Annunciazione del Signore
Mar 22nd, 2014 | Di cc | Categoria: Religione: Isaia 7,10-14: Ebrei 10,4-10 ; Luca 1,26-38
26Al. sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,26-28).
Riflessione: L’annuncio a Maria
Nel racconto dell’annuncio a Maria (Lc 1,26-38) l’angelo Gabriele, mandato da Dio, parla tre volte: la prima parola è una parola di gioia; la seconda è un invito a non temere; l’ultima parola annuncia l’inizio di nuova vita. Queste parole toccano le corde più intense di ogni esistenza umana: il bisogno di felicità, la paura, il dono della vita. La prima parola: « Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,30). Il nome nuovo che Maria riceve è «piena di grazia», amata per sempre». E’ come se l’angelo le dicesse: sii felice, Dio ti ha colmata di amore e di grazia, ti ha amato gratuitamente e teneramente da sempre e per sempre, la sua presenza moltiplica la tua felicità.
«Non temere Maria» (Lc 1,30), le dice l’Angelo. Frequentemente nella Bibbia ritorna questa parola, Non temere se Dio non prende la strada della spettacolarità, dell’efficienza, della grandezza; non temere se Dio, l’Altissimo, si nasconde in un piccolo bambino: il Figlio del Dio Altissimo. Tre volte parla l’angelo, tre volte risponde Maria, prima con il silenzio e il turbamento, poi con il desiderio di capire, infine con il servizio. L’ invito «Non temere» risuoni per ciascuno di noi come invito a vincere ogni forma di resistenza ed ogni paura per andare verso Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, lui è il nostro Salvatore. Lui è la Parola di verità che illumina la storia, lui è la vita del mondo. Sulle nostre labbra ci sia la medesima risposta, pronta e fiduciosa, della Vergine Maria: «Eccomi».
Riflessione: San MassimilianoMaria Kolbe, sacerdote, francescano, martire nel campo di sterminio di Auschwitz (Polonia 1894-1941
Dio Padre affida a Lei, l’Immacolata, come figlio il proprio Figlio, Dio Figlio scende nel grembo di Lei, mentre lo Spirito Santo plasma il corpo di Cristo nel ventre della Vergine purissima. L’Immacolata diviene Madre di Dio… Ad imitazione di questo Figlio di Dio, debbono essere formati i figli di Dio: imitando Cristo Signore, le anime tenderanno alla santità; quanto più esattamente uno riproduce in se stesso l’immagine di Cristo, tanto più si avvicina alla divinità, divine uomo - Dio. Pertanto, chi non vorrà avere Maria Immacolata per Madre, non avrà neppure Cristo Signore per fratello, Dio Padre non gli invierà il Figlio, il Figlio non scenderà nella sua anima, lo Spirito Santo non formerà con le proprie grazie il corpo mistico sul modello di Cristo, poiché tutto ciò avviene in Maria Immacolata. (Massimiliano M. Kolbe, Nel grembo di Maria l’anima rinasce secondo la forma di Gesù Cristo, SK 1295).
Maria Madre di Dio e Madre Nostra
Maria, vergine, madre, sposa. Il Suo esempio di credente, la Sua unicità di Madre del Figlio di Dio venuto nella carne, la Sua intercessione presso il Signore, aiutino tutti noi a ravvivare la nostra fede, a crescere in essa e a testimoniarla agli altri, specialmente a chi non ha il dono di credere. Maria, poi, realizza perfettamente ciò che l’Autore della Lettera agli Ebrei ci esorta a vivere e su cui il Santo Padre ci ha invitato a riflettere in questa Quaresima: “Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone” (Ebrei 10,24). L’intercessione di Maria ci ottenga di vivere una carità sempre più grande! Chi è Maria nel suo profilo di donna, di credente, di testimone del Messia Gesù? Che cosa dicono ai discepoli di Lui la vita, le opere e la fede di Lei? Come ha vissuto il suo rapporto con Dio e le sue relazioni umane e come può esserci così di esempio e di aiuto? Si proverà a rispondere a queste domande seguendo i passi della Madre del Signore secondo quanto la discrezione dei Vangeli ci consente di farlo, dischiudendo allo sguardo della fede gli abissi del mistero.
