Il senso della storia.

Nov 9th, 2016 | Di cc | Categoria: Politica

di Edoardo Barra

 

Le ultime elezioni presidenziali degli Stati Uniti passeranno alla storia per due motivi: il totale fallimento dei sondaggi e l’incapacità dei media d’intercettare l’umore della gente comune. Questi sono i segni indelebili che l’elezione di Trump lascerà non solo sulla pelle della comunità americana, ma più in generale su tutto il mondo occidentale. Segnali sui quali vale la pena soffermarsi anche in una prospettiva più ampia che investe la nostra parte di mondo. Non sarà certo la nuova presidenza a far invertire la rotta della politica americana, troppi gli interessi inamovibili sui quali si basa il sistema statunitense per immaginare cambiamenti epocali. Certo, all’interno vi saranno atteggiamenti conservatori più marcati, ma occorrerà verificare anche il rapporto del nuovo presidente con un Congresso strutturalmente ostile al personaggio Trump. In politica estera, che vede il Presidente decisamente più autonomo, l’avvicinamento con la Russia addirittura potrebbe rivelarsi auspicabile per alleggerire le tensioni e coordinare una lotta più incisiva al terrorismo islamico. Per il resto poco cambierà. Lo stesso Trump appena sicuro dell’elezione ha dichiarato “sarò il Presidente di tutti” e “basta divisioni”. E’ persino arrivato a ringraziare la rivale per l’impeto messo in campagna elettorale dopo che la stessa è stata caratterizzata da un livello qualitativo d’infimo ordine con accuse reciproche del genere di tutto, di più. Ma l’America è così. Il Paese che ha vinto la guerra fredda, che ha assistito indenne alla caduta del muro, che ha sbagliato guerre e obiettivi producendo catastrofi storiche, ebbene quel Paese non ha mai mutato repentinamente il proprio essere e tantomeno lo farà oggi. Ma, come dicevamo prima, la vera deflagrazione è stata rappresentata dal tracollo dell’affidabilità dei sondaggisti e di quei mass media che pensavano di orientare più che raccontare, di determinare più che comprendere.

Una lezione che viene subito dopo quella della Brexit dove si erano già manifestati i sintomi di una “rivolta popolare” nei confronti di chi si illude di orientare e intercettare sempre e comunque il respiro della gente. Sta accadendo qualcosa che anni di relativa stabilità del mondo occidentale avevano reso impensabile. La crisi economica, quella dei valori, l’incertezza del futuro sono elementi che stanno spingendo masse di persone a non mettere più le argomentazioni al centro delle proprie scelte, ma di guardare al concreto ascoltando la pancia più che le immagini e gli spot. Questo è ormai un dato di fatto esploso nelle realtà occidentali. Non esulti nessuno per questo, né la destra né la sinistra. Non è una questione di parte, ma di rabbia. Non esiste una strategia, esiste però un perdente designato: l’istituzione del potere intesa come classe dirigente, quella che gli americani chiamano establishment.

Il tempo delle masse che si lasciano corrompere da un bel sorriso o orientare da esperti di comunicazione è al capolinea. La gente avverte sempre di più che esiste un mondo che non le appartiene, un mondo lontano che è quello del potere, ma - nello stesso tempo e forse involontariamente - prende coscienza di poter fare qualcosa, se non per convinzione almeno per “ritorsione”. Dopo l’astensionismo, grave sintomo di crisi, ma del tutto sottovalutato, adesso cambia l’arma, ecco quella rappresentata dalle reazioni manifestate nel segreto dell’urna. Reazioni imprevedibili che non sono determinate da capaci addetti all’informazione e ancor meno trovano riscontro nelle slide dei sondaggisti. Un momento quindi in cui politica e mondo dell’informazione devono valutare con attenzione ciò che succede e, soprattutto, devono ricominciare a interpretare correttamente il senso della storia.

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