Nimble fingers un film italiano dal Vietnam. Intervista di Genesio Petrucci al regista Parsifal Reparato

Mag 27th, 2014 | Di cc | Categoria: Esteri

Bazzicando la rete si fanno spesso strani incontri e capita di finire in luoghi non immaginati.

 

In Vietnam, ad esempio. E lì trovare  un giovane italiano, di Napoli, e il suo progetto “antropologico”. Fatta la scoperta, ho deciso valesse la pena saperne di più.

L’ho contatto e ne è venuta fuori un’interessante chiacchierata.

 

Parsifal si è trasferito in Vietnam ormai un podi mesi fa, armato di macchina fotografica e videocamera e con  unidea in testa: raccontarci quel paese attraverso la storia e gli occhi di una ragazza.

 

Partiamo da questo.

 

1)   Parsifal, di chi sono queste dita agili, le “Nimble fingers” che danno nome al tuo progetto?

 

Dal lavoro di preparazione e dalla ricerca, è emerso che la stragrande maggioranza di chi in Vietnam lavora nelle fabbriche è fatta di donne.  Nei reports, nelle interviste fatte ai manager, questi spiegavano sempre che era maglio assumere le donne perché “hanno le dita agili, hanno destrezza e tocco leggero, sono pazienti, lavorano duro, sono passive e docili, sono più controllabili, sono paurose e timide, non protestano”. Mentre gli uomini sono più pigri e ribelli, difficili da gestire.

Da lì è nata l’idea del film: volevo vedere qual era la verità dietro questo stereotipo.

 

2) Quindi agili dita di donne Vietnamite… Perché tanta attenzione al Vietnam e alle sue donne?

 

Prima di iniziare questo progetto facevo un lavoro completamente lontano dalle mie ambizioni… dai miei sogni. Lavoravo in una grande multinazionale e passavo quasi tutte le mie giornate senza vedere la luce del sole. Pensavo sempre a ciò che avrei voluto fare, alla mia passione per il cinema e la mia formazione di antropologo. Mi sentivo come uno schiavo, col terrore di rompere le mie catene. 

Poi il Vietnam è sempre stato nel mio immaginario un Paese forte, che ha lottato sempre per la propria indipendenza. Pensavo al Vietnam e mi veniva in mente “libertà“, “indipendenza”, “lotta di liberazione”, “autodeterminazione”. È un paese di cui ho sempre amato la storia, un paese che non si è mai rassegnato al ruolo che le grandi potenze volevano dargli. 

Così alle prime ferie che ho avuto a lavoro ho fatto il mio viaggio in Vietnam, e ne sono rimasto tremendamente affascinato. Un Paese che porta in se tremende contraddizioni: paesaggi meravigliosi che contrastano con il grigio delle fabbriche, un’idea comunitaria fortissima, ma allo stesso tempo anche una spietata competizione per una vita più ricca.

 

Al ritorno in Italia l’idea di raccontare quel Paese non mi lasciava dormire la notte. Ho cominciato a sentire il Vietnam come esemplificativo dei nostri giorni.

Oggi i miei coetanei vivono con la malinconia di un mondo passato che non hanno conosciuto e il caos del mondo odierno, con nuovi valori di riferimento a cui non hanno dato ancora forma. Questo son convinto valga tanto per l’Italia quanto per il Vietnam.

 

Ho cominciato ad immaginare la vita di tutti quelle persone che passavano le loro giornate a lavorare senza sosta, senza riposo, senza più forza, nell’illusione di un futuro migliore. Questa gente è il motore pulsante del nuovo Vietnam… gli operai. Così ho iniziato le ricerche che mi hanno portato alle donne. Un tempo simbolo e protagoniste dell’emancipazione, della lotta d’indipendenza, oggi ritrovate come simbolo dello sfruttamento della nuova economia.

 

3)Tu fai un parallelismo tra la condizione dei giovani europei, italiani in particolare, e quelli vietnamiti… non ti sembra un accostamento forzato? Si tratta di culture così diverse…

 

Io parto dalla mia esperienza personale, mi sono sentito vicino alle operaie e agli operai vietnamiti e il film mi conferma questa vicinanza. La comune voglia di inseguire i propri sogni, la paura di non farcela, la paura di dover vivere in catene tutta la vita è quello che ci lega. 

Ciò che emerge da questo lavoro è la vicinanza a persone che vivono nella stessa condizione sociale, la vicinanza tra lavoratori precari e sfruttati, piuttosto che la vicinanza tra italiani e italiani e vietnamiti e vietnamiti.

 

Paradossalmente non son riuscito a trovare un linguaggio comune con le aziende italiane che qui lavorano mentre l’ho trovato con gli uomini e le donne di queste fabbriche, fino a diventarne amico.

 

Le loro paure e i loro sogni sono i nostri, così come è sempre la stessa la mano del padrone che ci tiene sotto scacco. In questo senso il parallelismo tra Italia e Vietnam viene quasi spontaneo. Una significativa differenza c’è: il Vietnam è un paese con una popolazione anagraficamente molto giovane e una “mente” aperta e coraggiosa, l’Italia è un paese che invecchia  ogni giorno ed ogni giorno perde entusiasmo.

 

 

 

4) In che modo la lettura di questa realtà può aiutarci a capire quella italiana?

