IL DECRETO COLOSSEO E I BENI CULTURALI ITALIANI

Nov 16th, 2015 | Di cc | Categoria: Spettacoli e Cultura

di Elia Fiorillo

 

Giulio Andreotti con il suo atteggiamento sardonico ripeteva: “A pensar male si fa peccato, ma si azzecca”. Mi viene in mente  il “divo Giulio” quando penso a come è nato il “decreto Colosseo” e quello che ci può essere dietro. Dopo l’assemblea autorizzata (sic), non selvaggia, dei lavoratori del Colosseo il presidente del Consiglio twittò: «Non lasceremo la cultura ostaggio di quei sindacalisti contro l’Italia. Oggi decreto legge #colosseo #lavoltabuona». Quei lavoratori erano in assemblea perché non gli venivano pagati gli straordinari di nove mesi di lavoro. Insomma, la vera beffa è che pur avendo fatto gli straordinari per tener aperto il sito archeologico il più a lungo possibile, alla fine sono stati incolpati di essere stati gli autori di un danno d’immagine irreparabile per l’Italia: “cornuti e mazziati”.

 

 La sensazione che si ha – speriamo sbagliata -  è che per il segretario del Partito democratico un po’ tutti i sindacalisti per le loro iniziative, non solo di lotta, sono “contro l’Italia”. Il manovratore non va disturbato ma sempre assecondato. Vuoi vedere che stavolta è stata  #lavoltabuona per assestare un colpo soprattutto mediatico ai rompic… del sindacato? I latini dicevano: “Unum castigabis, centum emendabis” ovvero ne castigherai uno, ne correggerai cento”.

 

Per il ministro dei Beni culturali e turismo Dario Franceschini ci troviamo difronte ad “un passaggio storico…: musei e luoghi della cultura diventano servizi pubblici essenziali. Si applica l’art. 9 della Costituzione”. Che c’è di storico, e soprattutto d’urgente, nel decreto legge approvato dalla Camera con 241 voti a favore, 102 contrari (M5S, FI, SEL) e 19 astenuti (Lega) proprio non si capisce. Franceschini l’aggettivo storico lo avrebbe potuto utilizzare se si fosse presentato alla Camera dei deputati con un decreto legge, meglio con un disegno di legge, che ridisegnava tutto l’ambito organizzativo dei musei e dei luoghi della cultura italiani per la loro fruizione, intervenendo con finanziamenti massicci per rilanciare un patrimonio che il mondo c’invidia. Il ministro non perde occasione di ricordare che l’Italia è la nazione che detiene il maggior numero di siti, ben 51, inclusi nella lista dell’Unesco dei Patrimoni dell’Umanità: dall’Arte Rupestre della val Camonica, a Venezia e la sua Laguna, alle aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata, alla Palermo arabo-normanna - con le cattedrali di Cefalù e Monreale -  riconosciuta proprio quest’anno. E, in verità, c’è ancora un bel pezzo d’Italia che andrebbe iscritta nell’attuale lista dei 51 siti.

 

Il dibattito alla Camera sul decreto in parola è stato infuocato proprio per le contraddizioni che il provvedimento ha  in sé. Se i “musei e luoghi della cultura diventano servizi pubblici essenziali” come la mettiamo con i privati? Assemblee sindacali impediscono per poche ore ai turisti di usufruire d’importanti luoghi della cultura e quando quei luoghi sono “affittati” a privati? In aula a Montecitorio ricordano quando Renzi, sindaco di Firenze, locò il Ponte Vecchio alla Ferrari e, ancora, quando la Biblioteca nazionale di Firenze è stata chiusa per una sfilata di moda.

 

Sulla vicenda Annamaria Furlan, segretaria generale della Cisl, è stata lapidaria: «Non è sollevando polveroni mediatici che si risolve il problema, l’assemblea era stata autorizzata dai dirigenti, bisogna mettersi intorno a un tavolo». Proprio quello che il presidente del Consiglio e segretario del Pd non vuole, confrontarsi con il sindacato. Non potrebbe più compiere colpi di teatro mediatici e dovrebbe, in alcuni casi, dare ragione ai sindacalisti, per esempio nel caso in parola  per straordinari al Colosseo fatti e non pagati. 

 

La strada obbligata da seguire è quella del confronto-dialogo e quest’indirizzo non vale soltanto per Matteo Renzi: solo così l’Italia potrà avanzare in concreto, senza effetti mediatici strabilianti e soprattutto effimeri e inutili.

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