La figura di Gesu’
Gen 13th, 2014 | Di cc | Categoria: Religione“Questa immagine di uomo, così eroicamente coerente, ci attrae e ci scandalizza contemporaneamente. Egli viene a scuotere la nostra coscienza, sopita e apparentemente soddisfatta della verità propinataci dalla cultura del consumismo e dell’edonismo. Egli viene a provocare la nostra coscienza che, di fronte alle innumerevoli trasgressioni morali, si sente tranquillizzata dall’idea di “normalità”, in nome dell’emancipazione, della modernità, del progresso”. E’ questa l’essenza che scaturisce da ‘Gesù Scartato’ nello spiegare la Figura di Gesù. Sulla Figura del Salvatore è stato detto tutto e il contrario di tutto. Non esiste una figura terrena più dibattuta e il trattamento che l’uomo gli ha riservato durante la sua ‘permanenza terrena’ è soltanto l’introduzione di quanto avrebbero espresso sul suo conto in duemila anni di storia. La vita umana di Gesù viene interpretata come il rifiuto da parte dell’uomo a considerare come verità l’esistenza del Cristo e della Sua parola, scartando sia l’uno che l’altra per cecità ossessiva. Nella Sua vita Gesù ha sopportato (con la consapevolezza di volerlo e doverlo fare) tutto il peso della croce, l’essenza divina della sua venuta sulla terra. E’ mediante la crocifissione infatti che si materializza quel rifiuto dell’uomo ostentato durante la presenza di Gesù sulla terra, perché soltanto la Sua eliminazione fisica ha permesso al rifiuto di lasciare il campo alla fede, il mezzo con cui viene sublimata la Sua Immagine. Il significato è ancora più profondo se ci soffermiamo a riflettere sul fatto che l’uccisione di Gesù sia stato soltanto l’ultimo (e il definitivo) atto della volontà da parte dell’uomo di volerlo ‘scartare’. Egli ha portato sulle spalle un fardello (la Sua croce) in silenzio, senza clamore, con una sofferenza talmente interiore da non essere visibile e condivisibile. Si scarta ciò che ci fa paura o quello che si ritiene non ci serva, salvo poi cercarla ossessivamente in caso di bisogno. La questione del rifiuto è spesso motivata dalle paure più profonde dell’uomo. Seppur vicini a lui, gli Apostoli non furono in grado di cogliere la piena essenza del Cristo, quanto da Lui vissuto in termini ‘di Croce’, così come il Padre aveva stabilito per Lui. Gesù, dunque, visse la Sua Croce nella più completa solitudine interiore, un sottofondo che lo ha accompagnato durante tutta la sua esistenza terrena, culminato con l’abbandono dell’Orto degli Ulivi detto Getsemani. Uno scarto morale ed emotivo che risuona da secoli nelle orecchie di chi è andato oltre ad un semplice evento storico. Seppur uomo ‘fisico’ come tutti gli altri, Gesù era Figlio di Dio, diverso nella sua essenza dagli altri uomini che non erano in grado di percepire la sua vera essenza. Gesù usava un linguaggio comprensibile a tutti ma la parte più profonda era inafferrabile. Chiunque si avvicinasse a lui poteva soltanto percepire ciò che diceva e capirne il significato, ma le sue emozioni per il compito cosi gravoso che lo attendeva, era irraggiungibile per tutti. Sostenere di essere il ‘Figlio di Dio’ fu probabilmente l’ulteriore elemento di discriminazione. Era discriminato da chi non gli credeva spacciandolo per impostore, ma era discriminato anche da chi sentiva che lo fosse, per paura, per vigliaccheria, perché è nella natura dell’uomo cercare disperatamente qualcosa a cui aggrapparsi, salvo poi rifiutarla per paura delle conseguenze. Con questo concetto di lapalissiana spontaneità, si vuole porre in evidenza due aspetti fondamentali, la sua identità, nascosta, ma percepita dietro l’immagine di uomo diverso dal normale e dall’altra, per tutto ciò che esprimeva