Una donna ebrea dalla fede profonda
Il nome Maria viene dall’ebraico ”Myriam“ o “maryam”. Fra le possibili etimologie c’è “mara”, “signora”, o “mi-ram”, dalla radice “rym”, attestata in testi ugaritici col significato di “alta, eccelsa, desiderata”. Già nel nome della giovane madre di Gesù si riconosce come ella sia stata l’oggetto dell’attesa dei suoi genitori, desiderata e amata. Quando concepisce il Figlio, Maria è una almah, termine usato da Isaia 7,14 (“la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele”), la cui traduzione corretta è “giovane donna”, una donna cioè di poco più di 14 anni. Poiché la nascita di Gesù va fissata intorno al 6 a.C. - almeno due anni prima della morte di Erode, che aveva ordinato la strage dei bambini dai due anni in giù - la nascita di Maria può essere collocata fra il 22 e il 20 a.C. Al tempo degli eventi pasquali del Figlio Myriam aveva dunque fra i cinquanta e i cinquantacinque anni. La versione greca della Bibbia, detta dei Settanta e considerata ispirata dall’ebraismo della diaspora, tradusse l’ebraico almah con la parola greca parthénos, cioè “vergine”, aprendo così la strada alla lettura del testo come profezia della nascita verginale di Gesù (cf. Mt 1,23). Maria è una giovane ebrea credente, familiare al linguaggio delle Scritture, come dimostra il fatto che nel racconto dell’annunciazione le risultano immediatamente comprensibili i riferimenti ai Profeti (Isaia 7,14 in Luca 1,31, o a Sofonia 3,14-17 e Zaccaria 9,9 in 1,28: “chàire, esulta, piena di grazia…”),. È una credente che osserva scrupolosamente la Torah, mostra ad esempio nella sua andata al Tempio per celebrare la purificazione rituale dopo il parto (cf. Luca 2,22-24). La spiritualità di Myriam è quella dello “Shemà”, cioè dell’“ascolto” obbediente del Dio unico, perché parli quando e come vorrà alla sua serva e compia in Lei le sue opere: in questo Maria si colloca al vertice della spiritualità biblica dell’attesa e dell’accoglienza della Parola divina. Lo si coglie nella scena dell’adorazione dei pastori, dove Maria è la protagonista, silenziosa e raccolta, che “custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Luca 2,19). L’espressione richiama un atteggiamento caro alla tradizione ebraica: il ricordare associando fra loro gli eventi, in cui si manifestano i misteriosi disegni dell’Altissimo. In ciò consiste propriamente lo studio della Torah e il greco “symballousa” - “meditando”, ben richiama quest’atteggiamento di confronto, intelligenza, giudizio, decisione. Si tratta di un’attitudine costante in Maria (cf. 2,51), che proprio così si lascia condurre docilmente dall’Altissimo. Maria è la donna credente e riflessiva, che si abbandona all’Eterno con serietà pensosa. È questo peraltro il modello di femminilità nella tradizione ebraica: la donna sa tenersi in prossimità dell’invisibile Voce e questo la colma della gioia di sapersi amata dall’Altissimo. Maria è la donna della gioia, che testimonia cantando il Magnificat: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva”(Luca 2,46-48). Il suo atteggiamento interiore è ben espresso da questo canto, che richiama i Salmi degli “anawim”, i “poveri” che confidano solamente in Dio, e il cantico di Anna (1 Samuele 2,1-10), che si apre con docilità alla sorpresa di Dio, ma non di meno rivela la profonda fede di questa donna ebrea, capace di consegnarsi totalmente all’Eterno. Alla scuola di Maria impariamo il primato della dimensione contemplativa della vita, quel continuo accogliere l’iniziativa del Signore, che consiste nel lasciarci amare e condurre docilmente da Lui. Ci chiediamo: è veramente Dio il signore della nostra vita, come lo fu per Maria? Sono docile alla Sua azione, alla Sua Parola, al Suo silenzio? Ci lasciamo guidare da Lui, meditando quanto ci dà di vivere alla luce delle Scritture, per discernere la Sua volontà e realizzare con Lui il Suo disegno d’amore per noi e per quanti ci affida anche di fronte a momenti difficili, come ad esempio quelli che la nostra società sta vivendo?
