Quella disinvolta e interessata transumanza dei parlamentari
Ott 28th, 2015 | Di cc | Categoria: Politica
Di storie di “salti della quaglia” da un partito all’altro c’è ne sono ad iosa. Diversi passaggi sembrano proprio dettati da meri interessi personali, da sfacciati “do ut des”.
di Elia Fiorillo
L’articolo 67 della Costituzione parla chiaro: <<Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza “vincolo di mandato”>> . Ovvero, il parlamentare è libero di non sottostare ad alcun mandato, né verso il partito in cui è stato eletto, né verso il programma elettorale che ha proposto ai cittadini che l’hanno votato. Insomma, i deputati e i senatori una volta eletti sono svincolati da doveri imperativi perché il loro primario ed unico obiettivo è quello della tutela degli interessi generali del Paese. Il <<bene comune>> prima di tutto; al di sopra di tutto.
Chissà se i padri fondatori a vedere certa transumanza da un partito ad un altro, da posizioni radicate al loro esatto opposto, avrebbero scritto così com’è ora l’articolo 67 della suprema Carta. Negli ultimi due anni trecento (sic!) cambi di casacca in Parlamento. E che c’entra il bene comune? C’entra, e come se c’entra. Pare che si sia ristretto a quello della cerchia del Parlamentare, dei suoi interessi immediati e futuri.
Il fenomeno del “trasformismo” politico - dal francese transformiste, attore specializzato nell’interpretare ruoli diversi, passando rapidamente da un travestimento ad un altro - è cosa vecchia. Trasformista fu definito il governo di Agostino Depretis (1876-1887) che s’impegnò a far convergere intorno al suo programma anche gli uomini della destra, isolando l’estrema sinistra formata allora dai socialisti, dai repubblicani e dai radicali. Nel 1986 il Partito comunista italiano accusò di trasformismo l’allora segretario del Psi, Bettino Craxi, che tubava con Ciriaco De Mita, segretario della Balena bianca: la Democrazia cristiana. Sono stati definiti trasformisti anche parlamentari come Marco Pannella e Mariotto Segni. Altri tempi. Altra stoffa di personaggi.
Era un trasformista - o qualcos’altro - il deputato Sergio De Gregorio che lascia il partito di Antonio Di Pietro per correre in salvataggio dell’amico Silvio Berlusconi, mandando in crisi il governo presieduto da Romano Prodi? Ammetterà candidamente in seguito De Gregorio di aver preso in nero per quel passaggio una mazzetta di due milioni di euro. C’è chi dice che il costo dell’operazione transumanza invece fosse di tre milioni. Milione in più, milione in meno…. Un altro caso che si ricorda di esodo biblico fu quello che vide nel 2006 la bellezza di 126 politici del Centro Destra passare sulla sponda opposta. La paura di perdere il tanto sognato “posto al sole” pare abbia fatto da stimolo per il traghettamento nello schieramento avversario. Sono cose che capitano. Ma c’è anche il caso dei così detti “Responsabili” che nel 2010 salvarono dalla mozione di sfiducia l’allora Cavaliere e presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Tra questi vanno ricordati gli onorevoli Domenico Scilipoti, leader del minuscolo e però salvifico movimento di Responsabilità nazionale, e Antonio Razzi per citare i più noti. I due parlamentari erano stati eletti nel partito-movimento fondato da Antonio Di Pietro, l’Italia dei Valori. Di quali valori si trattasse, sia per De Gregorio, che per Scilipoti e Razzi, si è ben capito in seguito: i propri. Sempre nel 2010 Francesco Saverio Romano, Giuseppe Ruvolo e Michele Pisacane, insieme a Caloggero Mannino e Giuseppe Drago, lasciano l’Udc di Pier Ferdinando Casini e fondano il partito I Popolari Italia Domani che ovviamente appoggia il governo Berlusconi. Un anno dopo, nonostante le perplessità del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per via di indagini giudiziarie che ipotizzano per Saverio Romano il concorso esterno in associazione mafiosa, questi diventa Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali.
Di storie di “salti della quaglia” da un partito all’altro c’è ne sono ad iosa. Si potrebbe continuare all’infinito. Non tutte le scelte sono in “odor di santità”, fatte nel supremo interesse del Paese, per il bene comune della collettività. Diversi passaggi sembrano proprio dettati più che da ragioni ideologiche, da meri interessi personali; da sfacciati “do ut des”. Eppure se chiedi agli interessati per quale motivo hanno voltato gabbana la risposta è secca, senza esitazioni: “per lealtà verso chi mi ha eletto”, o cose simili. E quei parlamentari che leali veramente lo sono stati verso il Paese e verso i propri elettori, che hanno sofferto in silenzio, che hanno rifiutato posti di rilievo per coerenza, che dovrebbero dire? Siamo dei fessi? Se così è noi tifiamo senza alcuna riserva per loro. Viva la Repubblica dei fessi.