rispettando pienamente alla sua identità. Una delle chiavi è senz’altro il Getsemani. Gesù porta con se i suoi discepoli, salvo andare a rivolgere le sue preghiere al Padre in intimo raccoglimento. Questo ha comportato un distacco tra Lui e i Suoi discepoli, un distacco sfociato in apparente ‘abbandono’ da parte degli stessi nei confronti del maestro. Non unendosi con Lui in preghiera ed anzi riempiendo l’attesa con il sonno, hanno confermato quanto ancora distante possa essere stata l’emotività di Gesù rispetto a quella dei suoi discepoli. Ma è proprio qui, in questo contesto, che Gesù trova la forza necessaria ad affrontare gli eventi che seguiranno grazie al dialogo con il Padre., nonostante, come sottolineato dal Gedda nel libro “La Spiritualità Getsemanica”, Gesù aveva soprattutto bisogno ‘di amore’. ‘Gesù, con questo atteggiamento di distacco interiore da sè e dagli Apostoli, si è come liberato da se stesso e dagli altri. Ha riacquistato così la pace con se stesso e con gli altri, tanto che poi è andato incontro a chi voleva arrestarlo in modo sereno e interiormente libero, tanto che si è potuto parlare - per Lui - di resurrezione morale (Ego sum). Parimenti Gesù, sul Calvario, dopo aver sopportato il martirio senza lamentarsi e in completo silenzio, ha compiuto un ulteriore distacco da se stesso (dal suo corpo), nel momento in cui ha consegnato il suo Spirito nelle mani del Padre, dicendo che tutto era compiuto’. La liberazione da un grosso fardello che gli pesava nel cuore e nella mente, ha dato modo a Gesù di riacquistare quella serenità divina che una vita terrena gli aveva fatto momentaneamente smarrire. La riacquistata serenità da parte di Gesù che abbiamo metaforicamente considerato una “pietra scartata” diventa ormai “pietra d’angolo” per l’intera cristianità rendendo gli apostoli ‘finalmente partecipi della sua vicenda umana, condividendo con Lui la gioia pasquale della liberazione’. Abbiamo sottolineato come nel Gesù Scartato si sostiene che la riacquistata serenità da parte di Gesù che abbiamo metaforicamente considerato una “pietra scartata”, diventa ormai “pietra d’angolo” per l’intera cristianità rendendo gli apostoli ‘finalmente partecipi della sua vicenda umana, condividendo con Lui la gioia pasquale della liberazione’. Questo principio è diventato indiscutibile ed anzi uno dei capisaldi del pensiero cristiano moderno. Questa condivisione si manifesta durante l’ultima cena, momento solenne di partecipazione intesa come festa di addio ai suoi amici, prima di avviarsi al suo destino. Secondo il Tantucci è durante l’Ultima Cena che si manifesta chiaramente l’essenza della vita dell’uomo: l’amore. E’ Gesù ad insegnarcelo subito dopo aver pronunciato le sue ultime parole agli Apostoli. Qui si avvicina Pietro, che gli manifesta tutto il suo amore esprimendogli la volontà di volerlo seguire, confessandogli di voler ‘morire per lui’, salvo poi rinnegandolo per ben tre volte prima che il gallo cantasse (Gv. 13,31-38). L’amore a cui Gesù si riferiva è un amore viscerale, l’amore che l’uomo deve dimostrare in modo disinteressato, senza calcolo alcuno, allo stesso modo di come Lui aveva amato i suoi Apostoli. Questo amore non è necessariamente un amore che si manifesta donando la propria vita ‘fisica’, ma in senso morale, facendolo “l’uno per l’altro”, ma in modo più profondo di come si potrebbe apparentemente intendere. Gesù infatti diede la Sua vita per la salvezza del mondo senza chiederla in cambio. Dare la vita “l’uno per l’altro” quindi, deve intendersi in modo “unilaterale”, senza reciprocità. L’amore di Cristo è l’amore più grande che ciascuno può dimostrare, quello di dare qualcosa col cuore senza aspettarsi