Lo stile di vita di Maria
La scena della visitazione mostra quali siano le caratteristiche dell’agire della giovane Myriam: ella è capace di un amore attento, concreto, gioioso e tenero. Il suo amore è attento: Maria non ha bisogno di richieste per capire il bisogno della cugina Elisabetta, di età matura e in attesa di un figlio. Intuisce la necessità e le corre in aiuto: il suo sguardo, nutrito d’amore, ha capito il da farsi al di là di ogni comunicazione verbale. “Ubi amor, ibi oculus”: dove c’è l’amore, l’occhio vede ciò che uno sguardo privo d’amore non vedrà mai. All’attenzione Maria unisce la concretezza: non indulge a sogni di bene, agisce. L’espressione “in fretta” (v. 39) dice la sollecitudine e la premura con cui concretizza la decisione di andare in aiuto alla Madre di Giovanni. Commenta Sant’Ambrogio: “La grazia dello Spirito Santo non tollera indugi” (Expositio in Evangelium secundum Lucam, 2,19)! L’agire di Maria, poi, è pervaso di gioia: non vive i suoi atti come il compimento di un dovere o in ottemperanza a un obbligo impostole dalle circostanze. In lei tutto è gratuità, bene diffusivo di sé, generosità vissuta senza calcolo o forzature. Gioia è sentirsi amati così profondamente da avvertire l’incontenibile bisogno di amare, per corrispondere all’amore ricevuto al di là di ogni misura con l’amore donato senza condizioni. Proprio così tutto in Maria si mostra nel segno della tenerezza, propria dell’amore che non crea distanze, che avvicina, anzi, i lontani, facendoli sentire accolti e li riempie dello stupore e della bellezza di scoprirsi oggetto di puro dono. “A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo” (vv. 43s). La tenerezza è dare con gioia suscitando gioia nell’amato: chi non ama con tenerezza, crea dipendenze o mantiene distanze in cui è impossibile far sprigionare la gioia. In tutto questo, Maria è un modello per tutti, specialmente nei rapporti familiari. Ci chiediamo allora: qual è il nostro stile di vita? Siamo come Maria attenti agli altri, all’altro, ai bisogni espressi o inespressi di chi ci sta davanti, di chi Dio ci chiama ad amare e servire? Sappiamo essere concreti nel nostro modo di amare, agendo con la tenerezza che coniuga il rispetto e l’attenzione all’amore che rende liberi e genera la pace del cuore? Cerchiamo di avere attenzione e solidarietà verso chi soffre, ad esempio verso chi sta vivendo le conseguenze dell’attuale crisi specialmente per la mancanza o la precarietà del lavoro?
Il rapporto col Figlio
Nella vita di Gesù la Madre ha avuto un ruolo decisivo. Per l’ebraismo è la donna che trasmette l’appartenenza al popolo eletto (è ebreo chi nasce da madre ebrea), generando il proprio figlio alla coscienza dell’alleanza con Dio, anzitutto attraverso la vita familiare. Il contesto domestico è considerato un “piccolo tempio”, nel quale la tavola costituisce “l’altare”: e la donna è la responsabile della liturgia domestica e dell’osservanza delle norme di purità che regolano la vita quotidiana. La tradizione rabbinica sottolinea che la Torah rivelata al Sinai fu data prima alle donne, poiché senza di esse la vita ebraica non sarebbe stata possibile, e invita perciò i mariti ad “ascoltare” le proprie mogli, poiché è per loro merito che le benedizioni raggiungono la famiglia. La famiglia diventa così il nucleo più importante dell’ebraismo, al cui interno decisivo è il ruolo della donna. Secondo i maestri ebrei è compito degli uomini insegnare il contenuto della rivelazione, la Torà e il Talmud, mentre quello della donna è di trasmettere l’esperienza della rivelazione, il senso del mistero, senza il quale i contenuti non avrebbero valore e il loro studio sarebbe puro esercizio intellettuale. Perciò è sempre la donna ad accendere e benedire le luci del sabato, simbolo del dono della vita. Maria ha assolto pienamente questo ruolo, come mostrano le due visite al tempio per la circoncisione di Gesù e per il suo “bar mitzvah”, la festa dei dodici anni, ovvero della maggiore età per un bambino ebreo. In esse Maria mostra tutto il suo rispetto per la tradizione dei Padri: è la madre ebrea che educa il figlio, che le è sottomesso (cf. 2,51), secondo la Legge del Signore. Madre attenta e tenera, vive le attese, i silenzi, le gioie e le prove che ogni mamma è chiamata ad attraversare: è significativo che non sempre comprenda tutto di lui (così in Luca 2,50, dopo il ritrovamento di Gesù e la sua risposta). Avanza, però, fidandosi di Dio, amando e proteggendo a modo suo quel Figlio, così piccolo e così grande, con una mescolanza di prossimità e di dolorosi distacchi, che la rendono modello di maternità: i figli vengono generati nel dolore e nell’amore per tutta la vita! Così Maria è esempio di madre, capace di un’azione educativa fatta di condivisione del tesoro del cuore, di pazienza e di fermezza, di progressività e di fiducia nell’Altissimo. Ci chiediamo allora: nella nostra responsabilità di testimoni e generatori della vita che viene dall’alto ci sforziamo di essere come Maria nel suo rapporto con Gesù, vicini con tenerezza a chi ci è affidato e rispettosi della sua libertà e del suo mistero? Siamo pronti ad affidare tutto a Dio senza sottrarci ad alcuna delle nostre responsabilità? Siamo capaci di ascolto verso tutti, senza venir meno al dovere di testimoniare la verità che solo libera e salva?
