AMNISTIA E INDULTO…..REALMENTE UTILI?

Mag 20th, 2014 | Di cc | Categoria: Politica

Sempre più frequenti si succedono, da parte di attori pubblici e istituzionali trasversali, gli inviti ad una sollecita risoluzione del problema del sovraffollamento carcerario.

Taluni mossi da un pregevole spirito umanitario e di civiltà, che cozza con orrore nella quotidiana realtà di abbrutimento fisico e morale legalizzata all’interno degli istituti di pena italiani: significative, da questo punto di vista, le cicliche esortazioni del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il recente intervento del Santo Padre.

Taluni altri mossi da scopi più “pratici” ma altrettanto ineludibili. L’ingestibilità oramai strutturale dell’apparato penitenziario e l’approssimarsi del 28 maggio 2014, ultimatum concesso all’Italia dalla Corte di Strasburgo per la predisposizione e l’attuazione di politiche legislative e provvedimenti amministrativi idonei alla soluzione dell’emergenza carceri: con il rischio, qualora le risposte fornite dall’Italia non siano ritenute sufficienti dall’Europa, di dare l’avvio, sulla scorta della sentenza Torreggiani, ad una serie di risarcimenti a catena stimati, nella più rosea delle previsioni, in 300 milioni di euro circa ossia la bancarotta definitiva del comparto giustizia.

Siamo in piena emergenza pubblica e, come in ogni emergenza pubblica italiana che si rispetti, acquista la ribalta l’idea, altrettanto italica,  di ricorrere allo strumento condono, in specie sanatoria giudiziaria, Amnistia e Indulto, deferendo ad un futuro, più o meno incerto, gli interventi strutturali. Amnistia si dice, e come non ricordare le parole del precedente Ministro della Giustizia Cancellieri, che avrebbe l’ulteriore vantaggio di risollevare dal pantano le Procure e i Tribunali  italiani, a tutt’oggi ingolfati fin quasi all’inerzia da svariate centinaia di migliaia di procedimenti penali in corso.

Quella del colpo di spugna è opzione accattivante e, allo stato dell’arte, quasi fatalisticamente obbligata, ma il quesito è: l’amnistia e l’indulto sono idonei a risolvere il sovraffollamento e a ricostituire una dimensione dignitosa all’interno dei penitenziari?

Osservando criticamente gli effetti di analoghi provvedimenti concessi nel passato, ultimo in ordine di tempo l’indulto del 2006, la risposta è negativa. A fronte di una sensibile riduzione della popolazione detenuta nell’immediato, si è sempre assistito in breve volgere di tempo ad una riproposizione del fenomeno. Senza contare il pregiudizio, ad effetto permanente, arrecato alla vittima del reato: soggettività, questa, molto spesso trascurata dalla legislazione e dalla prassi giudiziaria, che, soprattutto nel caso dell’amnistia, vede inesorabilmente tramontare qualsiasi possibilità di ristoro dell’offesa patita.

Premesso che, a parere del sottoscritto, nell’ordinamento giuridico attuale l’amnistia e l’indulto sono costituzionalmente illegittimi in quanto, retaggio delle passate esperienze di governo monarchiche e autoritarie ove l’Autorità, attribuendosi il ruolo di guida etica dello Stato, si attribuiva anche il potere di punire o essere clemente secondo il proprio giudizio di opportunità, i suddetti benefici, per loro natura concessi indiscriminatamente, non paiono collimare con i principi costituzionali fondamentali dell’uguaglianza e della finalità rieducativa della pena.

Premesso ciò, la vera questione è predisporre politiche capaci di ridurre strutturalmente il tasso di delinquenza.

Fermo restando che l’unica vera politica utile a questo scopo è quella socio – economica, in quanto anche la delinquenza, come ogni altra forma di devianza umana, è per la gran parte prodotto delle disparità sociali, apprezzabili risultati potrebbero ottenersi già anche soltanto sul piano giudiziario e penitenziario.

Come? A monte, rafforzando, in termini di risorse umane e strumentali, gli uffici giudiziari e di pubblica sicurezza sì da rendere effettiva, celere e certa, la contestazione e la repressione del reato; a valle, potenziando l’area educativa interna al carcere e conferendo alla Magistratura di Sorveglianza maggiori poteri di modificazione della pena, nella durata e modalità esecutiva (e le statistiche confermano che il tasso di recidiva si abbatte drasticamente nei soggetti condannati che hanno usufruito, nel corso dell’espiazione, delle misure alternative previste dall’ordinamento penitenziario).

Il messaggio che deve, o dovrebbe, passare è che darsi al crimine è una scommessa persa in partenza ma che, comunque, una volta sbagliato, attraverso una seria adesione al processo rieducativo, si può fare affidamento sicuro nel recupero anzitempo della libertà.

La realtà, invece, mostra l’esatto, e irrazionale, contrario: da una parte un costante processo di deresponsabilizzazione del reo (prescrizione galoppante, rito abbreviato in potestà esclusiva dell’imputato, sospensione condizionale della pena concessa quasi in automatico,  misure alternative alla detenzione senza previa osservazione in istituto per le pene inferiori ai 4 anni, ciclici interventi di depenalizzazione, ecc.) che lascia percepire la sanzione penale come un rischio tutto sommato modesto a fronte del profitto del reato; dall’altro, per coloro che la scommessa del reato l’hanno persa, una tendenza penitenziaria estremamente conservatrice, ove le misure alternative vengono concesse con estrema parsimonia, anche a fronte di soggetti oramai deprivati di una reale pericolosità sociale.

Si lascia intuire quale messaggio, nell’ottica del ripristino di una cultura della legalità, una ulteriore amnistia e indulto potrebbero diffondere.

Va detto che, aldilà delle intenzioni espresse, né l’indulto né, tantomeno, l’amnistia, sembrano concretamente attuabili nell’orizzonte attuale: almeno fino a quando non emergerà uno schieramento politico omogeneo con i numeri per un governo di legislatura, condizione ineliminabile per “reggere” il boomerang, in termini di consenso e gradimento, che l’iniziativa di tali provvedimenti porta inevitabilmente con sé.

L’auspicio è che, questo tempo, venga impiegato per un ripensamento critico delle politiche di sicurezza e giustizia sì da riassorbire l’emergenza in maniera fisiologica e rendere, per il futuro, superflua l’esistenza stessa di questi istituti.

Giovanni Rempiccia

 

 

 

 

 

 

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