1915-2015: A 100 ANNI DAL DRAMMA DEL GENOCIDIO DEL POPOLO ARMENO.
Gen 16th, 2015 | Di cc | Categoria: Cronaca NazionaleIl Grande Male o Metz Yeghérn come lo definiscono gli Armeni nella loro lingua, è il primo dei tragici genocidi che si sono succeduti nel secolo diciannovesimo: un milione e mezzo, forse due milioni di persone (ma la cifra esatta neanche gli storici più attendibili riescono a definirla) sono la drammatica testimonianza del punto a cui può giungere la malvagità umana ed esprimono l’ottusità di un potere, che ha annientato intere popolazioni e schiacciato impunemente persone del tutto ignare e innocenti.
L’Armenia, all’interno dell’Impero Ottomano che si reggeva dal punto di vista amministrativo sui “millet” (comunità etnico-religiose i cui capi responsabili rispondevano direttamente al Sultano), era considerata tra le componenti più fedeli alla Sublime Porta di Costantinopoli e questo rende ancora più difficile comprendere la ferocia con cui turchi, curdi e circassi, si accanirono contro la comunità armena. Per capire cosa stava alla base di questo odio bisogna risalire indietro negli anni, quando nel 1877 dopo una guerra tra la Russia zarista e l’Impero Ottomano, il territorio storico dell’Armenia venne diviso tra queste due potenze; essendo risultato sconfitto l’Impero Ottomano, nel trattato di pace era stata inserita una clausola che affidava alla Russia la tutela della minoranza armena in gran parte cristiana ortodossa (anche se di fatto la Chiesa Armena è una Chiesa cosidetta pre-calcedonese in quanto riconosce solo i primi tre Concili Ecumenici: Nicea, Costantinopoli ed Efeso). Bisogna inoltre tener conto che alla fine dell’ottocento l’Impero Ottomano era definito da tutte le cancellerie europee il “Grande malato” in quanto la vastità del territorio e la eterogeneità dei popoli in esso racchiusi, potevano diventare da un momento all’altro una polveriera nel caso fosse venuta a mancare la funzione unificante degli Osman, ovvero la dinastia al potere dal 1453 ininterrottamente a Costantinopoli. Gioverà ricordare che gli Ottomani (definizione italiana degli Osmani Selgiuchidi) unitamente agli Asburgo, da quattro secoli erano dei protagonisti fondamentali sulla scena europea e la loro potenza si era spinta sino ad insidiare l’imperiale Vienna per ben due volte, senza per altro riuscirvi. I timori e le paure delle nazioni europee trovarono puntuale conferma quando le classi dirigenti delle varie nazionalità, formatesi in gran parte a Londra, Parigi e Berlino, sul modello europeo accesero il fuoco del nazionalismo, mettendo in discussione l’impalcatura stessa dell’Impero Ottomano; per cui di fronte ad una storica popolazione, cementata sin dagli albori dalla fede cristiana, illuminata da una cultura vivacissima che trovava nella poesia e nella letteratura uno straordinario veicolo di coesione nazionale, il Sultano prima e il movimento dei Giovani Turchi poi, cercarono in ogni modo di espellere e successivamente cancellare ogni traccia della nazione armena. Il progetto di sterminio, ebbe inizio verso il 1913, quando, degli ufficiali dell’esercito Ottomano, appartenenti al movimento nazionalista dei Giovani Turchi, decisero che la Turchia che stava per nascere dal dissolvimento dell’Impero Ottomano, avrebbe avuto come caratteristica quella di non includere al suo interno nessun altro popolo, etnìa o religione diversa dalla dominante. Una nazione come l’Armenia situata a cavallo tra una linea di confine che si era rimodellata più volte lungo i secoli, veniva così a trovarsi come motivo di intralcio ad un simile progetto; la soluzione individuata fu lo sterminio programmato con freddo calcolo da gente senza scrupoli. Le sconfitte subite delle armate turche alimentarono un sentimento diffuso contro coloro che risultavano vittoriosi e per tanto cominciarono gli atti ostili contro la comunità armena al fine di eliminare un gruppo che si riteneva potesse essere una testa di ponte del nemico all’interno della Turchia. Iniziarono così i massacri in tutte le città dell’Armenia ed in altre città dell’Impero Ottomano, oltre agli eccidi venne attuato un piano di