Il servizio di Maria e il nostro
Maria accompagna Gesù nella vita pubblica, a partire dall’episodio, che può considerarsi il compendio di tutto ciò che verrà, le nozze di Cana, dove Gesù si manifesta come lo Sposo divino, che conclude con il popolo l’alleanza nuova e definitiva. Si è alla svolta decisiva della storia della salvezza e la Madre ha in essa un ruolo, che l’Evangelista ha voluto evidenziare. È lei a notare il bisogno cui è necessario provvedere: “Non hanno più vino” (Giovanni 2,3). Si manifesta qui ancora una volta l’attenzione di Maria. Nel vino, poi, nominato cinque volte nel racconto (vv. 3.9.10), è possibile riconoscere un segno dei tempi messianici (cf. ad esempio Amos 9,13: “dai monti stillerà il vino nuovo e colerà giù per le colline”), che caratterizzerà il banchetto escatologico (cf. Isaia 25,6) e sarà offerto con gratuità. Il vino nuovo allieterà il giorno delle nozze eterne fra il Signore e il suo popolo (cf. Osea 2,21-24). In questa luce, il banchetto nuziale di Cana appare come l’ora dell’intervento definitivo di Dio, che viene a compiere in maniera sovrabbondante l’attesa e trasforma l’acqua della purificazione dei Giudei (acqua della preparazione e del desiderio: cf. v. 6) nel vino nuovo del Regno. La risposta apparentemente tagliente di Gesù: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora” (v. 4) indica la novità sorprendente di questo passaggio che si compirà a pieno nella Pasqua. Quanto la Madre dice ai servi è di grande importanza: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (v. 5). Come il popolo dell’antico patto risponde alla rivelazione al Sinai assentendo nella fede - “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo” (Esodo 19,8; 24,3.7) -, così Maria manifesta la sua fiducia incondizionata nel Figlio, che ha evocato il mistero della sua “ora”. L’invito, poi, che rivolge ai “servi” mostra il ruolo di modello e madre nella fede che avrà nella comunità dell’alleanza: in Maria l’antico patto passa nel nuovo, Israele nella Chiesa, la Legge nel Vangelo. Nella Chiesa nata dalla Pasqua di Gesù, la Vergine Madre è colei che presenta al Figlio i bisogni dell’attesa e conduce alla fede in Lui, condizione necessaria perché il vino nuovo riempia le giare dell’antico patto. Il servizio di Maria è di orientarci a Gesù e di portarci a compiere la Sua volontà. Siamo pronti a rispondere all’invito della Madre, per metterci a nostra volta al servizio degli altri nella maniera più vera e feconda, che è quella di introdurli alla fede con la fede vissuta e testimoniata? Sappiamo dire con le labbra e con la vita le parole che indicano a ciascuno la strada della libertà e della realizzazione più piena di sé, “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”?
