BERLUSCONI RENZI E LA PARTITA DELLE RIFORME
Apr 15th, 2014 | Di cc | Categoria: Politica
di Elia Fiorillo
Nel gergo della politica una delle parole più usate, meglio abusate, è “riforma”, o “riformare”. La si utilizza ad ogni piè sospinto, come un mantra miracoloso che tutto dovrebbe o potrebbe risolvere. Ma sembra proprio che l’uso del termine sia inversamente proporzionale alla realizzazione effettiva dei cambiamenti che s’invocano. Insomma, più se ne parla e più non succede niente.
“Non ne posso più dell’acqua che sgorga dalla bocca degli uomini politici, impegnati a promettere grandi riforme senza che nulla di concreto venga fatto per impedire ruberie e corruzione”. Chi parla non è il solito cittadino incavolato, ma un padre della Patria, Cesare Merzagora, senatore a vita, presidente del Senato, presidente supplente della Repubblica nel 1964, durante la malattia del capo dello Stato Antonio Segni. Si esprimeva così già nel lontano 1987, immaginarsi oggi. Certo, promettere è facile ma poi andare al sodo non è cosa semplice. E le promesse non mantenute mettono in moto nei cittadini un colossale giro di disaffezione, di presa di distanza dalla politica, che certo non serve al Paese. Basta mettere a confronto le percentuali di chi disertava il voto negli anni ottanta con quelle di oggi per rendersi conto del declino della democrazia nel nostro paese.
Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, sa bene che se fallisse sull’impegno primario e galoppante che il suo esecutivo ha messo per le riforme, a partire da quella del Senato, sarebbe costretto ad andare a casa ed a restarci nei saecula saeculorum. E anche Silvio Berlusconi sa che non può mollare il “Patto del Nazareno” sulle riforme perché ci sarebbe, al punto in cui siamo, un boomerang di ritorno micidiale per Forza Italia. Ma non nasconde la preoccupazione, che in certi momenti diventa vera e propria paura, che l’attuale governo possa avvantaggiarsi da quell’accordo. E, quindi, prova a prendere le distanze ripetendo che o si fa una buona riforma o è meglio chiudere il Senato tout court. Il Cavaliere, in fine, aggiunge che non avrebbe votato “riforme scritte dal terzo governo non scelto dagli italiani solo per consentire ai partiti di governo di mettersi una medaglia prima delle Europee“. Il problema vero è tutto qui. Chi si avvantaggerà elettoralmente dalle riforme? Il banco di prova delle Europee assume, quindi, un significato triplice. Legittimazione o meno dell’attuale governo il cui presidente, come buona parte dei suoi ministri, non ha avuto nessun battesimo elettorale. Nel caso, prevedibile, di un successo elettorale alle europee del Pd, via libera, senza se né ma, ovvero senza mediazioni, al disegno di legge costituzionale presentato dal governo e definito dal presidente di Forza Italia “assolutamente inaccettabile e indigeribile”. Se non ci fossero i voti in parlamento sufficienti per farlo passare e si dovesse ricorrere al giudizio popolare, sarebbe Berlusconi a dover temere una sconfitta della sua linea con l’approvazione popolare del provvedimento. La gente ha voglia di cambiare e dopo tanto immobilismo non va troppo per il sottile.
Poi c’è il terzo punto: che farà il Cavaliere difronte alla non tenuta del suo partito alle Europee? Qui gli scenari che si possono aprire sono diversi. Come dice nel famoso fuori-onda Giovanni Toti, consigliere politico di Berlusconi, a Mariastella Gelmini: “Non sa cosa fare con Renzi, perché ha capito che sto abbraccio mortale ci sta distruggendo ma non sa come sganciarsi . E’ angosciato dal 10”. Appunto, il 10 aprile il Tribunale di Sorveglianza di Milano deciderà se dargli gli arresti domiciliari o affidarlo ai servizi sociali. Bel problema per l’ex presidente del Consiglio. Ma, probabilmente, quello che fu definito Sua Emittenza, il Caimano e via dicendo, in cuor suo la decisione l’ha già presa. Non lo ammetterà mai per scaramanzia, ma le europee sono andate e c’è poco da fare. I tempi sono quelli che sono e se anche la data del 10 aprile dovesse essere superata per qualche rimando provvidenziale, certo la situazione migliorerebbe, ma non da farlo risultare vincente in confronto a Renzi. L’eterno e trionfante ritornello dell’anticomunismo con l’ex sindaco di Firenze non funziona. Resta, allora, lo scenario del dopo elezioni per Strasburgo. E qui che il Cavaliere, arresti domiciliari o servizi sociali a parte, proverà a costruire il suo percorso di rivincita. Ma per fare questo avrà bisogno di mettere da parte i rancori per il suo ex pupillo Angelino Alfano e, insieme a lui, invocando la strada dell’unità del Centro-Destra, e quella del rinnovamento vero dei quadri del nuovo partito o movimento che dir si voglia, inventarsi un nuovo Polo della Libertà di cui lui non potrà essere più il Conducator, ma il padre nobile, il fondatore, il punto di riferimento. Ma non sarà facile mettere da parte – e si è visto con l’investitura di Giovanni Toti – la vecchia nomenclatura di falchi e colombe che più si sentono minacciate e più provano ad alzar barriere contro ogni possibile cambiamento.
Al di là di tutto, l’augurio è che le riforme annunciate possano vedere la luce con il più ampio consenso possibile. L’Italia non si può permettere di restare ferma, ancora una volta per veti incrociati, ai blocchi di partenza. Non saranno le riforme migliori possibili, ma per lo meno un moto nuovo di cambiamento ci potrà essere.