deportazione al fine di “liberare” interi territori dalla presenza armena. Si succedettero quindi eventi di una tale brutalità che tutte le legazioni diplomatiche europee non mancarono di riferire ai rispettivi governi, che per altro restarono indifferenti di fronte all’immane tragedia che si stava consumando. Il 24 aprile 1915, giorno che da allora simboleggia il ricordo del genocidio, fu dato ordine dal governo turco di arrestare dirigenti politici, capi religiosi e civili, intellettuali e uomini d’affari armeni, che vennero giustiziati nei giorni seguenti; successivamente gli armeni furono allontanati dalle loro terre e abitazioni costretti ad avviarsi verso il deserto siriano, in questo esodo forzato, migliaia di donne, vecchi e bambini morirono di fame e di stenti. Il genocidio del popolo armeno si consumò implacabile, i pochi sopravvissuti si dispersero in varie parti del mondo e l’Armenia venne ridotta dal punto di vista geografico ad una piccola nazione, inglobata successivamente nell’Unione Sovietica. Tutti i luoghi cari alla coscienza collettiva armena furono invece assorbiti dal nascente stato turco tra il silenzio impassibile di gran parte dell’opinione pubblica internazionale e il popolo armeno fu ridotto a poco più di una piccola comparsa sulla scena mondiale. Il genocidio perpetrato dai Giovani Turchi fece scuola: narrano i biografi di Hitler che pianificando lo sterminio degli ebrei egli si sia lasciato scappare una frase illuminante: “Del genocidio degli Armeni, chi ne parla più ormai!”non erano passati neanche vent’anni e già si programmava un altro sterminio: l’Olocausto del popolo ebraico. Fare memoria oggi di quei tragici avvenimenti, a fronte anche di una Turchia che tenta con ogni mezzo di presentarsi come laica e tollerante (evitando però di fare i conti con le sue responsabilità storiche!) al fine di avvalorare il suo ingresso in Europa, dev’essere un imperativo morale per tutte quelle coscienze libere che non vogliono accettare passivamente l’acquiescente oblio dei potenti ma credono possibile la costruzione di una nuova Europa a condizione che i drammi del passato non siano dimenticati e i morti innocenti siano un monito illuminante per le nuove generazioni.
UN EXCURSUS
Una delle pagine più oscure, ed al tempo stesso meno divulgate, della storia del XIX secolo é quella del genocidio perpetrato dall’Impero Ottomano prima e dai Giovani Turchi poi, ai danni delle popolazioni armene stanziate da sempre sul territorio che comprendeva la parte nord-orientale dell’attuale Turchia e sulle terre a nord dell’Impero Persiano su fino alle cime del Caucaso. Ed infatti la storia ci racconta di una nazione eternamente contesa e frazionata tra molti grandi imperi, Persiano, Ottomano, Russo e continuamente devastata ed angariata da frotte di invasori quali i Turchi Selgucidi od i Mongoli.
Le radici di questo popolo affondano già nel primo millennio a.C. quando, nel VII secolo gli armeni giunsero dalla Frisia, anche se la loro presenza nella regione anatolica è testimoniata da documenti storici già verso il 3000 a.C. Qui si fusero con la popolazione hurrita discendente degli antichi regni. Questa zona, però, era di fondamentale importanza per il controllo delle vie di comunicazione tra Oriente ed Occidente ed il suo possesso fu a lungo conteso dalle maggiori potenze militari dell’epoca. Gli armeni videro perciò passare sulle loro terre persiani, greci, romani ed arabi ma, anche grazie alla rivalità esistenti tra le varie potenze, riuscirono a sopravvivere ad ognuna di esse ed a raggiungere in alcuni momenti della sua storia, la piena indipendenza.
Tra il IV ed il VI secolo il popolo armeno definisce le caratteristiche che lo identificheranno in futuro abbracciando come religione di stato il cristianesimo (primi al mondo nell’anno 301) nella loro particolare visione monofisita e fissando come propria lingua l’armeno. Queste particolarità contribuiranno al mantenimento della propria autonomia culturale e politica, sopratutto nei riguardi dell’occidente e della Chiesa Romana, ma, al tempo stesso isoleranno l’intera nazione dai paesi confinanti arabi di fede musulmana.