Maria sotto la Croce
Quanto a Cana è prefigurato, viene a compiersi nell’ora della Croce. Gesù morente si rivolge a sua Madre e al discepolo che egli ama (Giovanni 19,25-27): la chiama con l’appellativo “donna” (v. 26), applicato dalla Bibbia a Gerusalemme e al popolo eletto, quasi a indicare in Maria il popolo eletto della prima alleanza e il popolo radunato dal suo sacrificio pasquale. Accanto alla Madre c’è il discepolo amato (cf. v. 26), simbolo di ogni altro discepolo. A partire dall’“ora” della croce (cf. v. 27) il discepolo accoglie la Madre “fra quanto gli è proprio” (“eis tà ídia”: v. 27): non si tratta soltanto dell’accoglienza “in casa sua”. L’espressione va riferita al mondo vitale, all’ambiente esistenziale (così, ad esempio, in 1,11, detto di Israele in riferimento al Verbo, o in 10,4, detto dei discepoli in riferimento a Gesù): essa sta a dire che la Madre entra nel più profondo della vita del discepolo, ne fa ormai parte come bene irrinunciabile. Il rapporto che il Crocifisso stabilisce fra la Madre e il discepolo appare allora intensissimo: in quanto la “donna” è figura dell’antico Israele e il discepolo della Chiesa credente, il messaggio è che l’antico Israele entra a far parte in modo vitale del nuovo. La Chiesa riconosce in Israele l’antica madre che porta al centro del suo cuore. In quanto la “donna” rappresenta il popolo dell’era messianica e il discepolo è il tipo di ogni singolo credente, la loro reciproca appartenenza sta a dire la reciproca appartenenza fra la Chiesa - madre e i figli della Chiesa: al discepolo la Chiesa sta a cuore come madre amata, bene prezioso affidatogli dal Redentore crocifisso. Infine, in quanto la madre è la singola donna concreta, la madre di Gesù, il testo sembra evidenziare un rapporto privilegiato fra lei e ogni singolo credente, oltre che fra lei e l’intera famiglia dei figli di Dio: Maria fa parte della Chiesa e della vita di fede del discepolo come bene prezioso, valore vitale. Insieme, in lei la Chiesa e i singoli credenti potranno riconoscere la Madre, a loro affidata e a cui sono affidati. In questa luce, Giovanni 19,25-27 testimonia il significato che la Chiesa sin dalle origini attribuisce alla Madre del Signore per la sua vita presente e futura, specialmente nello stare sotto la Croce del Messia, lasciandosi sempre di nuovo generare dal “sangue” e dall’“acqua” scaturiti dal suo costato lacerato. Ci relazioniamo così a Maria? Riconosciamo in Lei la Madre cui Gesù ci ha affidato e che ci aiuta a riconoscere Lui nei fratelli e gli altri come fratelli in Lui? Lasciamo che l’amore a Maria nutra in me l’amore alla Chiesa e alla fede dei Patriarchi e dei Profeti?
Perseverante nella notte della fede
Alla morte del Figlio, abbandonato sulla Croce, segue un tempo oscuro, il sabato santo della prostrazione e dell’attesa, in cui la tradizione cristiana ha riconosciuto un ruolo unico a Maria, la Vergine Madre di Gesù, come attesta il titolo di “Sancta Maria in Sabbato”. Mentre il Figlio giace morto nel sepolcro, la Madre custodisce la fede, abbandonata nelle mani del Dio fedele che compirà le Sue promesse. È perciò antico uso liturgico consacrare il sabato alla Vergine, quale memoria di quel “grande sabato”, nel quale in Lei si raccolse tutta la fede della Chiesa e dell’umanità, nell’attesa trepida della risurrezione. Il sabato santo di Maria parla in modo eloquente a noi, pellegrini nel grande sabato del tempo, che sfocerà nella domenica senza tramonto, quando Dio sarà tutto in tutti e il mondo intero sarà la patria di Dio. Nel tempo del silenzio di Dio, nello stupore dolente davanti al Dio crocifisso e abbandonato, viene allora da chiederci sull’esempio e con l’intercessione di Maria: credo veramente in Dio? Mi pongo in ascolto docile e perseverante del Suo progetto d’amore su di me? vivo la gioia del sapermi amato con Cristo e in Lui dal Padre, anche nel tempo della prova e del silenzio di Dio? irradio questa gioia? cerco di piacere sempre e solo a Dio nell’eloquenza dei gesti, senza inseguire l’immagine o crearmi maschere di difesa o di evasione? Possa la Vergine Madre aiutarci a rispondere con verità a questi interrogativi e a vivere, come lei l’ha vissuto, il primato dell’amore e della fede nel lungo sabato del tempo, di cui il sabato santo è figura e profezia, finché venga la domenica senza tramonto, nella quale Maria è già entrata, anticipando il destino di quanti avranno creduto nel suo Figlio, amando e sperando con l’aiuto della Sua grazia.