nulla in cambio. Questo grande messaggio, poi disatteso dagli stessi apostoli nell’orto degli ulivi, è stato non casualmente trasmesso prima di una delle prove più dure vissute da Gesù proprio nel giardino del Getsemani. Quella notte rappresentò l’emblema di ciò che l’uomo deve evitare di realizzare. La mancata condivisione degli Apostoli ha rappresentato probabilmente il punto più alto dell’abbandono dell’uomo, insegnando come la partecipazione di tutti al cammino della fede, sia un cammino verso la perfezione cristiana. Quanto accadde nel Getsemani rappresentò un momento di grande pathos emotivo, che venne ricordato nel 1992 da Giovanni Paolo II, quando invitò i giovani a rivivere quella che viene considerata una “veglia mancata” da parte degli Apostoli in una “veglia continuata”, da condividere tutti insieme. Un grande insegnamento che impone all’uomo una serie di riflessioni su quanto in effetti sia necessario condividere i propri sentimenti, senza avere timori di alcun tipo. Questa condivisione riemerge anche analizzando lo scenario del Calvario, attraverso una lettura attenta di ciò che è avvenuto fra i due ladroni. Le tre crocifissioni (Gesù in mezzo ai due ladroni) appaiono agli occhi degli spettatori, come ‘tre pietre scartate’ che per una ragione diversa dall’altra si ritrovano a condividere il medesimo percorso. Sappiamo però che i due ladroni sono stati giustamente scartati dalla società perché peccatori, mentre Gesù lo è stato ingiustamente. Nonostante i due ladroni fossero per quel breve tratto della loro vita nella stessa condizione di Gesù, si unirono ai passanti che lo sfottevano ed insultavano, deridendolo con l’appellativo di “Figlio di Dio” e come “Re dei Giudei”. A confermarci questo atteggiamento è l’Apostolo Matteo quando sostiene che “anche i ladroni crocifissi con Lui lo oltraggiavano allo stesso modo” (Mt 27,44). Il fatto che Gesù abbia spezzato l’alleanza tra i due ladroni facendo dire ad uno dei due “Neanche tu hai timore di Dio benché condannato alla stessa pena?” (Lc.23,40), dimostra chiaramente che abbia fatto breccia nel suo cuore e che il male può essere combattuto anche nelle condizioni più difficili. Siamo di fronte ad un pentimento sentito, vero, dettato da una forte spinta emotiva, tanto da indurlo a scagliarsi contro l’amico dicendo “Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, Egli invece non ha fatto nulla di male” (Lc 23,41). L’umiltà quindi ha premiato il buon ladrone con la salvezza, mentre l’orgoglio ha condannato il suo amico. Ricordando questo episodio, nel ‘Gesù Scartato’ si è voluto mettere ancora una volta in evidenza la necessità di essere umili al cospetto di Dio, sostenendo che ‘non solo ci sentiremmo schierati dalla sua parte, ma scaturirebbe in noi una risposta di vita cristiana capace, forse, di trascinare anche un nostro amico, con l’esempio e la correzione fraterna, senza per questo doverci sentire presuntuosi per il fatto che neppure noi siamo dei santi’. S. Aelredo di Rievaulx, grande fautore della fede e dell’amicizia cristiana, coniò lo slogan “Io e tu, e, terzo tra noi, Cristo”, concetto che lascia ampio spazio all’amicizia non chiusa a due, ma aperta al terzo (Cristo). ‘Un’amicizia che potrebbe trarre ispirazione proprio dall’immagine plastica del Calvario, laddove il buon ladrone accoglie l’inserimento del “Terzo”, cercando di convincere anche il suo amico, ladrone come lui, a condividere con Gesù’. Questo stralcio, incentrato sull’esistenza e gli insegnamenti del Cristo, ha cercato di trasmettere il messaggio di un Gesù rifiutato fino all’ultimo suo respiro, ma grazie al quale è stato possibile cambiare da allora la mente dell’uomo e le sue aspirazioni.