Nelle mani di chi?
Dic 18th, 2016 | Di cc | Categoria: Politica
di Edoardo Barra
L’inizio e la fine di ogni epoca è caratterizzata da un avvenimento che, a torto o ragione, rappresenta il confine tra ciò che era prima e quello che sarà dopo. Per il nostro Paese uno di quei limiti è rappresento dal Referendum del 4 dicembre scorso, quando un’idea di politica rampante e spregiudicata è stata bocciata, senza se e ma, da un indiscutibile voto popolare. Infatti, come più volte sottolineato da queste pagine, non è stato solo una valutazione legata al quesito referendario ma la risposta a una visione della realtà identificabile nel termine renzismo. E’ quindi terminata la fase ascendente del giovinotto fiorentino che, inaspettatamente, ha dovuto prendere atto della realtà e, soprattutto, della fragilità di una presa sulla gente basata solo su annunci e slide. Con questa sventola improvvisa lo stesso PD si è scoperto debole dove si era creduto forte. Non bastano i volti giovani e sorridenti, non basta saper smanettare con i social, non basta avere “confidenza” con i poteri forti, il popolo (parola troppo spesso dimenticata) vuole i fatti e valuta sui fatti. E quindi si volta pagina. Ma cambiar spartito significa attraversare una fase difficile. C’è bisogno di un periodo di gestazione, spesso confuso, nel quale si confrontano a muso duro variabili inimmaginabili sino a poco tempo prima. Il Governo Gentiloni non è certo in grado di gestire questa fase. Non lo è in quanto nasce da valutazioni basate su equilibrismi dettati più dalla paura di perdere che da una volontà di dare al Paese ciò che vuole. La logica per la quale esiste una elite in grado di determinare cosa sia meglio per il gregge è una visione purtroppo ancora viva in molti, e spesso – nella storia – è stata foriera di guai. Vi è poi, e non conta poco, il tentativo del “rottamatore rottamato” di rientrare in gioco, in barba a tutti gli annunci d’abbandono della politica in caso di sconfitta al referendum. Mica dipende da altro la conferma al governo di mezza fondazione Open (quella che fa capo a Renzi, strumento per racimolare soldi e amicizie che contano): Lotti Ministro con deleghe pesantissime, la Boschi come controllore del Premier. E nemmeno è troppo celato il tentativo di riprendersi in maniera dispotica il PD nonostante le fronde interne che si richiamano, una, a visioni certamente più in linea con la propria storia (leggi Bersani e Speranza), l’altra a una cultura di pratica ispirazione centrista (Franceschini). E, come se non bastasse, si profila all’orizzonte il referendum sul Jobs Act voluto da oltre tre milioni di persone e che, se arrivasse alle urne (con la più che probabile cancellazione delle norme in discussione), sancirebbe definitivamente il fallimento di Renzi e del suo modo di intendere la politica!
Appare dunque evidente come siamo in presenza di una crisi complessa. Una crisi determinata dall’incapacità del Partito Democratico a gestire il dopo Berlusconi, da un M5S confuso quando gli tocca calare i propri concetti in azione amministrativa e da un Centro destra sempre scosso dalla ricerca di un nuovo leader che non c’è.
A questo marasma si aggiunge il caso Sala di Milano, altra Tegola sulla testa del Pd, la quantomeno sconnessa gestione di Roma da parte della Raggi con l’arresto di quel Raffaele Marra uomo per ogni stagione e l’ipotesi di una nuova grana giudiziaria sull’onda del Ruby ter per Silvio Berlusconi.
Cosa rimane dunque? Per adesso vi è la coincidenza di un’iperattività della Magistratura che, come spesso accade, quando si presenta un vuoto politico cerca di riempirlo con la propria presenza e un Presidente della Repubblica a cui è mancato il coraggio di spezzare il filo con il recente passato.
Quel che veramente adesso servirebbe al nostro Paese è una classe politica che sappia parlare di cose reali e dotata di un’adeguata formazione. Si, siamo arrivati al rimpiangere i partiti storici e la loro capacità d’esprimere idee e prospettive. Ecco, unire la tradizione politica più vera alle esigenze attuali sarebbe un punto di partenza importante per riuscire a leggere il Paese nella giusta maniera. In fondo la forza di un partito deve essere il legame con il territorio, il saper ascoltare ed esprimere le esigenze della gente. Lo stesso vale per la prossima legge elettorale. Se si pensa che Mattarella alle ultime consultazioni ha dovuto ricevere oltre 20 formazioni politiche, alcune delle quali microscopiche, si comprende come il sistema maggioritario sia fallito e il ritorno a un proporzionale, magari adeguatamente corretto, forse sia la soluzione più semplice e immediata.