Aperti con Maria alle sorprese del Signore
Chiediamo insieme a Maria di intercedere per noi e di ottenerci una fede irradiante, una speranza viva e una carità operosa: Prega per noi, Maria, Figlia di Sion, donna dell’ottavo giorno, in cui l’Eterno compì le meraviglie della nostra salvezza! In Te, Vergine accogliente, rifulse l’Amore umile che aveva reso possibile il primo mattino degli esseri. In Te, Vergine dell’ascolto, la fede di Abramo toccò il vertice puro fra quanti credettero nell’impossibile possibilità di Dio. Per il Tuo sì ospitale la promessa divina si realizzò in Gesù, l’atteso delle genti: la notte del Tuo grembo verginale fece spazio alla Luce della vita. La notte del Tuo amore materno accompagnò i Suoi passi fino all’estremo abbandono. La notte della Tua fede umile condivise l’ora delle tenebre, quando la spada ti trapassò l’anima come i chiodi il corpo del Tuo Figlio. Il Tuo cuore trafitto custodì nella fede l’attesa innamorata dell’aurora. Tu sei la Madre dell’amore abbandonato, la Sposa dell’amore vittorioso, la Regina della notte del Messia! In Te, al compimento di quella notte, si offrì la luce dell’aurora: Tu primizia degli amati nel cuore dell’Amato, con Lui nascosta in Dio nella Tua carne di donna, meraviglioso pegno dell’umanità nuova, riconciliata per sempre nell’amore. Prega per noi, Maria, Vergine e Madre, Sposa e Regina, e ottienici dal Figlio Tuo e Redentore nostro una fede sempre più viva e innamorata, una speranza ardente, una carità umile e operosa, capaci di attrarre a Lui ogni cuore aperto alla verità che libera e salva. Amen. Alleluia.
Annunciazione, il sì che ha cambiato la storia
L’Ave Maria e l’Angelus, le preghiere più popolari rivolte alla Madonna, sono il riferimento diretto al mistero dell’Incarnazione che trova il suo momento incipiente nell’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele alla Beata Vergine Maria: “et Verbum caro factum est” (cf. Gv 1,14). Se la Chiesa prega ciò che crede, è evidente che l’importanza teologica attribuita all’evento incarnativo è confluita nella pietà popolare affinché gli uomini lo rendessero operante nelle ore e nei giorni della loro esistenza. L’Incarnazione del Verbo, infatti è il preludio alla realizzazione delle promesse di Dio, alla sua fedeltà per la Nuova ed Eterna Alleanza. Il Signore è annunciato alla Vergine e in Lei all’umanità intera. Da Cristo alla Chiesa, grazie a Maria. Nell’evento dell’Annunciazione c’è la manifestazione di due volontà che aderiscono alla Volontà del Padre: quella di Cristo e quella di Maria. Entrando nel mondo Cristo dice: “Tu non hai voluto né sacrificio, né offerta, un corpo invece mi hai preparato (…) ecco io vengo a fare la tua volontà” (Eb 10, 4-10). Acconsentendo al volere del Padre, il Figlio risponde alle attese di salvezza dell’umanità: si consegna a Maria e, per mezzo di Lei, a tutti i figli di Adamo. Questa volontà “offertoriale” del Verbo inizia sin dal suo concepimento e si consumerà sulla Croce, nell’Ora della Madre, per attualizzarsi in ogni Eucarestia. Tutta la vita di Gesù è stata “un’incarnazione in atto” di totale spogliamento e donazione agli uomini. All’eccomi pronunciato dal Figlio nel segreto arcano della Trinità, seguirà l’eccomi di Maria. E’ una risposta modellata alla sua che riconcilia l’umanità intera nell’amore di Dio. Prima di essere chiamata a dare, la Vergine è chiamata ad accogliere un dono. Il Verbo di Dio si dona all’umanità in Maria e Maria gli offre un’accoglienza assoluta e incondizionata proprio perché vergine. “La vergine concepirà e partorirà un figlio che chiamerà Emmanuele” (Is 7,10-14) è quanto presagiva Isaia su quanto accaduto effettivamente all’Annunciazione nel Messaggero di Dio che dice a Maria: “concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù” (Lc 1,31). Colui che nascerà sarà il primogenito dell’umanità nuova. La fede di Maria si contrappone all’incredulità di Acaz in cerca di un segno. Il “segno” è la vergine partoriente che con la sua obbedienza si contrappone al non serviam luciferino che tentò Eva per generare una spirale di sterilità e morte nella separazione della creatura dal Creatore. L’unione di queste due volontà: divina e umana, Cristo e Maria, segnano l’inizio della redenzione e la Chiesa rivive il mistero in cui riconosce la propria origine. L’annuncio dell’Angelo, la Chiesa lo rivive ora nell’Eucarestia (anamnesis) poiché dal verbo della formula consacratoria viene generato il Verbo. Da questa grammatica dell’assenso all’imitazione con compiacimento nella vita dei credenti. Se Cristo vive in loro, non possono comportarsi in maniera contraddittoria al suo volere. Maria rivive in loro nella misura in cui ne imitano la fede, la speranza e la carità (mimesis).