Nell’undicesimo secolo l’invasione dei Turchi Selgucidi mette in ginocchio il paese e costringe parte della popolazione alla fuga in Cilicia; seguiranno però tre secoli di relativa pace, rotta, all’inizio del XVI secolo, dall’invasione ottomana che occupa la parte occidentale dell’Armenia mentre quella orientale resta sotto il dominio persiano. L’Impero Ottomano non attua una politica marcatamente repressiva nei confronti delle minoranze interne ma impone comunque, su tutto il suo territorio, la Sharia, la legge coranica, quale unica fonte di diritto, ed il popolo armeno, in quanto cristiano, dovette subire pesanti discriminazioni.
L’inizio del genocidio
Fino al XVIII secolo la condizione armena non segna sostanziali modifiche ma l’avvio del declino della potenza ottomana e la nascita del sentimento nazionale armeno, contemporaneamente alla conquista dell’indipendenza del popolo greco, aprono possibilità fino ad allora sconosciute. La contemporanea sollevazione dei popoli caucasici a reclamare la propria indipendenza e l’annessione da parte dell’Impero Russo dell’Armenia Orientale, concorrono a spezzare gli equilibri esistenti. Inoltre anche le maggiori potenze europee, ansiose di accrescere i propri interessi nell’area, premono sull’Impero pretendendo delle riforme interne che la Sublime Porta si vede costretta a prendere in considerazione. In questo clima effervescente l’azione armena si esplica su due fronti: il primo a Costantinopoli, dove il Patriarcato Armeno solleva la questione del riconoscimento della specificità armena, il secondo in Armenia dove nascono i primi partiti rivoluzionari armeni clandestini. Il Sultano Abdul Hamid II, preoccupato dall’attivismo armeno ed anche dallo sviluppo economico che questo popolo sta vivendo, decide di mettere alla prova le titubanti potenze straniere punendo la popolazione armena con l’esecuzione di alcuni pogrom durante i quali vengono uccisi 200.000 (300.000 secondo altre fonti) armeni nel periodo compreso tra il 1895 ed il 1997. Tutto questo avviene sotto gli occhi delle potenze europee che, come spesso faranno anche in futuro, non riescono a prendere alcuna iniziativa in difesa delle popolazioni angariate. La reazione armena consiste nell’intraprendere la guerriglia e nella creazione della Federazione Rivoluzionaria Armena, detta anche Dachnak, con basi nella vicina Armenia Russa e fortemente sostenuta dalle popolazioni locali.
I Giovani Turchi
Una nuova speranza, presto disillusa, nasce quando anche il potere imperiale giunge al collasso e prende sempre più forza il movimento rivoluzionario dei GiovaniTurchi, caratterizzati da un forte nazionalismo turco. Essi sembrano intenzionati ad abbattere il sistema imperiale per poi creare una federazione di tutti i popoli precedentemente inclusi nell’Impero. Ovviamente le concezioni di nazionalismo turco e di una federazione ottomana sono decisamente antitetiche e questo porterà a considerare l’elemento armeno come un pericolo interno da combattere ed annientare. Già nel 1909 avvengono i primi massacri: in Cilicia 30.000 armeni vengono uccisi dalle forze del loro partito Ittihad ve Terakki (Unione e Progresso). Tutto ciò fu conseguenza dell’ideologia che aveva ormai impregnato l’intero partito, formata da un’ intreccio di panturchismo, caratterizzato da tratti nazionalisti-irredentisti, e Turanismo*. L’unione tra indipendenza nazionale e purezza razziale furono la premessa per la conquista dell’allora provincia russa dell’Azerbaigian. Tra essa e la Turchia vi erano però proprio in mezzo le terre armene. Questa nuova campagna di conquista fornisce ai Giovani Turchi la giustificazione per l’eliminazione del “pericolo armeno”. Il Turanismo è l’ideologia che si basa sulla convinzione che, quando tutti i popoli di lingua turca saranno uniti in una stessa entità nazionale estesa dall’Asia Centrale al Mediterraneo, ritornerà l’età dell’oro in cui Turan, l’antenato dei Turchi, lottava contro Ario, l’antenato degli ariani, estendeva il suo dominio su tutta l’Asia.
