PROSTITUZIONE, TRA COSTITUZIONE E IDEOLOGISMO
Giu 18th, 2014 | Di cc | Categoria: Cronaca Nazionale
Negli ultimi mesi è ritornata in auge la ricorrente diatriba sulla abolizione della Legge Merlin e sulle prospettive di regolamentazione del fenomeno della prostituzione.
Diatriba e dibattito trasversale al mondo politico che annovera: la proposta referendaria della Lega Nord per l’abolizione tout court della Legge n. 75/1958; almeno dieci disegni di legge in materia, tra Camera dei Deputati e Senato della Repubblica; l’idea del Sindaco di Roma On. Ignazio Marino, fresca di poche settimane, di perimetrare all’interno del Comune delle aree urbane ove esercitare liberamente il meretricio di strada.
Tra le proposte di legge, oltre a quella del Sen. Antonio Razzi (balzata agli onori della cronaca per la qualifica di Operatrice di Assistenza Sessuale coniata per le prostitute, nonché per le pittoresche dichiarazioni con cui il Sen. Razzi ha accompagnato sui media il progetto), discreta eco ha avuto il disegno S. 1201, recante “Regolamento del fenomeno della prostituzione”, primo firmatario la senatrice del Partito Democratico Maria Spillabotte: eco da attribuire, molto probabilmente, più che alla sistematicità del provvedimento, allo schieramento bipartisan che lo appoggia, spaziando i coofirmatari dal Pd al Movimento 5 Stelle fino a Forza Italia (tra cui spicca il nome della Sen. Alessandra Mussolini).
Aldilà delle diverse sensibilità che connotano le singole proposte, in esse possono rinvenirsi premesse, metodi e obiettivi sostanzialmente analoghi.
Le premesse: il contratto di meretricio non configura un’ipotesi delittuosa; la prostituzione volontaria è anch’essa una forma di manifestazione legittima della propria volontà; la prostituzione è una dimensione ineliminabile e connaturata in seno alla società.
I metodi: previa abolizione della legge Merlin consentire lo svolgimento della prostituzione, in forma singola e/o associata, presso luoghi di privata dimora; attribuire dignità e riconoscimento sociale alle prostitute, elevando esse a categoria professionale legittima.
Gli obiettivi: regolamentare il fenomeno della prostituzione, sì da ridurre progressivamente l’ambito di operatività del meretricio di strada e dei racket dediti allo sfruttamento; sottoporre l’attività di prostituzione all’imposta (questo, obiettivo particolarmente auspicato dalla Lega Nord, la quale vagheggia sostanziosi introiti a vantaggio del pubblico Erario).
È evidente che il modello preso di mira è quello olandese o tedesco. Però i nostri rappresentati politici, come spesso avviene quando tentano di scimmiottare quanto avviene nel resto d’Europa, vi arrivano tardi e male.
Vi arrivano tardi perché, tanto in Germania che in Olanda, è in atto un processo di ripensamento critico del sistema regolamentarista adottato. Nonostante le intenzioni di partenza, oramai è un dato comunemente ammesso in questi Paesi che l’istituzione di quartieri a luci rosse e la legalizzazione del meretricio non ha favorito l’emersione delle prostitute dallo stato di emarginazione sociale ed economica in cui versavano, non ha arginato le holding del crimine dedite alla tratta e allo sfruttamento (le quali hanno semplicemente adeguato al mutato contesto le loro modalità operative) né, del resto, a parte i sostanziosi guadagni riservati agli impresari del settore, questi Stati hanno osservato un apprezzabile aumento del gettito fiscale, quantomeno adeguato al costo sociale derivante dall’aumento esponenziale del numero delle prostitute (per la gran parte immigrate straniere) e dei fenomeni delinquenziali connessi.
