Giù la maschera…
Dic 19th, 2015 | Di cc | Categoria: Politica
di Edoardo Barra
Ad infliggere il colpo di grazia alla credibilità di Matteo Renzi è stato Enrico Letta quando, con un malcelato piacere, ha definito la moralità del Premier “a intermittenza”. Un’immagine devastante che, in un attimo, ha precipitato la figura del Giovin Capitano dagli altari della gloria alla polvere del più bieco malcostume politico.
Il caso Banca Etruria, con il coinvolgimento del Ministro più rappresentativo del governo, è il culmine di una serie di scricchiolii che già da qualche tempo s’avvertivano e che l’atteggiamento baldanzoso del Premier faceva sempre più fatica a celare.
Eppure il meccanismo messo in campo dal fiorentin Matteo, costruito attraverso appoggi trasversali e segnato da un opportunismo di rara portata sembrava tanto poderoso quanto inarrestabile.
La Leopolda 6 avrebbe dovuto rappresentare, nelle intenzioni della monenklatura renziana e in quelli che la indirizzano, il suggello definitivo a “lider maxìmo” del Giovin Capitano. Il suo concetto di potere, consolidato attraverso un’illibata rappresentazione di se stesso, sembrava vincente e gli avversari, o più semplicemente chi non era in sintonia con la sua linea, veniva di volta in volta etichettato come “gufo”, “brontolone”, “indovino”, insomma in una parola sola: vecchiume.
Tutto sembrava funzionare perfettamente, ma chi gioca con il potere o rimane ben saldo con i piedi per terra o ne viene travolto. Renzi ha creduto, e forse si illude ancora, di poter tutto e di riuscire, comunque, a motivarlo in maniera convincente. L’opera di persuasione collettiva, appoggiata da gran parte dei mass media, ha però cominciato a vacillare quando si è andata a scontrare con la dura realtà del marciapiede. La gente può anche essere ammaliata dalle parole, ma se a lungo andare queste non vengono tradotte in fatti il fascino lascia il posto alla delusione e quindi all’abbandono.
Nonostante le belle parole il jobs act non produce i frutti sperati, le riforme fatte non aiutano la ripresa, la tanto decantata crescita rimane in ambiti decimali, la disoccupazione complessiva (tutti quelli che il lavoro non ce l’hanno) ha raggiunto livelli impressionanti e nulla sembra segnare il cambio di passo di cui il Paese avrebbe bisogno.
E infine è piombato come un macigno il caso degli Istituti bancari salvati per decreto a danno di piccoli risparmiatori raggirati e, come se non bastasse, con implicazioni evidenti dell’esponente che più di ogni altro rappresenta il volto del Renzismo, quella Maria Elena Boschi che - tra l’altro - risiede nel consiglio direttivo della fondazione Open, la poco illuminata cassaforte renziana, insieme a Luca Lotti, Marco Carrai e Alberto Bianchi tutti, curiosamente, sistemati su influenti poltrone e gestori poco evidenti del potere renziano. Un potere fatto di intrecci, interessi, e appoggi trasversali. Una commistione che sa di muffa. Il caso Boschi e più in generale le posizioni assunte da un Governo che ha creato ricchezza per alcuni e disperazione per altri sono emblematici e non è certo l’accorata, ma prevedibile e un po’ mielosa difesa della Boschi in Parlamento a modificarne il quadro. Non è infatti è il conflitto d’interesse della Maria Elena a preoccupare ne tantomeno il patetico tentativo di difendere ciò che sino a ieri, per lei stessa, era indifendibile. Il motivo vero di preoccupazione è la superficialità, l’approssimazione e l’impreparazione condite da una enorme dose di arroganza e presunzione con cui il gruppo dei giovani rampanti capitanati da Renzi si è consegnato di fatto a interessi che lo strumentalizzano. E chi dirige le danze non può essere ne inconsapevole ne innocente.
L’attacco ai giornali e giornalisti non “allineati” è la riprova di quanto, il renzismo, si stia rivelando nello stesso tempo altezzoso e debole, incapace di sostenere la realtà ma cinico e pericoloso nel perseverare i propri scopi. Nello scontro politico sono ormai all’ordine del giorno le prese di posizione che rischiano di mettere a repentaglio gli stessi meccanismi democratici. E’ il caso dell’elezione del presidente Mattarella imposta a mo’ di schiaffo a un’opposizione che non aveva voluto piegarsi, della recente elezione dei Giudici Costituzionali eletti con l’accordo del M5S pur di colpire chi ha presentato una ben più logica mozione di sfiducia all’intero esecutivo e non solo al ministro Boschi e per ultimo le stesse mancate dimissioni della Boschi che, in qualche modo, avrebbero potuto almeno salvare la faccia dell’esecutivo. Il tutto ricoperto da una patina di moralismo che porta a benedire le indagini su Banca Etruria ma, guarda caso, ad aprire i fascicoli dell’inchiesta è un magistrato consulente di Palazzo Chigi.
Ecco allora come tutto questo diventa lo spettacolo malinconico di una dirigenza politica che gestisce senza averne le capacità, che chiacchiera senza produrre fatti, che struttura il proprio potere in funzione del potere stesso. Una rappresentazione in cui l’attore principale, che gran parte del Paese immaginava giovane e immacolato, ha improvvisamente perso la maschera rivelando un vecchio volto noto e grinzoso: il peggio del passato vestito di nuovo.