Nel 1914 la situazione armena peggiora irrimediabilmente. In quell’anno infatti il governo turco decide di entrare in guerra a fianco degli imperi centrali e subito si lancia alla conquista dei territori azeri “irredenti”. La Terza Armata turca, impreparata, male equipaggiata, mandata allo sbaraglio in condizioni climatiche ostili, viene presto sbaragliata a Sarikamish nel gennaio 1915 dalle forze sovietiche. L’esercito turco indica i responsabili della disfatta negli armeni che, allo scoppio della guerra avevano comunque assicurato il proprio sostegno all’impresa turca. Il clima si fa sempre più teso e, tra il dicembre del ‘14 ed il febbraio del ‘15, il Comitato Centrale del partito Unione e Progresso, diretto dai medici Nazim e Behaeddine Chakir, decide la soppressione totale degli armeni. Vengono creati speciali battaglioni irregolari, detti tchété, in cui militano molti detenuti comuni appositamente liberati; essi hanno addirittura autorità sui governi ed i prefetti locali e quindi godono di un potere pressoché assoluto.
L’eliminazione sistematica prende l’avvio nel 1915, quando i battaglioni regolari armeni vengono disarmati, riuniti in gruppi di lavoro ed eliminati di nascosto. Il piano turco, pensato e diretto dal Ministro dell’Interno Talaat, prosegue poi con la soppressione della comunità di Costantinopoli ed in particolare della ricca ed operosa borghesia armena: tra il 24, che resta a segnare la data commemorativa del genocidio, ed il 25 aprile, 2345 notabili armeni vengono arrestati mentre tra il maggio ed il luglio del 1915 gli armeni delle province orientali di Erzerum, Bitlis, Van, Diyarbakir, Trebisonda, Sivas e Kharput vengono sterminati. Solo i residenti della provincia di Van riescono a riparare in Russia grazie ad una provvidenziale avanzata dell’esercito sovietico. Nelle città viene diffuso un bando che intima alla popolazione armena di prepararsi per essere deportata; si formano così grandi colonne nelle quali gli uomini validi vengono raggruppati, portati al di fuori delle città e qui sterminati. Il resto della popolazione viene indirizzato verso Aleppo ma la città verrà raggiunta solo da pochi superstiti: i nomadi curdi, l’ostilità della popolazione turca, i tchété e le inumane condizioni a cui sono sottoposti fanno si che i deportati periscano in gran numero lungo il cammino. Dopo la conclusione delle operazioni neppure un armeno era rimasto in vita in queste province.
La seconda parte del piano prevedeva il genocidio della popolazione armena restante, sparsa su tutto il resto del territorio. Tra l’agosto del 1915 ed il luglio del 1916 gli armeni catturati vengono riuniti in carovane e, malgrado le condizioni inumane cui vengono costretti, riescono a raggiungere quasi integre Aleppo mentre un’altra parte di deportati viene diretta verso Deir es-Zor, in Mesopotamia. Lungo il cammino, i prigionieri, lasciati senza cibo, acqua e scorta, muoiono a migliaia. Per i pochi sopravvissuti la sorte non sarà migliore: periranno di stenti nel deserto o bruciati vivi rinchiusi in caverne.
A queste atrocità scamperanno solo gli armeni di Costantinopoli, vicini alle ambasciate europee, quelli di Smirne, protetti dal generale tedesco Liman Von Sanders, gli armeni del Libano e quelli palestinesi.
Il consuntivo numerico di questo piano criminale risulta alla fine:
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da 1.000.000 a 1.500.000 di armeni vengono eliminati nelle manieri più atroci. In pratica i due terzi della popolazione armena residente nell’Impero Ottomano è stata soppressa e, regioni per millenni abitate da armeni, non vedranno più, in futuro, nemmeno uno di essi.
- circa 100.000 bambini vengono prelevati da famiglie turche o curde e da esse allevati smarrendo così la propria fede e la propria lingua.
- considerando tutti gli armeni scampati al massacro il loro numero non supera le 600.000.
Su tutte valga la testimonianza del Console italiano Giovanni Gorrini che così scrisse: “Dal 24 giugno non ho più dormito ne mangiato. Ero preso da crisi di nervi e da nausea al tormento di dover assistere all’esecuzione di massa di quegli innocenti ed inermi persone. Le crudeli cacce all’uomo, le centinaia di cadaveri sulle strade, le donne ed i bambini caricati a bordo delle navi e poi fatti annegare, le deportazioni nel deserto: questi sono i ricordi che mi tormentano l’anima e quasi fanno perdere la ragione.” Anche l’intervento della Santa Sede tramite il Papa Benedetto XV non produsse alcun effetto, in funzione anche del fatto che i turchi avevano proclamato la guerra santa.
