La ragazza senza nome ed il cinema sociale dei Dardenne
Ott 25th, 2016 | Di cc | Categoria: Scuola e Giovani
I fratelli Dardenne registi belgi osannati dalla critica interrnazionale, amano raccontare storie “sociali” di quel sociale conflittuale e che indaga nei reconditi flussi dell’animo umano.
Giocano con i conflitti i Dardenne, in perenne bilico tra tragedia vissuta e sfiorata. Del resto i fratelli cineasta hanno cominciato con il documentario un genere che di per se stesso è portato ad indagare il mondo che ci circonda.
L’ultima fatica cinematografica , “La fille inconnue”, in italiano “La ragazza senza nome”, prende spunto da un accadimento fortuito, qualcosa che potrebbe capitare forse a qualsiasi medico, Jenny Davin, questo il nome della protagonista, è una giovane dottoressa a capo di un ambulatorio medico, una sera sentendo bussare alla porta non apre in quanto l’orario di visita è terminato.
Da questo pretesto comincia la pellicola che alcuni critici hanno definito troppo manierista, cioè troppo alla maniera dei Dardenne che troppo sicuri della giustezza della loro indagine etica forse dimenticano di oliare i meccanismi del racconto e scivolano nella maniera di se stessi.
Giovane medico di famiglia, Jenny, nonostante le rimostranze del suo stagista, una sera rifiuta di aprire il portone del suo studio dal momento che l’orario delle visite è terminato. Ma la donna che aveva bussato alla sua porta viene ritrovata uccisa l’indomani, senza documenti in dosso, senza un’identità.
Jenny è un giovane medico di famiglia di Liegi in un unico pomeriggio, prima rimprovera il suo stagista Julien per un eccesso di empatia nei confronti di un paziente poi, quando suonano alla porta dello studio fuori orario, gli impone di non aprire. Il giorno dopo però la polizia bussa a quello stesso campanello: una donna priva di documenti è stata ritrovata assassinata a pochi metri da lì. Era stata proprio lei, come confermeranno le riprese della telecamera di sorveglianza, a richiedere asilo nello studio di Jenny. Appreso ciò, Julien si licenzia seduta stante, mentre Jenny, nel tentativo di espiare il suo senso di colpa, prima rifiuta un ambito impiego-promozione, poi inizia la sua personale indagine, per restituire alla morta l’identità.
Con reminiscenze filmiche d’autore che riecheggiano un po’ Le onde del destino di Von Trier (senso di colpa e masochismo) un po’ La promessa dell’assassino di Cronenberg (quel desiderio di restituire un’identità a una ragazza assassinata), La ragazza senza nome procede senza sosta a ridosso della propria protagonista. Questa volta poi il dilemma etico in oggetto è acuito dalla professione di Jenny, peccato che i due registi non vadano a declinarlo fino in fondo, limitandosi a mettere in scena il disaccordo tra medico e stagista.
I Dardenne sguinzagliano la loro interprete (Adèle Haenel) in una lunga indagine urbana, la seguono con macchina a mano, penetrano con lei negli appartamenti dei pazienti, la accompagnano a piedi e in macchina nel corso dei sopralluoghi nei bassifondi dove va a cercare le origini della ragazza morta. L’inchiesta tiene per un po’ con il fiato sospeso, ma a lungo andare la staticità di incontri e situazioni, la sostanziale freddezza con cui sono riportati, innesca una soffocante spirale di ripetizioni.
La ragazza senza nome sembra andare avanti dunque per accumulo e le sequenze che ci sottopone oltre ad assomigliarsi per stile e significato (il senso di colpa, sempre quello) dimostrano anche qualche ingenuità.
L’ossessione espiatoria di Jenny assume poi dei toni grotteschi – decisamente fuori luogo per una pellicola del genere – quando la donna decide non solo di andare a pagare un loculo per la ragazza assassinata, ma si presenta anche al cimitero con un mazzo di margherite di ingenti dimensioni.
Per non tacere poi di quell’idillio agreste in cui ci immerge il film quando Jenny va a cercare il suo ex stagista rifugiatosi in campagna, momento che finisce per assumere dei contorni un po’ naïf.
Quando infine i fratelli Dardenne vanno a sciogliere gli ultimi nodi dell’indagine, scelgono coerentemente come ambientazione lo studio della dottoressa, là dove tutto era iniziato. Ma qualcosa non funziona in questa circolarità, appare infatti un po’ strano che improvvisamente i personaggi chiave della detection sentano tutti insieme il bisogno di andare a chiedere la redenzione dai propri peccati nello studio-confessionale della dottoressa.
Non sempre dunque basta, persino ai Dardenne, avere dalla propria il nobile intento di mettere in circolo il problema della responsabilità umana e civile, il meccanismo narrativo magari si innesca, ma la storia, come accade per La ragazza senza nome, procede a singhiozzo e tra pedinamenti e raggelati interni, camminate nel fango o nelle periferie, il talento autoriale si disperde.
Bonaccorso Letterio Amedeo