Condominio: le modifiche apportate alla proprietà del singolo condomino in violazione della normativa codicistica, aspetti sostanziali e processuali.

Dic 3rd, 2016 | Di cc | Categoria: Sindacato

L’analisi della tematica in oggetto non può che prendere spunto da una breve analisi dell’art. 1122 c.c., il quale prevede che ciascun condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni dell’edificio ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio.

Invero, già prima delle recenti riforme intervenute in materia di condominio negli edifici, la giurisprudenza di legittimità aveva avuto modo di precisare che per “opere dannose” dovessero intendersi anche “tutte quelle modifiche che comportano un peggioramento del decoro architettonico del fabbricato”, pur non risultando parte del dettato normativo della previgente normativa.

Al riguardo, giova precisare che il decoro è correlato non solo all’estetica, che è data dall’insieme delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato, imprimendogli una determinata armonia complessiva, ma anche “all’aspetto di singoli elementi o di singole parti dell’edificio che abbiano una sostanziale e formale  autonomia o siano suscettibili di considerazione autonoma.” (cfr. ex multis, Cass. 19.01.05 n. 1076).

Sul punto vale la pena precisare che, come chiarito da autorevole dottrina, la citata norma pur regolando esplicitamente il solo caso delle opere eseguite dal singolo condomino che rechino danno alle parti comuni dell’edificio, a fortiori è stata invocata per censurare il comportamento del singolo condomino che abbia recato danno ad altro condomino (Ciarla, Condominio e locazioni, pag. 142, 2010), in tal senso la giurisprudenza ha precisato che “in regime di condominio negli edifici ciascun condomino è obbligato propter rem, a non eseguire nel piano o porzione di piano, di sua proprietà, opere arrecanti pregiudizio, agli immobili di proprietà esclusiva di altri condomini” (Cass. 24.11.97 n. 11717).

Ciò posto, a questo punto bisogna domandarsi quale tutela attribuisce l’ordinamento giuridico al singolo condomino in nell’ipotesi di opere realizzate in violazione della citata normativa codicistica. Invero, nel caso di esecuzione nei locali di proprietà individuale di opere o lavori vietati in virtù dell’art. 1122 c.c. “ciascun condomino ha diritto di chiedere ed ottenere, in via di adempimento in forma specifica dell’obbligo di non fare, la demolizione delle opere illegittimamente eseguite” (Cass. 15.01.86 n. 175) che, se non adempiuto comporterebbe l’applicazione del disposto di cui all’art. 2933 comma 1 c.c. il quale, a sua volta stabilisce che in caso di inadempimento di un obbligo di non fare, l’avente diritto può ottenere, che sia distrutto a spese dell’obbligato, ciò che è stato fatto in violazione dell’obbligo.

Da un punto di vista processualcivilistico, l’azione con la quale il condomino di un edificio, chiede la rimozione di opere, che altro condomino ha effettuato in violazione degli artt. 1102, 1120 e 1122 c.c. ha natura reale, e pertanto non è suscettibile di prescrizione, in altri termini, “l’azione del condomino a tutela del decoro architettonico dell’edificio, costituisce estrinsecazione di una facoltà insita nei diritto di proprietà, è imprescrittibile in applicazione del principio per cui in facultativis non datur praescriptio. L’imprescrittibilità, tuttavia può essere superata dalla prova della usucapione del diritto a mantenere la situazione lesiva.” (Cass. 07.06.00 n. 7727).

Da ultimo, vale la pena effettuare una necessaria precisazione circa l’ipotesi, molto comune, di opere costruite all’interno della proprietà esclusiva quali ad esempio verande, ringhiere o altro e della disciplina sulle distanze tra le costruzioni. In particolare si segnala che, in dette ipotesi, il condomino, che ha realizzato la struttura sulla propria proprietà, seppur elevata sino alla soglia del balcone sovrastante, non è soggetto, rispetto a questa, all’osservanza delle distanze prescritte dall’art. 907 c.c., nel caso in cui la struttura insista esattamente nell’area del balcone, senza debordare dal suo perimetro, in modo da non limitare la veduta in avanti e a piombo, del proprietario del balcone sovrastante, giacché l’art. 907 c.c. non attribuisce a quest’ultimo, la possibilità di esercitare dal parapetto del suo balcone una inspectio o prospectio obliqua verso il basso e contemporaneamente verso l’interno della sottostante proprietà. (Cass. 16.03.93 n. 3109).

                                                                                              Marco Avecone

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