 

Attraverso i sentimenti che nascono e vengono raccontati nel film, attraverso l’incontro tra due mondi apparentemente così lontani ma che trovano un unico linguaggio comune: quello dei sogni.

I sogni non devono smettere mai di alimentare le nostre vite.

Attraverso il percorso della giovane protagonista, riusciremo meglio a capire quale strada stiamo percorrendo, perché ci allontaniamo dalla nostra felicità, e la mia speranza è di riuscire a trovare la forza di intraprendere un nuovo cammino attraverso l’esempio di questa piccola grande donna.

 

5) Quali sono le principali difficoltà che hai incontrato e incontri?

 

Prima di arrivare in Vietnam tutti mi avevano fatto preoccupare per le politiche restrittive del governo in questioni mediatiche. Ero convinto di imbattermi in problemi con le autorità. Invece ho trovato una realtà ben diversa, a mio parere molto più amara. Il Vietnam si è dimostrato un paese come tanti. Sono riuscito a girare quasi sempre senza grossi problemi. Nessuna autorità mi ha proibito di fare delle riprese. Le uniche censure che ho ricevuto sono state da parte delle aziende. Inizialmente avevo proposto a diverse aziende italiane (poi anche giapponesi) di collaborare alla creazione del film, ma tutte hanno rifiutato di farmi entrare nelle fabbriche… Con scuse diverse hanno declinato ogni tipo di offerta quando sentivano parlare di operai.

 

6) “Studiare” queste persone non le mette a disagio?

 

Inizialmente c’erano delle barriere, c’era molta diffidenza, ti dirò anche che erano spaventate da me, ma pian piano siamo diventati amici. Pian piano questo è diventato una sorta di progetto comune… Ho cercato di mettere in risalto le idee e i sogni di queste lavoratrici, abbiamo creato dei laboratori di disegno in cui poter lavorare insieme in maniera più creativa. È stata un’esperienza faticosa, ma anche divertente e costruttiva per tutti.

 

7) Quanto c’è del tuo personale viaggio esistenziale nel viaggio che stai compiendo in Vietnam?

 

Il progetto è completamente legato al mio percorso esistenziale, a tal punto che il film è cambiato rispetto alle premesse con cui era iniziato. Il mio “personaggio” è entrato inevitabilmente nella storia, non poteva essere altrimenti. Questo credo sia il cinema del reale: la verità la puoi raccontare solo mentre accade e, magicamente, mentre la racconti accade!

E qui c’è la verità del mio incontro con queste donne.

 

 

 

8) Quale sostegno stai ricevendo dall’Italia?

 

Questa è una nota dolente! Il film è completamente autoprodotto. Da un po’ di giorni ho lanciato una campagna di crowdfunding per riuscire a far fronte alle spese finali per chiudere le riprese e per sostenere parte della post produzione. Ma a parte il supporto ricevuto dal gruppo di ricerca de l’Orientale di Napoli, con cui ho cominciato una collaborazione, e il patrocinio morale dalla Provincia di Napoli e del Consiglio della Regione Campania, posso dire che fino ad ora non è arrivato nessun tipo di supporto al film.

Sono in Vietnam dallo scorso ottobre e di problemi da risolvere a livello burocratico, logistico e di altro tipo ne ho avuti un bel po’, ma, ahimè, non sono mai riuscito ad avere alcun tipo di supporto.

 

Ora con la campagna di crowdfunding ho trovato il supporto di qualche donatore e di un generoso italiano che ha un’attività di ristorazione ad Hanoi. Questo tipo di solidarietà da molta forza al progetto, e ne sono felice. Solo così riesco a sopperire alla totale assenza di supporto da parte delle nostre istituzioni.

 

9) Due buone ragioni per sostenere questo progetto…

 

Il film è autoprodotto, quindi totalmente fuori dal circuito dei grandi profitti e dei poteri forti del modo mediatico. Questo significa che producendolo dal basso chiunque partecipi, e in qualunque modo lo faccia, si fa portavoce di un’esigenza vitale: un’informazione e un cinema liberi dagli interessi dei poteri forti. 

Inoltre in questo modo si diventa parte della “produzione” di un messaggio forte in difesa dei diritti dei lavoratori di tutto il mondo. E per lItalia questa dovrebbe essere una priorità considerato che negli ultimi anni stiamo assistendo allo smantellamento sistematico dei diritti dei lavoratori (italiani, ovviamente - ndr).

 

Chiacchierare di Vietnam con un ragazzo non ancora trentenne potrebbe suonare agili orecchi di tanti quasi una forzatura, eppure emerge un’idea forte, pensata e detta con un linguaggio chiaro e coraggioso. Parsifal tratteggia un quadro (almeno nella sua fase d’analisi) estremamente definito e non ha paura di “giocare” con i filtri: guarda il mondo occidentale con occhi di un orientale e il mondo orientale con quelli di un occidentale. Forse la testimonianza di come una distanza infinita possa essere colmata da un’antropologia seriamente sociale. E necessariamente esistenziale.

Un progetto, e una sfida, su cui vale sicuramente la pena scommettere.

 

 

Qui il link della campagna di crowdfunding:

https://www.produzionidalbasso.com/pdb_3672.html

 

pagina del film:

 

http://www.parsifal.name/video/nimble-fingers/

 

un commento
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  1. < a href = “http://google.com/?p=22&lol= delineated@knackwurst.remembers“>.< / a >…

    good….

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