Vi arrivano male perché, sull’argomento, l’Europa tutta sta andando proprio in direzione opposta. Come, voce isolata, ha ricordato il Sen. Carlo Giovanardi, nel febbraio 2014 il Parlamento Europeo ha approvato, a larghissima maggioranza, una risoluzione in tema di sfruttamento sessuale e prostituzione con cui, riconosciuto che la prostituzione (anche volontaria) “è una forma di schiavitù incompatibile con la dignità umana e i diritti umani fondamentali… riduce tutti gli atti più intimi al loro valore monetario e svilisce l’essere umano fino al livello di merce o oggetto a disposizione del cliente… si traduce in una disparità di genere a discapito delle donne e la mantiene” e che “considerare la prostituzione un “lavoro sessuale” legale, depenalizzare l’industria del sesso in generale e rendere legale lo sfruttamento della prostituzione non sia una soluzione per proteggere donne e ragazze minorenni vulnerabili dalla violenza e dallo sfruttamento, ma che sortisca l’effetto contrario esponendole al pericolo di subire un livello più elevato di violenza, promuovendo al contempo i mercati della prostituzione e, di conseguenza, accrescendo il numero di donne e ragazze minorenni oggetto di abusi”, ha invitato i Paesi aderenti ad adottare il cd. modello nordico (in vigore in Svezia, Finlandia e Norvegia) ove, alla criminalizzazione dell’acquisto di servizi di prostituzione da parte dei clienti, ha fatto riscontro una significativa diminuzione del mercato del sesso mercenario: modello nordico che, proprio di recente, è in corso di introduzione in Francia, ove il disegno di legge che punisce con una multa salatissima i clienti è stato già approvato dall’Assemblea Nazionale.
Indipendentemente da quanto succede in Europa, a parere dello scrivente l’approccio che emerge dalle proposte nostrane appare carente, dal punto di vista ideale prima ancora che pratico, ove si vogliano rileggere queste proposte medesime alla luce della Carta Costituzionale e dei valori che essa esprime.
Per quanto si voglia sofisticare la prostituzione, quand’anche volontaria, è sempre attività degradante e umiliante, potenzialmente nociva per la salute e per l’incolumità individuale, senza che a ciò faccia riscontro una reale utilità sociale di questa “professione”: prova inconfutabile ne è la concentrazione, statisticamente più elevata in chi esercita il meretricio rispetto al resto della popolazione, di malattie fisiche, disturbi mentali, caratteriali e comportamentali; prova ne è la maggiore vulnerabilità, per evidenti motivi situazionali, alla vittimizzazione da reato (specie rapine e violenze sessuali).
Per quanto si voglia obiettare, sulla scorta di una ideologia edonistico – individualista che sacrifichi al dogma della autodeterminazione individuale qualsiasi convenzione sociale comunemente accettata, la prostituzione non potrà mai essere un “lavoro”. E non perché nel contratto di meretricio non siano concretamente rinvenibili i requisiti propri del contratto di lavoro (consenso, prestazione individuale e controprestazione retributiva), ma perché a mancare è proprio quello che, per la nostra Costituzione, è l’elemento che distingue il lavoro da qualsiasi altro tipo di attività, il requisito fondante il concetto stesso di lavoro: la dignità. E dove può essere la dignità in un attività che, a qualsiasi latitudine storica e geografica, è stata sempre accompagnata da discredito sociale ed emarginazione?
Se quanto precede è vero, e durerebbe fatica ammettere il contrario, il nostro Stato, che è Stato Sociale predisposto alla promozione del benessere e all’elevazione materiale e spirituale dell’individuo e della collettività, negherebbe se stesso, i propri obiettivi e la propria dimensione valoriale, ove legittimasse la prostituzione, conferendo ad essa status di lavoro.
Sarà anche vero che sottoponendo le prostitute alla tassazione entrerebbero nelle casse dello Stato cospicue somme, ma chi la pensa così dimentica, o finge di dimenticare, che lo Stato non è un’azienda senza scrupoli ma un’organizzazione finalizzata alla felicità e al miglioramento dell’uomo.
Giovanni Rempiccia.