Salvini: il “Lider Màximo“ della mediaticità oppositiva
Mar 22nd, 2016 | Di cc | Categoria: PoliticaElia Fiorillo
La Lega di Bossi a buon ragione poteva definirsi “partito di lotta e di governo”. A governare ci pensava Silvio Berlusconi, con tutte le rogne conseguenti. A “lottare contro”, sulle cose che non gli andavano a genio era lui, il Senatùr. Eppure, era ministro delle Riforme istituzionali e il suo partito aveva nel governo dicasteri chiave come l’Interno e l’Agricoltura. Quando le cose andavano bene sgattaiolava davanti al premier e, battendosi il petto con ambo le mani, si prendeva meriti non sempre suoi. Così facendo tesseva la propria tela rafforzandosi nella sua Padania. L’Italia per lui diventava un’entità geografica e basta. Roma era “ladrona” e il Sud un posto dove imperava la razza terronica e la mafia, e dove venivano sperperati tanti soldi dello Stato racimolati - meglio rubati - nelle aree del Nord produttivo. L’Umberto era solito ripetere: “io conosco un solo Paese, che è la Padania. Dell’Italia non me ne frega niente”. Ma se ne fregava, eccome, del Parlamento e del Governo. Ci voleva stare, eppure comodo, perché solo così poteva portare acqua al suo Paese, che non era quello cantato dal genovese Goffredo Mameli dei Mannelli. L’opposizione fine a se stessa non lo interessava. Massimo D’Alema racconta che quando ai tempi di Tangentopoli venne varato un decreto dall’allora ministro della Giustizia Alfredo Biondi, che prevedeva per i reati di corruzione non il carcere ma gli arresti domiciliari per i rei, l’Umberto furioso prese le distanze dal presidente del Consiglio. Si precipitò a telefonare a “baffino” D’Alema, capo allora dell’opposizione, per chiedergli: “Ascolta: a Berlusconi gli dico che, se apre la crisi di governo per difendere i ladri, noi facciamo un altro governo. Ma voglio sapere se posso dirglielo”. La risposta di Massimo fu perentoria: “Si, puoi dirglielo”.
A Matteo Salvini la Padania interessa sempre perché è lì la cassaforte dei voti leghisti. I tempi però sono cambiati. Se Bossi pensava a governare con il “Berluskazz” o “Berluskaiser” di turno, all’attuale leader leghista serve altro. Primo, una Lega Nord senza confini. Secondo, un “Líder Máximo” – lui ovviamente - che disfa o cuce alleanze secondo i suoi umori e interessi. Siccome sa, ma non lo ammetterà mai - come d’altronde in altri tempi Bossi -, che il presidente del Consiglio non lo potrà mai fare in prima persona, allora punta alla leadership assoluta del dissenso e della “mediaticità oppositiva”. Così si spiega la giostra di posizioni assunte a Roma sul candidato sindaco del centro destra. Prima un sì a Guido Bertolaso in accordo con Berlusconi e Meloni. Poi la presa di distanza dall’ex capo della Protezione civile con consultazioni popolari e, ancora, la “spinta” in campo di Giorgia Meloni: “come ci sono mamme architetto o operaie, una mamma può fare il sindaco o il ministro”. Nessun problema, quindi, per le mamme che possono coniugare l’impegno istituzionale con quello familiare. Ma ci sono mamme e mamme. Secondo Salvini il ministro della funzione pubblica Marianna Madia, a suo tempo, non poteva conciliare la maternità con la funzione istituzionale: «mi domando visto che tra tre mesi partorirà quando farà il ministro. Una questione tecnica…” E, ancora: “Se Renzi vuole cambiare il mondo in tre o quattro mesi, come fa la signorina Madia a riformare la pubblica amministrazione se partorisce?”. Per converso, nessun problema per il Fratello d’Italia Giorgia che riuscirà a rivoltare come un calzino la “Roma ladrona” di un tempo, diventata poi “Mafia capitale”. La verità è che al primo leghista d’Italia interessa intestarsi, con pretesti vari, la rottura con l’ex “unto del Signore”. Non lo fa apertamente per non avere ripercussioni pesanti nelle zone a lui care. Milano, ad esempio, dove appoggia senza se ne ma Stefano Parisi voluto da Berlusconi. Una sconfitta nella “capitale morale d’Italia” non se la potrebbe permettere. Roma, invece, è una cosa diversa. Lì può aver luogo la sceneggiata centrosuddista dove lui, il Matteo padano, può sbizzarrirsi nel contraddire e mortificare il vecchio leader per tentare di prendergli il posto. Ma, soprattutto, per portare a casa il primato della “mediaticità oppositiva” che giova al suo personaggio. Insomma, al Nord tutto come nel vecchio copione bossiano. Anche perché gli ex ministri Maroni e Zaia, oggi governatori della Lombardia e del Veneto, non glielo consentirebbero. Nel resto dell’Italia invece… tutto può far brodo a Matteo “Lider Màximo”.