SALVATORE MARIA SERGIO Pittore.
Giu 19th, 2014 | Di cc | Categoria: Spettacoli e Cultura
Di Gennaro D’Aria
E’ gran tempo che in molti s’affannano a sostenere che Tullio Pironti sarebbe una sorta di Berthe Weill o di Léopold Zborowski o di Paul Guillaume degli artisti napoletani. Ebbene, l’idea di organizzare un’esposizione delle tele di Salvatore Maria Sergio, famoso principe del Foro penale e pittore di smisurato talento, è stata proprio di Pironti, perché, afferma, ha sempre creduto di cògliere il senso del suo processo creativo nella dimensione culturale che gli è propria e gli consente di produrre opere meditate, introspettive, mai superficiali, e di respiro europeo.
L’allestimento, invero singolare (i quadri non sono stati collocati secondo il consueto schema espositivo in linea orizzontale, l’uno a distanza dall’altro, ma su tutta la superficie delle pareti, dall’alto in basso, e senza cartigli con i titoli: i quadri debbono parlare da soli, diceva Matisse) è stato suggerito da una vecchia fotografia dell’esposizione di quadri di pittori della cosiddetta “Scuola di Parigi” - Modigliani, van Dongen, Vlaminck, Pascin, Marquet, Derain e via dicendo! - svoltasi negli Anni Venti del secolo scorso, nella Ville Lumière, nella sede della casa produttrice di pastelli, ancora oggi, a circa due secoli dalla morte del fondatore, in esercizio, e di cui il più celebre cliente fu Edgar Degas, che mostra i quadri disposti su tutta la superficie delle pareti: al tempo, naturalmente, procurò la sorpresa dei visitatori.
Al vernissage, alla presenza di pittori e scultori di fama, tra cui Elio Washimps e Giuseppe Pirozzi, critici d’arte, giornalisti, avvocati di grido e alti magistrati, e una gran folla di estimatori, hanno preso la parola, il notissimo giornalista Luigi Necco, il poeta e scrittore Ettore Capuano, Maurizio Vitiello della Sovrintendenza Museale, il famoso critico d’arte Paolo Perrone Burali d’Arezzo, e la scrittrice Maria Roccasalva, illustrando da diversi versanti il significato e il valore dell’opera di Sergio.
Orbene, passando in rassegna le opere selezionate per la mostra, che ha avuto luogo nello storico Palazzo Ruffo di Bagnara, a Napoli, subito risulta chiaro che la costruzione disegnativa dalle repentine accensioni di chiara matrice espressionista, idonea a scardinare il grazioso, l’appagante, e il ductus coloristico violento, in parte modulato dall’attenzione al linguaggio dello stesso Bonnard o di Edouard Vuillard o di Kees van Dongen, ma rielaborato in chiave di assoluta autonomia culturale, costituiscono il fil rouge che lega fra loro le opere prodotte da Sergio negli ultimi anni.
Insomma, appare immediatamente la programmatica disposizione intellettuale al superamento della realtà, per la ricerca “interna” nei ritratti come contrappunto di ciò che soltanto appare: si osservino, a fare soltanto qualche esempio, i penetranti Autoritratti dalla straordinaria intensità psicologica,
Questo, anche nell’abbandono, anzi nel rifiuto, della rappresentazione del paesaggio di gusto biedermeier, peculiare di gran parte della produzione tradizionale, calligrafica, ripetitiva, oleografica, e pure sottomessa ai condizionamenti del mercato, specialmente quello legato alla parte meno avveduta della borghesia. Infine, le Nature morte dall’inequivocabile antinaturalismo, invece permeate da un’intenzione astratta, metaforica, resa con una materia ricca e densa di suggestioni.
Alla fine, poiché seguo da decenni l’attività di Salvatore Maria Sergio. al quale mi lega antica amicizia, credo di poter affermare, respingendo ogni tentazioni di piaggeria, che la mostra è l’ultimo episodio di grande importanza nel fastoso percorso della sua arte, certamente destinata a un ulteriore sviluppo.