Successivamente, approfittando degli sconvolgimenti in corso in Russia a causa della rivoluzione, gli armeni sotto il controllo dell’impero zarista si ribellano e, il 28 maggio 1918, dichiarano la propria indipendenza. In seguito, dopo la presa di alcuni territori nell’Armenia turca, verrà proclamata la nascita della Repubblica Armena. Durante i lavori del Trattato di Sevrès venne perfino riconosciuta l’indipendenza al popolo armeno e la sua sovranità su gran parte dei territori dell’Armenia storica ma, come altre volte in futuro, tutto resterà solo sulla carta. Infatti il successivo Trattato di Losanna (1923) annullerà il precedente negando alle popolo armeno persino il riconoscimento della sua stessa esistenza.
La caduta del regime turco alla fine della Grande Guerra e la seguente ascesa alla guida del paese di Kemal Ataturk non cambiò la situazione. Infatti, tra il 1920 ed il 1922, con l’attacco alla Cilicia armena ed il Massacro di Smirne, il nuovo governo portò a compimento il genocidio. Dopo questi ultimi crimini non un solo armeno vivo lasciò traccia in Turchia.
Due giorno dopo il massacro del 30 ottobre 1895 a Erzerum: fossa per seppellire le vittime armene.
Una donna armena e i suoi bambini durante la deportazione
La disfatta ottomana nella grande Guerra spinse i principali responsabili del genocidio ad abbandonare il paese e molti di essi fuggirono in Germania. A loro carico venne intentato un processo svoltosi nel 1919 a Costantinopoli sotto la direzione di Damad Ferid Pascià. Lo scopo non era evidentemente quello di rendere giustizia al martoriato popolo armeno ma di addossare le colpe dell’accaduto sulle spalle dei Giovani Turchi discolpando al tempo stesso la nazione turca in quanto tale. Il risvolto pratico del processo fu minimo in quanto, nei confronti dei condannati, non vennero mai presentate richieste di estradizione e successivamente i verdetti della corte vennero annullati. L’importanza del procedimento sta comunque nel fatto che, durante il suo svolgimento, vennero raccolte molte testimonianze che descrivono le varie fasi del genocidio a partire proprio dalle dichiarazioni di chi ne era stato artefice.
Altri processi vennero tenuti a riguardo di specifiche situazioni. A seguito di quello per i massacri del convoglio di Yozgat venne condannato il vice-governatore Kemal. Nel processo di Trebisonda si ammise la responsabilità del governatore e si descrisse il modo in cui venivano perpetrate gli annegamenti di donne e bambini. Nel processo per il massacro nella città di Karput venne giudicato in contumacia Behaeddin Chakir e si descrisse dettagliatamente il ruolo dell’Organizzazione Speciale.
A seguito però della riluttanza delle autorità turche ed alleate ad eseguire le sentenze da loro stesse emesse, il partito Dashnag creò un’organizzazione di giustizieri armeni che si incaricò di eliminare alcuni tra i principali responsabili del genocidio. Vennero così freddati Behaeddin Chakir, Djemal Azmi (il boia di Trebisonda), Djemal Pascià (componente del triumvirato dirigente dei Giovani Turchi) e l’ex Ministro degli Interni Talaat ucciso per le strade di Berlino il 15 marzo del 1921 da Solomon Tehlirian. In quest’ultimo caso le colpe a carico di Talaat emerse durante il processo furono talmente terrificanti da far assolvere Tehlirian per l’omicidio da lui compiuto.
L’Armenia attuale
Durante e dopo l’attuazione del piano criminale turco gran parte degli scampati e dei sopravvissuti furono costretti all’esilio ed alla diaspora. Nel 1991 a seguito della dissoluzione dell’URSS è nata la Repubblica Armena sulle ceneri dell’ex Repubblica Sovietica Armena. Il 90% dell’Armenia storica, comunque rimane sotto il controllo della Turchia che, oltre a non voler ammettere alcuna responsabilità riguardo al genocidio, rifiuta categoricamente la restituzione anche parziale dei territori da loro occupati. Nel 1989 scoppia la guerra con il vicino Azerbaigian per il controllo dell’Artzak (Nagorno-Karabach) l’enclave armena in territorio azero, che sembra essersi recentemente concluso con la conquista dell’indipendenza della provincia armena.
