Quando l’ago è lontano migliaiadi anni luce e il pagliaio è grande quanto l’Universo
Lug 30th, 2015 | Di cc | Categoria: AmbienteTerra, 28 Luglio 2015 - Negli ultimi giorni l’annuncio da parte della NASA della scoperta di Kepler 452b, il pianeta extrasolare più simile al nostro oggi conosciuto, ha fatto il giro del mondo. Ci ha ricordato che mentre noi viviamo le nostre vite, qualcuno passa la sua con il naso all’insù, cercando altri mondi dove potrebbe esserci vita, o la possibilità di essa.
Ma come si cercano questi pianeti extrasolari (ossia esterni al nostro Sistema Solare)?
Attualmente il metodo più utilizzato e promettente è quello del transito, che (come mostrato da questo breve video) consiste nel registrare ed analizzare le variazioni di luminosità delle stelle. Esso si basa su un fatto semplice ed intuitivo: un pianeta che, ruotando attorno alla sua stella, transita tra la stella ed un osservatore (come un telescopio spaziale), blocca una piccola frazione della luce stellare, riducendone periodicamente la luminosità. Poiché la riduzione di luminosità è proporzionale alla grandezza del pianeta, dall’osservazione potrà anche essere ricavato il raggio del pianeta. Inoltre, la frequenza con la quale si registra una diminuzione della luminosità ci dice quanto tempo il pianeta impiega per compiere un giro completo intorno alla stella (per cui sappiamo, per esempio, che su Kepler 452b un anno dura 385 giorni).
La sonda spaziale Kepler, lanciata nel 2009, monitora contemporaneamente e costantemente le luminosità di circa 150000 stelle della nostra galassia, la Via Lattea. I dati sono trasmessi a terra, dove vengono analizzati in cerca di periodiche variazioni di luminosità delle stelle. Grazie ai dati trasmessi da Kepler, attualmente sono stati identificati ben 1030 pianeti extrasolari (per una rapida e divertente visualizzazione di tutti i sistemi stellari trovati da Kepler, vi consigliamo questa tavola interattiva del The New York Times dove sono elencati in base alla loro ampiezza conosciuta, motivo per cui il sistema stellare Kepler 452, con i suoi 150 milioni di chilometri dalla stella,è tra gli ultimi della pagina).
Ma come si cerca tra miliardi e miliardi di stelle lontane centinaia, migliaia (o anche più) di anni luce da noi se ci sono le condizioni adatte per ospitare la vita? E anzitutto, quali sono queste condizioni?
Per quel che ne sappiamo, i fattori che sulla Terra hanno consentito la nascita della vita sono essenzialmenteuna fonte di energia (come il Sole), atomi di carbonio (elemento alla base di tutte le forme di vita terrestre) e la presenza di acqua in forma liquida, nonché la possibilità che essa si accumuli (e quindi una superficie rocciosa per accoglierla).
E’ anche vero chela vita che si è sviluppata sulla Terra potrebbe non essere l’unico tipo di vita possibile. Non parliamo dei glabri e rugosi alieni del cinema, ma delle basi chimiche della vita stessa, che potrebbero essere diverse da quelle che conosciamo.
Al momento, però,quelle presenti sulla Terra sono le uniche condizioni che sappiamo aver permesso la nascita di forme viventi, ed è per questo motivo che gli scienziati si stanno concentrando nella ricerca di pianeti che abbiano caratteristiche simili a quelle terrestri.
Per quanto riguardala temperatura della superficie di un pianeta, essa dipende essenzialmente dalla distanza del pianeta dalla sua stella (un pianeta troppo vicino sarà decisamente troppo caldo, un pianeta troppo lontano sarà troppo freddo) e dalla composizione chimica della sua atmosfera (da cui dipende la quantità di energia che raggiunge la superficie del pianeta: quanta di questa energia viene assorbita dall’atmosfera può fare la differenza tra un mondo di oceani turchesi e uno di lava incandescente).
L’area intorno ad una stella dove le temperature sono tali che l’acqua potrebbe accumularsi in forma liquida sulla superficie di un pianeta in orbita intorno a quella stella, è chiamata “zona abitabile” (rappresentata in verde nella figura sotto). A seconda della massa della stella –e quindi della sua energia-, l’estensione e la distanza della zona abitabile cambia: stelle poco energetiche (come la nana rossa del sistema Kepler 186, in figura) avranno zone abitabili più vicine e strette, stelle più energetiche (come il nostro Sole o la stella del sistema Kepler 452, in figura) avranno zone abitabili più distanti dalla stella e più ampie.
L’individuazione di pianeti che si trovino nella “zona abitabile” del loro sistema stellare è quindiil primo passonel processo di ricerca. Solo in un momento successivo all’identificazione del pianeta e delle sue dimensioni, si procede ad altre indagini per ricavare dati sulla composizione del pianeta e della sua atmosfera, che serviranno a capire anche la temperatura reale della superficie.
Per conoscere la composizione di un pianeta, cioè se è di tipo roccioso (come la Terra, ma anche Mercurio, Venere e Marte) oppure di tipo gassoso (come Giove, Saturno, Urano e Nettuno), occorre conoscere il suo raggio (quindi le sue dimensioni) e la sua massa. Combinando queste due misure si ottiene una stima della densità dell’oggetto, e quindi un’idea della sua composizione.
Attualmente si conosce la massa (e dunque si può ipotizzare una composizione) solo di una piccola percentuale dei pianeti individuati. Questo perché le attuali tecnologie non permettono di determinare la massa di oggetti molto distanti (infatti, per conoscere la composizione di Kepler 452b, che dista da noi 1400 anni luce, dovremo aspettare diversi anni). Tuttavia, da quanto osservato finora, sembra che le dimensioni del pianeta siano in relazione con la sua composizione e che un pianeta più piccolo di 1.6 volte la Terra sia con buona probabilità roccioso.
Quanti pianeti extrasolari abitabili esistono?
I 1030 pianeti scoperti dalla missione Kepler si aggiungono a quelli individuati tramite altri metodi e altri strumenti nel corso degli ultimi venti anni, per un totale di 1879 pianeti attualmente confermati. Gran parte di essi sono gassosi (o probabilmente tali) e/o troppo vicini o lontani dalla loro stella per avere acqua liquida.
Dodici di essi, però, si trovano alla “giusta” distanza dalle loro stelle e hanno dimensioni paragonabili a quelle terrestri (minori del doppio delle dimensioni della Terra), il che ne suggerisce con un’accettabile probabilità una composizione rocciosa.
E’ bene specificare che non è detto che un pianeta abitabile, cioè con le giuste condizioni termiche di composizione e di atmosfera, sia effettivamente abitato. Eppure, man mano che scopriamo quanto frequenti siano i pianeti potenzialmente abitabili, sembra sempre più probabile che su qualcuno di essi abbiano avuto o avranno luogo fenomeni simili a quelli che hanno portato alla vita sulla Terra.
Sara Catalanotti