Hai un momento, Dio? il vescovo Spreafico intervistato da Alessio Porcu al Liceo di Ceccano

Mar 17th, 2014 | Di cc | Categoria: Scuola e Giovani

Un giornalista, un microfono, un cameraman, una bottiglia d’acqua e due bicchieri pronti per essere utilizzati. Sembrerebbe quasi di essere spettatori di una  chissà quanto importante e seria intervista, da ascoltare in reverenziale silenzio.  E invece no. Sin da subito, l’incontro tra Alessio Porcu, direttore di TeleUniverso, e il Vescovo Ambrogio Spreafico, organizzato appositamente per presentare e discutere del libro di quest’ultimo, Dio sfida Giobbe? , si configurerà come una chiacchierata, tanto spontanea quanto suggestiva, tra qualche amico: l’intervistato, l’intervistatore e noi, ragazzi delle quinte classi.

Tanto per cominciare, tra una risatina imbarazzata e qualche colpo di tosse, Porcu ammetterà candidamente di  non aver letto il libro del mons. Spreafico, unendoci quindi a noi ragazzi nella sincera curiosità di sentir soddisfatte le nostre curiosità e domande sull’apparentemente inspiegabile comportamento di Giobbe, un uomo comune, di fronte alla grande sfida di Dio. Un atteggiamento saggio, sereno e rassegnato. Infatti, in uno dei più noti e suggestivi libri dell’Antico Testamento viene narrata la storia di un uomo a cui improvvisamente ed inspiegabilmente viene tolta ogni cosa. Ma partiamo dal principio: nel suddetto episodio biblico, Dio e Satana, il Bene e il Male, descritti simpaticamente  dall’intervistatore quasi come due amici di fronte al caffè in un bar, si trovano a scommettere sull’integerrima fede di Giobbe, un dedito credente.  Satana infatti è estremamente convinto che se all’uomo, abituato ad avere tutto intorno a lui, venissero tolti, uno dopo l’altro, tutti gli averi e gli affetti, questo sicuramente perderebbe la sua fede e la sua serenità. Allora Dio, certo della sua posizione, lascia che Satana tenti di raggiungere il suo scopo, a un patto però: che venga mantenuta l’incolumità di Giobbe.

E così, nel giro di poche ore, Giobbe viene privato di ogni cosa che, fino a quel momento, aveva sempre avuto: una casa, una famiglia, numerose ricchezze. Una felicità. In tutto l’Oriente una tale sventura non fece fatica a diffondersi, e tre amici di Giobbe si mobilitano per  incontrare lo sventurato e tentare di interpretarne le vicende.

Intanto, si apre la seconda manche del duello tra Bene e Male. Giobbe infatti, nonostante sia stato privato di ogni cosa in pochissimo tempo, sembra non vacillare nemmeno un po’, e così la sua fede. L’uomo non se la prende con Dio, l’uomo non si domanda  ancora perché tutto questo sia accaduto proprio a lui. La mano di Dio ci fa dei doni, la stessa mano se li riprende. Allora Satana, già colpito nell’orgoglio, sfida nuovamente il Signore: è il destino dello stesso Giobbe che va compromesso, se si vuol far vacillare la sua fede. Dio accetta nuovamente, ma a una seconda condizione: che l’uomo non venga ucciso. In un battito di ciglia Giobbe si riempie di piaghe, spaventando l’intera comunità che, davanti a un lebbroso, smette di provare pena e inizia a provare disgusto. Ma la fede non è forse una dimensione solitaria? Incredibilmente, Giobbe è ancora sereno, rassegnato. ‘Dalla mano di Dio arriveranno tante gioie quanti castighi’, dice. Ma è pur sempre umano, il povero sventurato, e il divino non potrebbe esistere se non in contrasto con la prevedibilità del nostro animo. E così, finalmente, Giobbe si pone la fatidica domanda: ‘perché proprio a me?’. Ma ecco di nuovo brillare l’incredibile: il lamento dell’uomo non si configura in una critica e in un’offesa nei riguardi di un Dio egoista, sordo di fronte alle nostre implorazioni, che forse gioca a dadi con la nostra vita, bensì in un elogio alla grandezza del Signore che, creatore di ogni cosa che ci circonda, del sublime quanto dell’oscuro, dell’immenso ed infinito, si sofferma a giocare con la vita di un piccolo uomo qualsiasi.

Ma in questo breve momento di concisione tra umano e divino, non potremmo aspettarci che una sferzata di nuda e cruda umanità torni a prevalere: i tre amici di Giobbe infatti, nel loro umanissimo tentativo di dare un senso a ogni cosa, non sono interessati, risponde il Vescovo alla domanda dell’intervistatore, a condividere e comprendere empaticamente il dolore dell’amico, provando magari a donare conforto, ma si ossessionano nel tentativo di trovare una falla nell’atteggiamento di Giobbe che continua ad implorare Dio di una risposta per più di settanta capitoli, ma con serenità, continuando ad elogiarlo e mai rinunciando alla sua incredibile fede, ed interrogandosi sulle cause di tale castigo divino.

Ed è proprio in questo che Spreafico individua in grandissimo male della società: nell’incapacità di stare accanto al dolore altrui, troppo superficialmente ascoltato e troppo profondamente evitato. E, come è plausibile che sia, umanamente ci sconvolgiamo di fronte alla totale assenza di una risposta divina al dolore e alle domande di Giobbe per numerosi capitoli. E allora Dio c’è? Ha un momento per noi? Il Vescovo risponde, sgridandoci in quanto umani. Perché è umana la convinzione che Dio ci debba una risposta per dimostrarci la Sua vicinanza, è umana la convinzione che sia Dio a doverci dimostrare che esiste. E il male è l’individualismo tipico, l’egocentrismo costitutivo che ci spinge a tagliare fuori il mondo e a non capire che, se ci si sofferma un attimo ad ascoltare il silenzio, il calore di Dio presto giungerà. E, con l’attenzione estrema degli alunni presenti, il Vescovo conclude dicendo che, se si avesse il coraggio di percorrere la strada della sofferenza, la nostra e quella di tutti gli altri uomini, in un silenzio privo di domande superficiali, le risposte di Dio non tarderebbero ad arrivare.  

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