San Josemaría Escrivá: se non ti mortifichi non sarai mai anima d’orazione.
Mar 27th, 2014 | Di cc | Categoria: Religione
Quella parola ben trovata, la battuta che non uscì dalla tua bocca; il sorriso amabile per colui che ti annoia; quel silenzio davanti a un’accusa ingiusta; la benevola conversazione con i seccatori e gli importuni; quel non dare importanza, quotidianamente, ai mille particolari fastidiosi e impertinenti delle persone che vivono con te… Tutto questo, con perseveranza, è davvero solida mortificazione interiore.
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Non dire: quella persona mi secca. —Pensa: quella persona mi santifica.
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Nessun ideale si fa realtà senza sacrificio. Rinnega te stesso. —È così bello essere vittima!
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Quante volte ti proponi di servire Dio in qualche cosa… e ti devi rassegnare —tanto sei misero!— a offrirgli la stizza, il rammarico di non aver saputo compiere quel proposito così facile!
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Non perdere l’occasione di sottomettere il tuo personale giudizio. —Costa…, ma come è gradito agli occhi di Dio!
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Quando vedi una povera Croce di legno, sola, senza importanza e senza valore… e senza Crocifisso, non dimenticare che quella Croce è la tua Croce: quella d’ogni giorno, quella nascosta, senza splendore e senza consolazione…, che sta aspettando il Crocifisso che le manca: e quel Crocifisso devi essere tu.
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Cerca mortificazioni che non mortifichino gli altri.
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Dove non c’è mortificazione, non c’è virtù.
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Mortificazione interiore. —Non credo alla tua mortificazione interiore se vedo che disprezzi, che non pratichi, la mortificazione dei sensi.
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Beviamo fino all’ultima goccia il calice del dolore durante la povera vita presente. —Che importa soffrire dieci anni, venti, cinquanta…, se poi viene il cielo per sempre, per sempre…, per sempre? —E, soprattutto —meglio ancora della ragione accennata, propter retributionem— che importa soffrire se si soffre per consolare, per far piacere a Dio nostro Signore, con spirito di riparazione, uniti a Lui nella sua Croce, in una parola: se si soffre per Amore?…
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Gli occhi! Attraverso di essi entrano nell’anima molte iniquità. —Quante esperienze “alla David”!… Se custodite la vista avrete assicurato la custodia del cuore.
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Che motivo hai di guardare, se il “tuo mondo” lo porti dentro di te?
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Il mondo ammira soltanto il sacrificio che dà spettacolo, perché ignora il valore del sacrificio nascosto e silenzioso.
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Bisogna darsi totalmente, bisogna rinunciare a sé stessi totalmente: è necessario che il sacrificio divenga olocausto.
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Paradosso: per Vivere bisogna morire.
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Bada che il cuore è traditore. —Tienilo chiuso con sette catenacci.
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Tutto ciò che non ti conduce a Dio è un intralcio. Sradicalo e gettalo lontano.
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A un’anima che aveva un superiore iracondo e grossolano il Signore faceva dire: Ti ringrazio, Dio mio, per questo tesoro veramente divino, perché quando mai ne troverò un altro che a ogni gentilezza mi risponda con un paio di calci?
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Vinciti ogni giorno, fin dal primo momento, alzandoti puntualmente, a ora fissa, senza concedere nemmeno un minuto alla pigrizia. Se, con l’aiuto di Dio, ti vinci, ti sarai molto avvantaggiato per il resto della giornata. È così deprimente sentirsi vinto alla prima scaramuccia!
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Finisci sempre per essere vinto. —Proponiti, ogni volta, la salvezza di un’anima determinata, o la sua santificazione, o la sua vocazione all’apostolato… —Così sono sicuro della tua vittoria.
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Non essere così fiacco, molle. —È ormai ora di respingere quella strana compassione che senti di te stesso.
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Ora ti dirò quali sono i tesori dell’uomo sulla terra, affinché non li trascuri: fame, sete, caldo, freddo, dolore, disonore, povertà, solitudine, tradimento, calunnia, carcere…
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Ha detto giusto chi disse che l’anima e il corpo sono due nemici che non si possono separare, e due amici che non si possono vedere.
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Al corpo bisogna dare un po’ meno del giusto. Altrimenti tradisce.
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Se sono stati testimoni delle tue debolezze e delle tue miserie, che importa che lo siano della tua penitenza?
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Ecco i frutti saporiti dell’anima mortificata: comprensione e transigenza per le miserie altrui; intransigenza per le proprie.
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Se il chicco di grano non muore, resta infecondo. Non vuoi essere chicco di grano, morire per mezzo della mortificazione e dare spighe ricolme? —Che Gesù benedica la tua messe!
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Non ti vinci, non sei mortificato, perché sei superbo. —Conduci una vita penitente? Non dimenticare che la superbia è compatibile con la penitenza… —Altri motivi: il tuo dispiacere, dopo la caduta, dopo le tue mancanze di generosità, è dolore o è stizza di vederti così piccolo e senza forze? —Quanto sei lontano da Gesù se non sei umile…, anche se le tue discipline fioriscono ogni giorno nuove rose!
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Che sapore di fiele e di aceto, e di cenere e di aloe! Che palato arido, amaro e screpolato! —Questa impressione fisica non è nulla in paragone agli altri malesseri della tua anima. —Il fatto è che “ti chiedono di più” e non sai darlo. —Umìliati: perdurerebbe questa amara impressione di disgusto, nella tua carne e nel tuo spirito, se facessi tutto quello che puoi?
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Vuoi importi volontariamente un castigo per la tua fiacchezza e per la tua mancanza di generosità? —Bene: sia però una penitenza discreta, come imposta a un nemico che allo stesso tempo è nostro fratello.
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Per noi, poveri uomini, la gioia, anche se ha un motivo soprannaturale, lascia sempre un sapore d’amarezza. —Che cosa credevi? —Quaggiù il dolore è il sale della nostra vita.
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Quanti di coloro che si lascerebbero inchiodare a una croce davanti allo sguardo attonito di migliaia di spettatori non sanno soffrire cristianamente le punzecchiature di ogni giorno! Pensa, allora, che cosa è più eroico.
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Leggevamo —tu e io— la vita eroicamente “ordinaria” di quell’uomo di Dio. —E lo vedemmo lottare, per mesi e anni (che “contabilità” quella del suo esame particolare!), all’ora della colazione: oggi vinceva, domani era vinto… Annotava: “Non ho preso burro…, ho preso burro!”. Magari vivessimo anche noi —tu e io— la nostra… “tragedia” del burro!
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Il minuto eroico. —È l’ora, esatta, di alzarti. Senza vacillare: un pensiero soprannaturale, e… su! —Il minuto eroico: ecco una mortificazione che fortifica la tua volontà e non indebolisce la tua natura.
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Sii grato, come di un favore specialissimo, per quel santo aborrimento che senti di te stesso.
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