possibilità di riscatto. Una lettera la cui disperazione è la più terribile delle accuse e da cui è impossibile sottrarsi. Si, perché il patibolo siamo tutti noi, noi che non riusciamo a trovare alternative alla deriva egocentrica di cui siamo affetti. Pronti a emozionarci, a indignarci, anche a condannare, ma sempre più predisposti a non grattare via quella patina di progresso e benessere sotto la quale i valori, che dovrebbero rappresentare la vera ricchezza, si impoveriscono a favore di piccoli interessi che ci illudono di essere parte del tutto.
E allora cosa rimane? Forse solo la speranza che, comprendendo il rischio che si corre, ognuno di noi cerchi di mettere riparo alla perdita d’umanità di cui siamo affetti trovando la forza di reagire per il bene comune e non solo per il proprio. Per fare questo non occorrono strategie particolari o grandi filosofie. Occorre che ci si renda conto di essere potenzialmente in grado di gridare forte un no di cui da troppo tempo si sente la mancanza. Un no alle logiche imposte da aberranti sistemi di mercato, un no alla mancanza di futuro per i nostri ragazzi, un no alle troppe disparità sociali, un no allo smarrimento.
Per sopravvivere e non solo per arrancare sulle ali della vita dobbiamo arrivare a questo oppure saremo tutti condannati a pisciarci addosso vicino ad una catena di montaggio e a leggere lettere di cui vergognarsi nel silenzio della nostra anima.