Recentemente i rapporti tra Curdi ed Armeni sono migliorati in seguito alle persecuzioni turche che hanno colpito entrambi i popoli ma il governo di Ankara si ostina ancora a non voler riaprire la frontiera kurdo-armena. Inoltre i rapporti tra l’Armenia e l’Azerbajan turcofono sono tuttora tesi a causa delle rivendicazioni azere sul territorio del neonato stato di Artzak e per le rivendicazioni armene sul Nakitcevan provincia affidata all’Azerbajan dal Trattato russo-turco del 1921, area che taglia i rapporti diretti tra lo Stato di Armenia e la provincia armena di Tabriz in territorio iraniano.
Il riconoscimento del Genocidio da parte della comunità internazionale
Attualmente il genocidio armeno è stato riconosciuto come realtà storica di cui la Turchia dovrà farsi carico in diverse sedi. L’ONU, anche se in sordina, lo ha fatto il 29 agosto del 1985 mentre il Parlamento Europeo si pronunciò in proposito il 18 giugno 1997. Tra le nazione attivatesi in questo senso tra le prime è stato l’Uruguay ed alcuni stati degli USA (Massacjusetts, California, New Jersey, New York, Wisconsin, Pennsylvania, RhodeIsland,Virginia ed Illinois in ordine di tempo a partire dal 1978 al 1995) mentre ne il Governo statunitense, ne il Consiglio di Stato hanno preso iniziative simili. Anche laDuma della Federazione Russa ha ufficialmente riconosciuto quanto accaduto agli armeni. Per quanto riguarda l’Italia sono state prese iniziative a livello comunale quali quelle di Milano, nel novembre ‘97, e recentemente di Roma. Inoltre per il giorno 31/3/2000 è stata posta all’ordine del giorno della Camera una mozione, presentata già nel ‘98 dall’onorevole G. Pagliarini (Lega Nord per l’Indipendenza della Padania) e sottoscritta da 165 deputati di vari partiti, che mira al riconoscimento, da parte del Governo Italiano, del genocidio armeno. Dopo lunga attesa questa mozione è stata accantonata dall’attuale maggioranza (governo Amato) definendo il momento storico-politico non opportuno per approvare il documento.
A tutt’oggi il riconoscimento del genocidio da parte della comunità internazionale sembra ancora ben lontano dall’essere una realtà ed i timidi tentativi, quali quello dell’Assemblea Nazionale Francese, di dare dignità storica ai fatti avvenuti in quegli anni sono stati tutti immediatamente insabbiati dalle inconsulte reazioni turche e dal vergognoso silenzio-assenso delle grandi potenze, primi fra tutti gli USA, che hanno sempre dato maggiore importanza ai propri interessi politici ed economici piuttosto che alla giustizia ed al rispetto di quei principi morali ai cui spesso loro stessi fanno appello e di cui si sentono custodi.
La comunità armena in Italia
In Italia la principale comunità armena, nata dalla diaspora, è quella residente a Milano, composta da un migliaio di elementi. La comunità, pur essendo perfettamente integrata nella società che li ha accolti, costituiscono una realtà molto coesa nella quale vengono mantenute vivissime le tradizioni della lingua d’origine, la religione storica e la lingua madre parlata anche dalle generazioni più giovani. Il luogo di ritrovo è situato in Piazza Velasca dove ha sede il Centro Culturale Casa Armena, in cui vi è una biblioteca con un migliaio di volumi e pubblicazioni dall’Armenia e dai membri della diaspora; nel centro sono tenuti anche corsi di lingua armena. Il luogo di culto è costituito invece dalla Chiesa Armena dedicata ai Santi Quaranta Martiri, gestita da Padre Sarkissian e consacrata dal Patriarca Armeno di Costantinopoli nel 1958. La comunità di rito armeno apostolico milanese conta circa 1.300 membri
Venezia è sede di una storica comunità, di fede cattolica, e proprio nella città lagunare è sito il monastero della Congregazione Melchitarista sull’isola di San Lazzaro, mentre, fino ad un paio di anni addietro, era attivo il Collegio degli Armeni presso il Palazzo Zenobio ora adibito a centro culturale. Anche a Roma e Torino, sono comunque presenti una laboriosa comunità. Sono vive anche alcune associazioni quali l’Unione degli armeni d’Italia, l’Unione culturale armena, l’Unione sportiva armena e la Gioventù armena. Infine la comunità ed il culto armeno sono stati riconosciuti ufficialmente con D.P.R. del 24 febbraio 1956, mentre dal punto di vista religioso, la Chiesa dipende dalla Diocesi di Vienna e Mitteleuropa che fa capo al Katholikos di Ecmiadzin.